È un pomeriggio di novembre, nebbioso e reumatico. Nel silenzioso soggiorno della vetusta casa di riposo “Anni sereni” di Burgonzio, gli anziani ospiti consumano la merenda. Improvvisamente, dall’esterno, provengono voci concitate.
“Stia attenta, mi fa cadere!” “Maman, l’assistente sa fare il suo lavoro” “Non è vero. E con l’osteoporosi, se cado, mi frantumo come un vaso Ming!” “Maman, casomai ti incolliamo e ritorni nuova”.
La porta si spalanca ed entrano un giovane uomo e un’anziana donna che si regge a un bastone e a un’assistente. La direttrice la riceve sorridendo: “Benvenuta, signora Reverchon!”
“Contessa Maria Lodovica Adelaide Reverchon, vedova del conte Pier Camillo Gustavo Avogadro, ma può chiamarmi signora Maria Lodovica o contessa Avogadro. Vorrei riposare, sono provata! Ordini alla cameriera di portare dentro i miei bagagli; voglio distendermi”
“Maman, non è una cameriera ma un’assistente specializzata!” “Dodo, quante storie. Assistente, cameriera, cosa cambia? È sempre al mio servizio!”
L’uomo scuote la testa e si congeda, con il rimorso per non aver spiegato alla madre le loro difficoltose condizioni economiche. La donna, aiutata dalla direttrice, si ritira per riposare.
Era di venerdì pomeriggio. Guardo dalla finestra, c’è la merla che viene sempre nel cortile a sbecchettare il resto del pane che ci butto. Apro quando non ci sono le assistenti altrimenti mi sgridano che entra il freddo e si prende qualcosa poi faccio cadere dal fazzoletto le briciole. Finché ci riesco, perché con la sedia a rotelle c’è un po’ da tribolare.
L’è rivata, la signora. Tutti, anche quei che con la testa sono più di là che di qua, hanno avuto come un scosòn. E come la gridava, oh si si.
Mica sono una signora, me. La mia casa è la cascina giù a Contrazzano subito dopo la riseria, ma oramai, vuota. Mi chiamo Ranghino Luigia, di anni ottantatrè. Da ragazza ero una mondariso, poi hanno aperto la fabbrica e facevo l’operaia. Mi manca, la mia casa. È che sono caduta e si è rotto qua, operazione ospedale e tutto, ma l’osso non si è ‘tacato bene. E dopo i figli per carità ognuno ha le sue cose da fare e insomma si sono messi d’accordo e io pazienza. O si spaccava tutte le porte che non ci passo e poi se ti succede qualcosa mamma? Cosa fai là tutta sola? E allora mi hanno portato alla casa di riposo “Anni sereni”, in mezzo alle risaie come a Contrazzano, freddo uguale umido uguale, e in più si paga. Adesso mi metto dietro a guardare cosa fa la signora, c’è tanto di quel tempo da far passare. Qua si aspetta solo che di morire, certe volte si sente l’assistente che dice è il diciannove, avvisa i parenti e il giorno dopo si libera il letto, bon.
E io allora guardo fuori, poi magari ci chiedo cosa c’è di cena, che di fame ne ho sempre.
”Ce la faccio da sola, ho detto! Aspetto mio figlio, ha promesso di portare i ragazzi.”
Maria Lodovica si trascina fino al divano, accanto alla sedia a rotelle su cui russa placida la Lugia. “Fortunata lei, che riesce a dormire, io non chiudo occhio! Il materasso è rigido, il cuscino è alto e i reumatismi mi fanno soffrire!” La signora Luigia, a tutte quelle grida, apre un occhio e la sbircia.
“Meno male che starò qui pochi giorni. Mio figlio Edoardo ha prenotato nella residenza esclusiva “L’eldorado”. Quello è il mio posto! Io sono una contessa, cosa faccio in questo edificio ammuffito sperduto tra le risaie? Voi siete vecchi rimbambiti e aspettate la vostra ora. Io sono in ottima forma e potrei dedicarmi alle mie attività, se avessi i miei spazi.
Mio marito, il conte buonanima, viaggiava e io restavo a casa con il bambino e i domestici. Dipingevo, ricamavo e suonavo il pianoforte. So fare ancora tutto benissimo!”
Si volta a guardare la signora Luigia, che la fissa immobile.
“Spero che mio figlio arrivi presto. Da mesi non vedo i miei nipoti. Studiano in collegio e poi svolgono molte attività: equitazione, tennis, pianoforte. Sono impegnatissimi e non hanno mai un minuto libero. Non come quei ragazzini che passano la giornata davanti al televisore!”
