Un palazzo.
Non é che un vecchio palazzo. Di quelli fine ottocento, come ce ne sono tanti a Napoli.
Perché lo chiamano il “Palazzo degli scheletri”?
La gente lo ha ribattezzato così per una storia che risale a un po’ di anni fa. Una storia degli anni settanta, di un’Italia e di una Napoli fine novecento. Quando c’erano i cronisti che facevano il mestiere.
Un mondo che sembra essersi dileguato divorato dal tempo, e che invece in questa città è ancora vivo. Nonostante tutto….”
“Dotto’ currite! Venite ‘ccà. A via Duomo! Venite subito!”.
Nel mese di agosto del 2007 sono a Bettona, ospite di Ciro Paglia e Stefania Nardini.
(Le mie ferie, che son sempre risicate, proseguiranno poi, verso la Puglia).
Sto con loro due giorni. Si parla soprattutto di giornalismo, ché io da Ciro Paglia ho solo da imparare.
Ultimo giorno. Stefania mi mostra un manoscritto. Che ha un titolo: Gli scheletri di via Duomo. Mi dice che ne pensi?, mi chiede.
E mi racconta una cosa, personale: l’ha scritto nei giorni difficili, combattendo contro il cancro.
Sul libro, poi, mette le mani avanti, Stefania. Ho voluto usare alcuni registri, mi spiega (qualcosa di diverso, insomma, da Matrioska, uscito per Pironti e tradotto in Ucraina, e diverso da altre cose che Stefania ha nel cassetto).
Per scrivere di Napoli e di giornalismo Stefania ha scelto quindi due registri: un po’ di napoletano, soprattutto per i dialoghi, la scrittura giornalistica per il resto.
La scrittura giornalistica è nervosa, secca, asciutta. Arriva al cuore del problema. I grandi direttori spiegano ai giovani giornalisti che lo spazio è poco e il tempo della gente è prezioso.
(un segno che si tocca con mano: la riconoscenza dei cronisti che Ciro ha cresciuto e che, nella mia permanenza a Bettona, sentivo che lo cercavano al telefono, per un saluto,un consiglio.
Maestro, come va?
Ehi, guagliò).
Per farla breve, che è giusta farla breve anche in rete: dopo Ciro Paglia sono stato il primo a leggere gli Scheletri di Stefania.
In una notte, a Bettona.
Che il libro, ora esca, mi fa felice: perché lo sento anche un po’ mio.
Se Pironti avesse chiesto a me di scrivere qualcosa sulla quarta di copertina io avrei scritto questo:
Gli scheletri son come un vecchio film d’autore, in bianco e nero. Con una Napoli che sa di Eduardo e un giornalismo che sa di giornalismo, quello vero, di strada. E ti viene nostalgia, leggendo… – e la scrittura è coraggiosa: Stefania Nardini scrive, vantandosene, come una cronista di razza. Un palazzo è un palazzo, un morto ammazzato è un morto ammazzato: leggere gli Scheletri è anche ri-leggere un vecchio giornale. D’autore, pure quello -.
io l’ho già letto. è un bel libro, davvero.
ci sono squarci di una vecchia Napoli, e anticipazioni delle brutture del contemporaneo.
ed è scritto bene. molto.
e.
Complimenti per la tua ipotetica quarta di copertina. M’è venuta voglia di leggerlo.
Lo leggerò. Grazie.
Fa felice anche me l’uscita del libro di Stefania, e mi fanno tanto felice la stima e l’amicizia che ci sono tra di voi, Remo, Ciro e Stefania.
Un abbraccio a tutti e tre,
Barbara
Mi sembra di vedervi lì, a parlare di giornalismo e libri :) E Ciro che risponde al telefono :)
A me, non so perché, piace moltissimo il titolo di questo libro.
E non fatico a credere quanto di “Stefania” ci sia qua dentro. Lo leggerò presto.
Abbraccio
Da quando ti seguo ho sempre comperato i libri che segnali; diciamo che solo una volta non mi sono ritrovato nelle tue indicazioni. Una su venti è una buona percentuale (amo la Napoli di una volta,
ciao Remo
Grazie Remo. E grazie a tutti voi dell’incoraggiamento. Ce ne vuole quando esce un libro segnato da tante cose belle della vita, come l’amicizia di molti che qui hanno commentato. Un caro saluto
stefania