Nella casa del mais il mare d’erba si fonde con il cielo.
Due uomini nudi sotto la doccia.
Il vecchio non si lava più da solo, l’ultima volta è scivolato, ha paura, orgoglio e pudore impediscono di chiedere aiuto alle figlie, sono io l’unico cui affida le confidenze della sua intimità da quando l’ho stretto tra le braccia, mentre gli annunciavo la morte improvvisa della moglie sei anni fa.
Se non fosse stato per te, gli sarebbe venuto un colpo subito, già allora, fu solo grazie al tuo affetto e al tuo abbraccio amorevole che lui riuscì a sopravvivere al dolore della mia perdita, e io ti ho benedetto, per tutto quello che ci avevi dato, per tutto il cuore che ci avevi messo a cercare di capirci e di amarci entrambi.
Lo scroscio caldo dell’acqua diffonde vapore nello stanzino, accanto a me la pelle leggermente abbronzata ricopre lassa quel che rimane di muscoli e tendini, le mie mani insaponate scivolano sulla sua anatomia, percorrono il telaio di ossa, è girato di schiena, le mani saldamente ancorate alle manopole cromate.
Davanti a i miei occhi l’immagine della sofferenza, un cristo di legno in un corpo di ottant’anni demolito da un male che non perdona.
La nudità e inefficienza gli impediscono di parlare.
Che pena vederlo ridotto così, lui così infaticabile, forte come un toro! Ma la sua anima è la stessa, la sento viva e possente come allora.
Mi inginocchio per lavargli gambe e piedi, gli chiedo di voltarsi.
“Cosa sono queste macchie scure sull’inguine, e anche qui e qui all’incavo, cosa ti hanno fatto?”
“Deve essere la colla dei cerotti per fissare il catetere.”
“Se vuoi le tolgo con la spugna ma dovrei premere un po’ e soprattutto tenere tra le mani il…”
“L’uccello, chiamalo così anche se da tempo non si alza più in volo.
Santo cielo, ragazzo, mai avrei pensato che avresti potuto accudirlo così!
Ho sempre considerato una fortuna per mia figlia averti conosciuto.
“Hahaha…” Sta sussultando in una risata coinvolgente.
Non riesco a trattenermi, come sempre nelle occasioni più imbarazzanti.
Mollo tutto, scivolo sul pavimento piastrellato, gambe larghe, schiena appoggiata alla parete.
Continuando a ridere si accascia sedendosi davanti a me. Lo accolgo tra le braccia la sua schiena è sul mio petto e la testa sulla mia spalla.
Due uomini nudi sotto la doccia suocero e genero da trent’anni.
Ci abbandoniamo per un po’ all’allegria e alla pioggia calda sopra di noi, accanto a me c’è il flacone dello shampoo.
“Dai che ti lavo anche i capelli.”
Sciacquo la nuvola di sottilissima lana bianca.
Ne ha ancora tanti di capelli, ricordo quando erano scuri, sempre un poco arruffati, amavo tanto il ciuffo che gli ricadeva sulla fronte!
Non ride più. Nelle lacrime e nella paura scioglie il suo dolore: “Vorrei morire qui adesso, mi piacerebbe andarmene così dopo una sana risata, non riesco a pensare di dover restare muto a guardare l’angoscia sulle facce delle persone che più amo. Sono in dirittura di arrivo o partenza come la si vuol chiamare.
Stiamo ancora un po’ qui a parlare, è un sollievo quest’acqua che mi batte sul corpo, mi sento purificare.”
Quanto mi piacerebbe essere al posto tuo, ragazzo, anche così com’è adesso, mi farei abbracciare e lo abbraccerei anch’io, lo amerei come quando era giovane e forte, appassionato e non gli bastava mai!
“Mi manca mia moglie, avrei sofferto da impazzire a farmi veder in questo stato! Prima me la sono sentita accanto, ho avuto un brivido, ho avuto voglia di abbracciarla… Ricordi quel mese d’agosto, quando hai dormito qui e ci hai visti sotto il ciliegio in fondo all’orto fare all’amore alle prime luci dell’alba?
E certo che se lo ricorda, noi eravamo imbarazzati più di lui quando ce ne siamo accorti.
“ Sì non l’ho più scordato, è come se fossero sempre davanti a me i vostri corpi in quell’abbraccio, ero scombussolato dalle sensazioni che provavo perché tua moglie ha sempre esercitato su di me una certa attrazione ma il mio amore era ed è tutto per vostra figlia.
Il vecchio sorride.
“Usciamo mi sento molto stanco ora.”
Lo aiuto ad alzarsi gli faccio infilare l’accappatoio.
Dopo averlo tamponato con l’asciugamani mi chiede di passargli del talco mentolato su tutto il corpo, la malattia al fegato e tutte le medicine che prende gli procurano un forte prurito.