La porta d’ingresso si spalanca ed entra un uomo distinto, allampanato e abbronzato, che cammina appoggiandosi a un bastone da passeggio.
Maria Lodovica e la Luigia si scambiano un’occhiata e fissano il nuovo ospite, curiose e interessate.
Nel soggiorno piomba un silenzio indagatore e numerosi occhi si accendono di stupore.
E la parla semper. Son sicura che se mi viene da rispondere non mi ‘scolta, e allora sto zitta e penso. Sono abituata a far silenzio. C’è un solettino, si sta meglio di ieri. Mi ricordo la mattina che prendevo su la bice* e andavo a lavorare. C’è la vita nei fossi, se ascolti. Me lo diceva sempre mio marito che nella testa ho qualcosa che gira diverso. Mi son sempre piaciute le bestie. Avevo gatti cani, alla mia casa. E le rane, ma te le hai viste che belle le rane? Mio zio faceva l’acquaiolo: girava con la vanga a fare gli argini per allagare le risaie. Mi piaceva tanto vedere l’acqua che svoltava di qua e di là, lui la comandava.
Poi ha fatto silenzio anche lei.
C’è entrato un signore, dritto ‘me un bachet. Ah distinto, sisi, un po’ maròn, come quei che vanno a prendere il sole apposta. Un forestiero di sicuro.
Il distinto signore prima si guarda intorno e poi si dirige, tra sguardi muti, verso Maria Lodovica e la Luigia: “Permettete, gentili signore? Sono la morte, vengo a prendervi. Vi accompagno? Ho giusto due posti liberi.”
“Oh, finalmente! L’eldorado l’ha mandata a prendermi! Lo dicevo che sarei rimasta qui per poco.” esclamò Maria Lodovica. “Un minuto, faccio preparare i bagagli. Però, signor Lamorte, stia attento ad accompagnarmi all’automobile. Ho l’osteoporosi e, se cado, mi frantumo come un vaso Ming!”
L’ho ‘vardat. È alto e ha gli occhi di piccione. Sul momento non so, mica siamo pronti a dire sì no e poi. Fuori comincia a calare la nebbia, qualcuno tossisce. Di vedere passare i giorni dietro al vetro non sono capace e poi adesso non devo più badare a nessuno. Ci ho detto: “Andiamo”.
* termine dialettale usato nel vercellese, la femminilizzazione di bici.
mi è piucito molto…
Ecco, questo mi piace.
“…la parla semper. Son sicura che se mi viene da rispondere non mi ‘scolta, e allora sto zitta e penso. Sono abituata a far silenzio. C’è un solettino, si sta meglio di ieri. Mi ricordo la mattina che prendevo su la bice* e andavo a lavorare. C’è la vita nei fossi, se ascolti. Me lo diceva sempre mio marito che nella testa ho qualcosa che gira diverso. Mi son sempre piaciute le bestie. Avevo gatti cani, alla mia casa. E le rane, ma te le hai viste che belle le rane? Mio zio faceva l’acquaiolo: girava con la vanga a fare gli argini per allagare le risaie. Mi piaceva tanto vedere l’acqua che svoltava di qua e di là, lui la comandava…”
Mi piace soprattutto per questo pezzetto. Ho visto l’acqua girare attorno alla vanga di taglio, e diventare di mille colori. Emozione vera. A volte, sono i dettagli che fanno la differenza.
Federico Libero è da premio Pulitzer, altro che storie :))
federico libero è il miglior esempio di quello che può essere un bellissimo racconto a quattro mani! :)
Sono arrivata a leggere fino a una trentina di commenti, poi ho desistito. Preferisco commentare questo racconto che, finalmente, mi è piaciuto. Non è perfetto (ma qualcuno sa dirmi quale racconto lo sia) ma c’ha un’anima, porca miseria. Quando leggo ho bisogno di emozionarmi, altrimenti passo oltre. E questo racconto mi ha regalato emozioni. Poi ci può stare che il personaggio della contessa sia un po’ troppo macchiettistico e che tutto accada troppo in fretta. Ma la Luigia… la Luigia ha una vena poetica in quel suo lanciare briciole alle merle dalla sedia a rotelle, nel suo accettare l’invito della morte, consapevole di non avere altro da fare perché ha già compiuto la sua missione a questo mondo. Mi piace.
1) Anni sereni
2) Il primo figlio
3) la casa del mais
4) la confraternita della banacauda
5) E poi
6) A caccia di arcobaleni
7) il tempo necessario
Federico Libero! Lui sì, che è un capolavoro!
