Il grande cuore della fabbrica (un ricordo)

Questa cosa qui la scrissi nel vecchio blog nel 2006. L’ho riletta dopo anni, ma non l’avevo dimenticata

Non lo potrai mai dimenticare quel gesto collettivo, di, come lo chiamiamo, coraggio? Correttezza? Solidarietà? o che altro?
E’ il 1976. Tu, neodiplomato, sbarbatello di neanche 20 anni in una fabbrica, multinazionale giapponese.
Ad aprile la prima busta paga, come operaio di terza categoria: 79mila 500 lire.
Quattro, cinque mesi dopo avevi due ambizioni: imparare a fare il meccanico, forse per dimostrare a tuo padre e a te stesso che anche tu nelle “cose pratiche” sapevi cavartela, e bene; batterti, come delegato sindacale per gli altri, specie per quelle operaie che, quando ti eri proposto nel consiglio di fabbrica, ti avevano votato, perché “ha studiato”, “sa parlare”, “è un bravo ragazzo”.
Ti votarono in massa: mai nessuno aveva preso così tanti voti (echisseneimporta se tu era della Cisl di Carniti e loro quasi tutte della Cgil di Lama…).
Ma i tuoi due scopi, imparare a fare il meccanico a delle macchine che cuciono il nylon a un nastro di cotone così da sputare fuori cerniere lampo, il primo, condurre le tue battaglie sindacali in fabbrica (orari umani per le ragazze madri; carta igienica su appositi contenitori anziché per terra; 10mila lire di aumento per tutti, senza distinzioni di inquadramento), il secondo, erano aspetti incompatibili tra loro secondo la grande multinazionale giapponese.
Nessuno te l’aveva detto, perché avresti dovuto capirlo da solo: vuoi fare il meccanico e, quindi, guadagnare di più? Bene, lascia perdere le tue battaglie del cavolo, ché tanto il mondo non lo cambi, tu.
E un bel giorno arriva il giapponese, responsabile del reparto. Tu pensavi: magari ora mi nomina meccanico, ho imparato, l’altro meccanico ha insegnato a me e tutti gli altri operai del reparto sono d’accordo.
Il giapponese, invece, va dagli altri. E a tutti chiede: Vuoi fare il meccanico?
E’ un colpo basso, tu e i tuoi idealismi delle balle.
E invece tutti, meno uno, al giapponese dicono di no, che non gli interessa.
Come, non interessa guadagnare di più? Domanda lui.
Non ci può credere.
Uno degli operai arriva al punto di dire al giapponese che deve nominare te.
Certo, resta una soluzione, quel tizio, uno solo su dodici, che si è detto disposto a farti le scarpe, ma il giapponese non se la sente. Non se l’immaginava lui una solidarietà così.
Non gli resta che prendere il carrello con gli attrezzi, portartelo, e dirti, guardando un punto indefinito: Tu da domani meccanico.
Il grande cuore della fabbrica.
Che fa da contraltare, a volte, a grandi cattiverie che la fabbrica nasconde, come tutti i posti di lavoro, del resto.
Ma il grande cuore della fabbrica, degli operai, di gente semplice che legge solo la Gazzetta dello Sport e parla di gnocche e automobili, tu comunque, un giorno l’hai provato.
Ed è cosa che ti piace raccontare.