Mi abbraccia, “Te lo dico anche a nome suo, ti voglio bene, per tutto quello che sei stato per noi.”
Bravo, mio caro, abbraccialo forte anche per me, digli quanto l’ho amato e quanto lo amo ancora.
Lo stringo per soffocare la mia commozione.
“Non voglio lasciarti andare!”
“E l’ora per me, un giorno così è giusto per morire
Un ultimo favore, scaldami un goccio di latte.
Il tempo di versare il liquido tiepido nella scodella e arrivare davanti a lui, mi fa cenno con la mano di avvicinarmi mi prende la testa tra le mani mi bacia e sussurra :”Lasciami andare”. … Una lacrima gli riga il volto, gira la testa verso la credenza dove la moglie sorride da una cornice in argento, chiude gli occhi.
Perché i pensieri della donna sembrano a tutti forzati?
Io l’ho trovato un particolare interessante invece, proprio l’elemento che rende più originale il racconto…senza questi sarebbe stato comunque un bel racconto, ma più semplice e sulla stessa linea, con questo elemento in più abbiamo un collegamento nuovo, la prova di un amore che prosegue “oltre”…mi piace, proprio questo me lo fa apprezzare maggiormente.
devo dire che sui po’ sono drastica pure io.
A ognuno la sua croce (avete notato che sull’ortografico lo mette come errore?)
mamma mia.
Argomento sicuramente inusuale e non facile da trattare. A mio avviso ci sono ottimi spunti. Avrei tralasciato l’ultimo pezzo, perchè la doccia ad un uomo malato e tante confessioni così intime tra due uomini mi sembravano più che sufficienti.
Abbastanza ben scritto, a parte qualche espressione stereotipata e qualche inesattezza grammaticale già citata. Potrebbe avere delle potenzialità, però così com’è non mi ha coinvolto.
Io penso, invece che un titolo debba contenere in sintesi (in estrama sintesi) ciò di cui si parla nel racconto (romanzo ecc.) Poi, naturalmente, bisogna intendersi sul significato di ‘sintesi’. Per dire: non penso che questo racconto avrebbe dovuto titolarsi “Due uomini sotto la doccia” o “Un giorno giusto per morire”.
Il racconto si apre con un’immagine, colorata, non originale ma bella: “Nella casa del mais il mare d’erba si fonde con il cielo.” (E ora tralasciamo l’aspetto ‘NELLA casa’). Io vivo circondata da campi di mais (per dire con una parola dal suono fastidioso quello che si può chiamare anche granoturco). I campi con le pianticelle giovani sembrano effettivamente campi di erba. Ma un campo d’erba, senza altro “suggerimento”, è un campo d’erba non un campo di granoturco appena nato.
Successivamente ci appare anche un frutteto (o almeno un cilegio).
Non riesco a trovare un nesso, non necessariamente “logico”, testuale, ma nemmeno d’immagine, con il titolo. Il titolo è sempre “evocazione”. E non deve (d)eludere.
Il tema – il rapporto affettivo e il contatto fisico, emozionale tra i due uomini (rispetto al quale gli “intermezzi” della morta e l’introduzione dell’elemento attrazione fisica verso la suocera mi risultano fastidiosi, più che forzati e, anche mettendo da parte questo tipo di valutazione del tutto soggettiva, affatto funzionali rispetto al filo forte della narrazione), il tema, dicevo, è di quelli che stanno sul confine del dicibile. Affrontarlo con una scrittura “diretta” mi è sembrata una scelta poco felice. Non riesco ad immaginare due uomini (due persone, di qualsiasi astrazione sociale, culturale, e di qualsiasi indole) che dicano così e così tanto di sé in simili circostanze. Ma magari sono io che manco di esperienza e/o di fantasia.
la stoffa è buona ma non è tagliata bene. va limato e corretto, per esempio la punteggiatura, meno anarchica! la materia, ripeto, è buona anche perché inusuale, anche se io stessa ho fatto quest’esperienza: mio marito è stato più figlio dei veri figli per i miei genitori, quindi capisco bene che un vecchio ammalato possa abbandonarsi fiducioso in quelle buonissime mani, è credibile. le voci dall’aldilà possono andare, però non troppo scherzose, né enfatiche, si perde, altrimenti, un taglio del tutto legittimo e già osservato in letteratura. il rischio è il melò. per ovviarvi bisogna asciugare asciugare asciugare.
la fisicità è resa bene.
il titolo è un titolo “interiore”: chi ha detto che deve contenere in sintesi ciò di cui si parla nel racconto?