Milvia
mario, scherzavo anche io.
sull’uso della lingua, sul saper scrivere: s’impara e si deve imparare.
ciò non toglie che ci son scrittori che hanno bisogno degli editor, eppure son scrittori…
la licenza deve produrre figura, diversamente si tratterà solo di brutta figura.
:D
E dai, Remo!
Poffarbacco!
Dicevo per alleggerire l’atmosfera seriosissima …:-))
Mario
Sono d’accordo. Una cosa sono la sciatteria o l’ignoranza, altra il refuso di battitura o la svista.
Che la lingua si evolva e si trasformi è fuori discussione, ma la licenza (non solo poetica) e la trasgressione sono consentite quando si conosca la regola.
Remo perdonami, ci sarà pure qualche differenza tra l’uso “fantasioso” della linqua (quanto ai suoi standard di regole), gli errori di distrazione e la sciatteria vera e propria. O no.
Tu sposti sempre i contorni temporali della questione, spesso ai “tempi di Pasolini”, in un ambiente socio-culturale dove la non acquisizione dei cosddetti standard non era libertà ma limitazione imposta.
Nessuno di noi, credo – posso sbagliarmi non conoscendo i/le partecipanti – ha dovuto faticare per poterli acquisire.
Io amo vedere la cura. Dei pensieri, delle parole. E della grammatica. Quando c’è, è – riesce ad essere – più evidente anche la “trasgressione” funzionale all’efficacia del testo.
(Quel pupo, con quegli occhi, un giorno sarà un pericolo pubblico… :-))
federico libero è un grande :-)
http://picasaweb.google.com/bassini.remo/DropBox?authkey=Gv1sRgCIuI__yD84-ZogE&pli=1&gsessionid=sF5AOw8p_-z21cWfVN8kmw#5498553485623815266
mario, lei pensi alla copertina, pensi, che scrivere con federico libero in braccio è un esercizio su cui vorrei che lei ponesse l’accento
Il libro si intitola Alpinisti ciabattoni, l’autore si chiamava Achille Giovanni Cagna.
Fu stampato non ricordo quando agli inizi del Novecento, è stato ristampato da Mondadori.
Ci sono errori, nel libro: il congiuntivo per Cagna era un optional; e le virgole son messe in modo strano, mi pare (qui dovrei andare e rivedere) che interrompano il periodo.
eppure Cagna e questo suo libro piacevano a Gobetti.
al grande italianista Contini.
A gadda, che quasi lo sapeva a memoria, Alpinisti ciabattoni.
Gobetti, Contini, Gadda.
nessuno mai che abbia contestato a Cagna il suo bisticciar coi congiuntivi.
non fa pensare tutto ciò?
è bella quella dell’accanto grave,
ci sarà pure un accanto leggero, magari,
un accanto discosto,
un altro pur semiapposto,
o un accanto vicino
che gioca a nascondino
:-))
MarioB.
Vorrei solo ricordare una cosa che molti dimenticano: la grammatica è dinamica, muta ogni giorno.
e mi stupisco di una cosa: ma avete mai parlato con un editor vero?
sapete quanti errori di sintassi e grammatica sfuggono anche ad autori affermati?
io torno sempre a pasolini: o si ha una grande sterminata cultura, oppure, siamo “corrotti” diceva lui, da una cultura medio borghese, che ci fa giudicare con facilità questo o quello (meglio, concludeva, le persone che non hanno fatto la quarta elementare).
e mi sembra anche che qui, soprattutto, si vada alla ricerca del pelo sull’uovo.
a me sinceramente frega un emerito cazzo se leggo un racconto e ci trovo una frase contorta, due sì senza acceto, l’accanto grave messo dove non si dovrebbe: a me interessa che quel racconto mi trasmetta qualcosa o tatto.
e buona continuazione
“C’è la vita nei fossi, se ascolti.” mi ha ricordato una poesia di Biagio Marin…
piaciuto, sì.
Forse mi aspettavo che il signore del finale invece della morte fosse un bel signore davvero e che facesse finire la storia sul rosa invece che sul nero, ma vabbene così, sono io forse a essere troppo romantica :-)
sonia con tutto il rispetto: non sono rinvigorita da nessuno. remo ha espresso una sua opinione libera ed autonoma e non ho bisogno certo io di rimarcarlo: basterebbe conoscerlo appena un poco. le mie idee le avevo già espresse chiaramente prima del suo intervento senza il sostegno di nessuno. se si vuol far polemica tanto per farla, prego, accomodati tu.
Clap clap clap a Elena (senza i punti).
l esempio della bicicletta è semplicemente perfetto. Tra la conoscenza della grammatica di base e accademia della crusca ce ne passa. Mi pare sia incontestabile.
E Remo mi scuserà se non capisco la chiusura “a bomba” del suo commento: La Mazzantini a te piace, bene. A me no, pazienza, non è che mi scandalizzo. Potrei aggiungere pure che sono delusa da Carlos Ruiz Zafon e divoro il libri di Giorgio Faletti. E non credo di lanciare nessuna “bomba”.
I gusti sono gusti. Se una cosa non piace non piace. Punto. e qui rispondo a E.l.e.n.a. (rinvigorita dopo il commento di Remo): cosa c entra? te lo spiego subito. Vedi, io appartengo alla categoria dei lettori, brutta bestia sai, quelli che entrano in libreria e decidono cosa leggere. Prendo in mano un libro e mi giro verso l amica e le dico “questo non comprarlo, a meno che non hai un tavolo con una zampa più corta”.
Che si tratti di racconti in un blog, (e non è che ci vuoglia poi sto gran coraggio, basta un po’ di fantasia, impegno e un po’ di tempo da perdere, il coraggio è un altra cosa) o un libro di uno scrittore, il concetto di fondo per un lettore è: piace o no?
Grisham dice: “se come scrittore non sei capace di accettare una o dieci stroncature, cambia mestiere”.
Ecco, gli origami, alle volte, sono una valida alternativa.
Ossequi.
mi piace tantissimo come è scritta la luigia. la contessa no, troppo macchietta, troppo esagerata. ma magari – qui sembra che tanti se lo dimentichino – è solo questione di gusti.
sterno, “limiteremo i nostri pareri al richiesto buonismo”. non l’ho mai richiesto né ho avuto intenzione di farlo. ho espresso un’opinione. tutto qui. ognuno continuerà a commentare come meglio crede.
elena, nessuno ma proprio nessuno dei punti elencati. io ho cercato di spiegare quelle che erano le mie perplessità sui modi. (quindi gli autori dei primi 7 racconti, a tuo parere devono inforcare il triciclo?)
su quello che ho scritto sul blog. hai presente la parola contesto? ecco, quello. non beninteso il fatto che sul mio blog possa farlo e qui no. ma per il fatto che la persona si esponeva ad una lettura pubblica di un testo pubblicato. non ho certamente avanzato (chi sono io per farlo? i lettori sono milioni, se è per questo ma non mi pare ragione sufficiente ad accampare una titolarità di giudizio giudicante) in quel contesto alcuna critica perché se hai letto bene non erano ai testi, bensì alle risposte alle domande dell’interlocutore.
sterno e milvia: non ho mai detto che l’anonimato non sia una buona regola, anzi! ho semplicemente detto che se – e sottolineo se – si conoscessero gli autori, certi giudizi, ritengo, sarebbero più moderati. dove (e lo ripeto ancora) la moderazione non significa ipocrisia, falsità, piaggeria o altro.
buona scrittura a tutti!
Prima di dire altro, voglio complimentarmi con gli autori e/o autrici di Anni sereni. Ho apprezzato molto questo racconto e lo ritengo il migliore fra quelli pubblicati fino adesso. Solo un leggero fastidio per certi stereotipi usati per la contessa (ma magari le vecchie contesse sono proprio così e non c’è alcun stereotipo, non ne conosco, io, di contesse), ma la Luigia è perfetta. Più che leggerla, sembra proprio di ascoltarla. Anzi, io avrei tolto la noticina su “bice”, perché si capisce anche senza. E anche la morte, che arriva all’improvviso, ci sta, perché la morte non è che sempre si fa annunciare.
E poi: ho letto velocemente i tanti commenti, e forse ripeterò cose già dette da altri. Pazienza.
Ritengo sia giusto che chi commenta esprima con sincerità la propria opinione, sottolineando anche eventuali errori di battitura (che NON sono minuzie e NON ci dovrebbero essere, anche per rispetto verso chi leggerà) e denunciando incongruenze nel testo, cattivo uso di vocaboli, espressioni ridicole, stereotipate, banali ecc., o scarsa chiarezza dei fatti narrati. Come qualcuno ha scritto, questa è una gara, o, comunque, chi partecipa si mette in gioco, e accettare critiche o elogi dai lettori fa parte di questo gioco. Comunque chi partecipa dovrebbe avere, anche solo un minimo, magari, di propensione per la scrittura, cosa che in uno o due racconti qui pubblicati non mi sembra di aver riscontrato.