Personalmente ho letto coinvolta. Trovo che gli autori abbiano affrontato un argomento delicato di cui solitamente non solo non si parla, molto spesso si rifugge dal trovarsi in tali situazioni. Nonostante la profondità dei sentimenti umani evocati dai gesti, il tutto è reso con leggerezza oltrepassando di poco la soglia della plausibilità, e ponendosi su un livello che solo alcuni conoscono. Mi piace molto, prosegue per immagini e salta sopra la punteggiatura.
“..un giorno così è giusto per morire” condivido: vorrei essere serena, quando sarà..
Complimenti agli autori!
ps: trovo fuori luogo la battuta di Sonia su cuck norris, e non credo si essere l’unica.
Anch’io avrei tolto la voce della moglie morta e l’attrazione del protagonista verso questa. Anche il titolo mi pare poco appropriato. L’idea è buona e anche il modo di scrivere (lo stile) non mi dispiace. Ciao Lucia
Ammenda: io ho letto PRIMA che fossero corretti i “pò”. Scusate. Mi si imprimono negli occhi…
E comunque di “pò” te ne sono scappati due Remo, io proprio non riesco a passarci sopra, te lo sai. ( per questo mi detestano tutti, o se va bene mi prendono in giro)
Concordo con t. che ognuno si prenda sul groppone i suoi “pò”, dopo magari si vede.
Troppi anche i punti esclamativi, per me.
Ma… si vota dopo il 20 agosto, giusto?
Remo, credo sia giusto che di tutti i punti e virgole e apostrofi e accenti, spazi compresi, ciascuno di noi si assuma in proprio la responsabilità, almeno in questa fase.
A me interessa, per esempio, vedere un pò.
Trovo invece giusto che nell’e-book entrino testi “puliti”; per quello hai la mia collaborazione come quella di Monia (spero di non aver sbagliato nome, nel caso chiedo scusa).
ho corretto (ma non avrò sempre tempo di farlo) tre volte un pò, un si non accentato, una spalla, spazio, punto (spalla .), e due puntini sospensivi anziché tre.
grazie annalisa
(a nome dei due autori, anche)
Mi sembra che la voce di intermezzo potrebbe essere sacrificata senza perdere di significato.
La frase in cui il genero confessa l’attrazione per la suocera è irrealistica.
Va limato, molto, punteggiatura, espressioni già notate sopra.
Ma soprattutto, se mi posso permettere, soprattutto: “sì” con l’accento e “po’ “, vi prego, vi prego, con l’apostrofo.
sarà, ma se mio marito avesse una certa attrazione per mia mamma, a me onestamente, girerebbero un po’ i sentimenti.
per il resto ci sono delle immagini poetiche ma a tratti mi sembra appesantito: “un giorno così è giusto per morire” mi fa molto chuck norris…
Non so, non mi convince del tutto. Forse sarà quella forzatura della voce della moglie morta che quasi tutti hanno riscontrato. Dovrebbe commuovere e invece mi ha lasciata abbastanza fredda. Poi non mi piacciono espressioni tipo “un male che non perdona”.
Mi sembrano un po’ stereotipate… Il titolo mi aveva avvinto… ma poi si è perso…
Milvia
bello, veramente molto. a volte la voce della moglie morta sembra di troppo.
troppo coinvolto, passo.
C’è poesia, però anche a me le frasi della moglie morta appaiono forzate. E poi sarà il caldo ma io mica ho capito se c’è, nel rapporto tra i tre, qualcosa di più di quell’attrazione di cui parla il genero a proposito della defunta suocera. E’ bello, comunque, il rapporto tra i due uomini, la dolcezza di quel non-figlio che si prende cura del vecchio come forse un figlio non saprebbe fare. Secondo me andrebbe solo sistemato un po’ e potrebbe volare alto.
p.s. Ma il mais che c’entra?
1) Il primo figlio
2) la casa del mais
3) la confraternita della banacauda
4) a caccia di arcobaleni
E’ una di quelle storie che non si raccontano quasi mai, perchè danno fastidio certi argomenti, come se non facessero parte del quotidiano.Un racconto a 4 mani dove è chiara la divisione dei ruoli.
Provo a pensare io uomo cosa avrei scritto se avessi dovuto indossare i panni della donna morta, le sue parole mi danno la sensazione di chi ha capito cosa sia successo in quei trent’anni tra i tre protagonisti di quella casa.
Mi complimento con l’accoppiata !
Marchetti Fausto
Già, il mais…
E, per quel che mi riguarda, non è l’unico conto che non torna.
E meno male che il mais ce l’ha nel titolo.
un buon racconto, anche per me i pensieri della moglie morta sono un pò forzati, il resto ha un suo costrutto interessante.
anche il rapporto tra i due uomini mi sembra ben evidenziato, e originale.
l’idea è molto bella. alcune parti sono molto buone ma trovo un po’ forzati i pensieri della moglie morta.
un po’ forzati o poco chiari… o, forse, solo da ‘sfoltire’.