A chi ha contestato le critiche fatte sulla incongruenza di un titolo, dico che, come ha scritto T, il titolo una relazione con ciò che segue deve averla: chiameremmo mai un dipinto che rappresenta un tramonto sul mare, Notte alpina? La casa del mais è un titolo suggestivo, ma il mais non l’ho visto…
Per quanto riguarda l’anonimato credo sia un’ottima scelta. Personalmente sono più contenta se un mio racconto anonimo riceve delle critiche positive, perché penso che non siano influenzate da eventuali amicizie o simpatie che, per mera gentilezza, non lo stroncano. Così come le critiche negative non verranno dettate da eventuali antipatie.
Detto tutto questo, ritengo però che si debba usare un po’ più di… delicatezza, nell’esprimere il proprio parere negativo. “Non mi piace, perché…”, è un conto. Racconto banale, va pure bene. Racconto terribile o altro, fa male, e forse non aiuta chi lo ha scritto, e spaventa chi deve ancora scrivere.
E anche certe botta e risposta fra commentatori dovrebbero essere meno aggressive.
Milvia
(se nel commento ho fatto errori di battitura… bastonatemi!)
elena, sei grandissima. straquoto. l’onestà e il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. una gara è una gara è una gara.
e sottoscrivo lucia marchitto.
(anche il mio blogghino è aperto. venire ci viene un sacco di gente, in silenzio in punta di piedi. battete un colpo, ‘gnitanto, se ci siete).
buona notte a tutti!
Mah!, credevo che esprimere un parere, anche stroncare perchè no? fosse una cosa naturale, normale, con buona educazione s’intende, altrimenti che senso ha dire ‘mettersi in gioco?’, dove sta il coraggio del mettersi in gioco?
Concordo pienamente col commento n. 30 di Lucypestifera.
Penso che sarebbe veramente utile per me, per tutti quelli che scrivono, avere dei giudizi spassionati, potremmo crescere o decidere che scrivere non è il nostro mestiere. Certo che nella scrittura il gusto personale è determinante, ciò che piace a me non piace a un altro, ma oltre al piacere c’è la qualità. Io non so definire i parametri della qualità, eppure ci sono libri di qualità.
Basta accostare “Non ti muovere” al “Mio nome è rosso” di Pamuk, “Non ti muovere” a “Tutti i nomi” di Saramago, “Non ti muovere” a “Fima” di Amos Oz, “Non ti muovere” a “Sostiene Pereira” di Tabucchi, “Non ti Muovere” a “La Chimera” di Sebastiano Vassalli, ecc.. per capire cosa è e cosa non è la qualità.
Allo stesso modo operiamo quando leggiamo un qualsiasi testo, lo facciamo incosciamente perchè anni di lettura ci hanno dato gli strumenti per discernere, per affinare il nostro gusto, perchè leggiamo non per ammazzare il tempo, per liberarci dalla noia, ma per ragioni molto più profonde. Ciao Lucia
@Fausto Marchetti: ti ringrazio dell’invito Fausto, sei molto gentile. Ma quest’anno è andata così. Magari l’anno prossimo. E per conoscerci e scambiare esperienze il mio blogghino è sempre aperto.:))
@e.l.e.n.a.: ti rispondo direttamente, dal momento che hai citato qualche parola dei miei commenti senza mai fare il mio nome.
Quello che avevo da dire l’ho detto sopra, ma volevo chiederti come mai nel tuo blog, in cui ho fatto un giro per curiosità, nel post “Il lamento del prepuzio” non risparmi critiche feroci e (giuste a parer mio) correzioni in stile “maestrina dalla penna rossa” come tu stessa ti definisci, a una scrittrice principiante, e in più citi le parole di Carver : “carver ha detto: le parole sono tutto ciò che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste.”
e qui vieni invece a fare la predica dicendo : “a me sembra che qua si faccia un po’ troppo i maestrini. ma chi deve insegnare cosa?”
Dimmi, come funziona, nel tuo blog si può e qui no?
“standing ovation” elena (senza puntini).
e tuttavia, ora, altro sapore avrà commentare, ahimé. e nell’attesa del racconto di spicco (che ancora deve venire ma sono certo che già in qualche file freme) limiteremo i nostri pareri al richiesto buonismo. mi sa di amaro, ma vabbé.
mi stupisce l’opinione di remo, condizionata, credo, dal fatto non indifferente di conoscere gli autori. allora ha ragione e.l.e.n.a. (con i puntini) quando dice se ci conoscessimo saremmo meno duri… forse. e tuttavia- e proprio perché probabilmente ha ragione – è assai meglio non conoscersi. in effetti anche questa è una regola del gioco (guarda caso). e a me garba parecchio tale regola. e bisogna starci. c’è nulla da fare.
Allora, io in queste situazioni mi chiedo queste cose:
1) se io commentatore non sono nessuno, (o forse sono qualcuno, ma nessuno comunque lo sa) non sono un editor, non sono un agente letterario, non sono un famoso scrittore, ma sono soltanto un qualunque nickname perso tra le onde del web, che sta qui a leggere un racconto di un altro nickname (anche se c’è nome e cognome per me pari son dal momento che non li conosco) che è maggiorenne, è apparentemente nel pieno delle sue facoltà mentali, e si è volontariamente sottoposto al commento e al voto di altre persone sconosciute nel momento stesso in cui ha deciso di partecipare a una, come la chiamiamo, gara di racconti? (direi, se siete d’accordo, che gara può andare bene, dal momento che il titolare del blog ha dato delle regole e tra queste regole c’è scritto che alla fine c’è una votazione con espressione di voti da 1 a 6).
Dicevo, se io commentatore, che non sono nessuno, e mi prendo l’onesto impegno, diciamo così, di leggere un racconto di un altro sconosciuto e di dargli il mio parere, perché LEI/LUI, la/il partecipante, me l’ha chiesto partecipando a una gara di racconti, per quale motivo, mi chiedo, accade che poi lei/lui, (o anche altri commentatori che si prendono la briga di interpretare le reazioni e i sentimenti dei partecipanti), dovrebbero essere scontenti del mio parere liberamente richiesto e fornito?
Risposte possibili:
Il partecipante:
a) Vuole solo commenti positivi.
b) Vuole commenti anche negativi ma non troppo che sennò si demoralizza.
c) Vuole che le sue speranze di poter diventare uno scrittore non vengano messe in dubbio.
d) Pensa che io, commentatore, sia più brava/o di lei/lui.
e) Pensa, non si sa in base a quali criteri, che io, commentatore, abbia i titoli per giudicarla/o e quindi, se riceve commenti negativi, non continuerà mai più a scrivere.
f) Non vuole mettersi in discussione e pensa di essere comunque più brava/o dei suoi commentatori.
g) Vorrebbe dei commentatori dal carattere come dice lei/lui.
h) Forse ci sono altri motivi ma non mi vengono in mente.
2) se io, Tony, in qualità di titolare di un’associazione o di una confraternita di biclettai, indìco una gara di ciclismo, e se, noi, Bepi, Mario e Gino in qualità di appassionati di ciclismo decidiamo di partecipare a una gara di ciclismo, tutti e quattro diamo per scontato che Tony si aspetti che Bepi, Mario e Gino sappiano andare in bicicletta e che non arrivino con il triciclo o con un celerifero o con il carrello della spesa e che non spingano la bicicletta con i piedi. E credo che anche il pubblico si aspetti la stessa cosa. Questo per dire che se io decido di partecipare a una gara di ciclismo dovrei almeno sapere andare in bicicletta, magari lentamente, magari andando su e giù per tutta la strada, ma saperlo fare.
Per me, il mio parere personale di Nessuno, la condizione senza la quale non si può partecipare a una gara di scrittura è sapere la grammatica italiana. E tra sapere la grammatica italiana ed essere un accademico della Crusca, ne passa, e scrivere “quel vigile che quel giorno non aveva avuto altro cui vedere” (e mi scuso con chi l’ha scritto se infierisco, ma ho questo come esempio), o altre licenze poetiche non hanno niente a che vedere con l’evoluzione della lingua italiana da Machiavelli in poi.
Ma ribadisco, tutto questo è il MIO parere. Se poi qualcuno vuole attribuirmi poteri di giudizio sui futuri letterari altrui, quello è un suo problema.
per rispondere a elena un po’ di commenti fa. non ti capisco quando scrivi che è impresa coraggiosa scegliere di scrivere a quattro mani con qualcuno che non si conosce. se fosse un gioco davvero e basta, non si userebbero, secondo me, certe parole come coraggio che trovo esagerato utilizzare in questo contesto. tutto qui. inoltre trovo un po’ forzata e riduttiva questa cosa di voler a tutti i costi definire il gioco un gioco.
tuttavia per tornare ai racconti che poi sono la ragione di tutto questo, quello che mi è “dispiaciuto” di più dei racconti letti fino ad ora è una certa mancanza di inventiva, se posso permettermi una simile obiezione. i racconti letti mi sono sembrati, a parte un paio forse, “sottotono”, ma credo anche che tutto ciò sia dovuto alle regole: dover esaurire un racconto, pur minimo che sia, in tot battute non dev’essere cosa semplice, tutt’altro. spero di non offendere nessuno, è solo una mia impressione espressa come la sento.
p.s. io attendo gli altri racconti tra i quali ci sono quelli di alcuni tra i miei bloggers preferiti che secondo me non si sono ancora “espressi”. poi magari mi sbaglio e mi prendo le ciavattate in faccia.
Caro t, intendevo la comprensibilità, intesa come consequenzialità degli avvenimenti, almeno in un testo narrativo classico come quelli qui presentati. Invece l’interpretazione che ciascuno ne fa o la sensibilità personale con cui uno recepisce un testo è squisitamente soggettiva, certo.
Per fare un esempio, il penultimo racconto non l’ha molto capito quasi nessuno, però alcuni hanno detto che a loro era piaciuto anche riconoscendo che era poco comprensibile.
(va be’, SIA)
… e forse sbaglio anche quando penso che la “comprensibilità del testo” – cito Fratti – è una delle cose più soggettive.
Credo di non sbagliare quando penso che questo non sia un “concorso letterario”. E’ un gioco: serio, stimolante, (a tratti) divertente gioco.
In effetti, penso che l’unico a “giustificare” il titolo dovrebbe essere il testo. Ma forse sbaglio.
Penso che con civiltà si possa (e si debba) dire senza reticenze la propria opinione.
Apprezzare chi comunque si mette in gioco, essere consapevoli che scrivere è un incontro, non può esimere da fare motivate critiche. Non direi mai che un racconto “fa schifo”. Se però la scrittura è scorretta, o pesante, o fine a sè stessa, o la storia non c’è o non torna, mi sembra giusto dirlo, altrimenti mi sentirei ipocrita. Nella consapevolezza che rimane una mia opinione e che i gusti di ognuno sono diversi. Però certe cose, come la correttezza grammaticale e sintattica o la comprensibilità di una storia, sono fattori obiettivi. E anche se questo, come concorso letterario, è atipico, penso che se mancassero le critiche questo confronto perderebbe molto senso. Le critiche costruttive sono sempre utili, anche a chi le subisce. Se poi sono distruttive, inutilmente sarcastiche o fini a se stesse, si dovrebbe avere la capacità di non tenerne conto e di non lasciarsene ferire più di tanto.
lucipestifera, era riferito al “mi ritiro in buon ordine”.
io? molto più di quanto non si creda.
t, lo era. mi faceva un po’ specie che si arrivasse a dire la propria sul titolo. nel senso che, un minimo, credo sia diritto di ogni scrittore, che lo faccia per professione, per gioco o per passione non dover “giustificare” proprio tutto. il titolo, specie qui, che non c’è nessun editor a metter naso, nessuna esigenza di mercato o di oppurtunità lo lascerei alla libera intuizione/suggestione dell’autore! :)
io non ho scritto un rigo. mica sono in gioco. critico. sono una criticona. lei no, elena coi puntini?
lucypestifera, non ti conosco e i giudizi qui possono essere sommari quanto affrettati.
(era quello che io volevo un po’ stigmatizzare. questo giudizio “senza scampo”. “è così perché lo dico io” “e io ho tutta la libertà di dirlo” “sottostare alle regole del gioco” ma quali?)
ma consentimi il dire “non gioco più, me ne vado” è proprio dei bambini dell’asilo.
come ha detto remo, io ritengo sia più costruttivo (visto che è stata usata questa parola) un confronto. anziché l’atteggiamento “corrida”. i pomodori io personalmente li lascio tirare a qualcun altro.
Concordo con lucypestifera numero 30!
Les jeux sont faits!
mi cade un mito, remo bassini. la mazzantini è di plastica con le sue metafore alate e le sue emozioni cinematografiche, carver neanche a me fa battere il cuore, è stato un po’ sopravvalutato e tutti giù a riempirsi la bocca che se non lo leggi e godi, stai zitto, chi cavolo sei.
vada per il buonismo: premierà tutti parimerito? a che serve giocare? stiamocene tutti assisi nei nostri blog ad aspettare di essere omaggiati da visitatori pietosi o taciuti da visitatori che non si sporcano e non si sprecano a dire un ette perché fa tutto schifo. così non si cresce. e perché dovremmo crescere? e perché scriviamo, allora? io credo che chi tace molte volte non sappia nemmeno da che parte cominciare per formulare un giudizio scritto. ecco perché si scambia un giudizio non buono ma motivato per eccessivo inopportuno e chiticredidiessere. ognuno ha la sua storia e la sua preparazione e questa va rispettata. ripeto: non siamo ragazzini immaturi e/o rabbiosi da asilo d’infanzia. per carità, mi ritiro in buon ordine e mannaggia a me che ho voluto “curiosare” e venire allo scoperto aderendo ad un invito.
buona sera.
così, son di fretta e me ne scuso; ma sono in sintonia con e.l.e.n.a.
è difficile che io dica che una tal cosa che ho letto sia una schifezza; e non per buonismo; ma perché ritengo la lettura un incontro.
e un incontro può avvenire o in salita o in discesa: dipende dai punti di vista.
è giusto il punto di vista di chi scrive come di chi legge.
un po’ di umiltà in entrambi (Franzen che si dice terrorizzato perché teme di non farsi capire) non guasta, per me, ovvio.
poi.
dal momento che sono anarchico e casinista mi sta bene, da un lato, che qui chiunque voglia dire dica; dall’altro mi spiace perché qualcuno che ha scritto ora è pentito d’averlo fatto.
un conto è dire, Non mi piace, un conto è stroncare.
il problema comunque c’è stato anche l’anno scorso.
e due scrittori, il sottoscritto e un autore che pubblica con gallimar e voland, furono stroncati.
il bello e il brutto del racconto senza il nome dell’autore.
e infine.
appartengo alla cerchia di scrittori di serie b o c, non so.
e tante volte sento dire a scrittori quotati più o meno come me che il tal racconto, scritto da uno scrittore di serie D, fa schifo.
indovinate cosa dice, poi, l’autore di serie A.
e quello che gioca in champion di quello di A, eccetera.oddio, proprio così non è.
chiaro che tutti prima o poi incontrano chi dò loro lezioni.
(come chi dice, Cazzo, scrivere in italiano almeno. Solo che ognuno di noi sa l’Italiano ma fino a che punto: da accademico della crusca?)
che poi: le regole vanno anche sovvertite altrimenti scriveremmo ancora come Machiavelli).
ho conosciuto anche scrittori – e sono i miei preferiti – autori che preferiscono interrogarsi sulla scrittura degli altri.
e adesso chiudo per davvero ma chiudo con una “bomba”: a me Non ti muovere della Mazzantini è piaciuto, i racconti di Carver invece no, li leggo ma senza entusiasmo.
Non so come la pensate , ma io mi sto divertendo un sacco, con racconti e ancora più con i commenti. Qualcuno ancora è convinto che lo dica perchè sono buono o voglio fare il simpatico ad ogni costo? Io faccio il pane da trent’anni i clienti vanno e vengono e più o meno fanno gli stessi discorsi che stiamo facendo qui. Partecipo con due racconti, il primo scritto alla velocità della luce, in perfetta intesa con le altre due mani , il secondo fatica a decollare ma è un grande stimolo per me, ma qui come detto già da qualcuno sopra mi sento soprattutto lettore e finora in ogni racconto ho trovato qualcosa che mi è piaciuto, anche una sola riga, perchè non avrei dovuto sottolinearlo?
Uno dei più bei libri che ho letto è Delitto e castigo , non sono 6000 battute eppure ogni volta torno sulla stessa paginetta, più o meno 20 righe la leggo, la rileggo e ogni volta mi commuovo, non dovrei dirlo?
Fausto Marchetti
e.l.e.n.a, per la polemica sul titolo de “La casa del mais” mi prendo la responsabilità che ho.
Anche se, in quel caso, mi sembra si sia trattato di un confronto civile di opinioni diverse, dove nessuno ha tirato in ballo la sorella di nessuno.
So che è difficile la distinzione perché ciascuno filtra le parole altrui attraveso la propria sensibilità – oltre che conoscenze, gusti ecc. – così il cercare di esprimere la propria opinione seguendo un ragionamento può apparire facilmente come “lezione” (cosa che io sarei proprio l’ultima a poter impartire a chicchesia).
La tua espressione “un’impallinatura perpetua per alimentare il proprio hardire” me la segno perché mi sembra una sintesi perfetta. E, ripeto, forse non è sempre facile distinguerla da quello che ho chiamato “opinione ragionata”. Ma se si rinuncia pure a quest’ultima, ci si “riduce” davvero al mi piace-non mi piace oppure alle lodi quando ci pare il caso e al silenzio per tacere il non-piacere. E’ una soluzione, questa, una delle possibili.
può darsi che mi ripeta rispetto a quanto viene detto nella lunga serie di commenti, ma non ce la faccio a leggerli tutti. ho capito che c’è a chi va che “si tiri al piccione” e a chi no, per niente. forse se ci fossero i nomi scriveremmo cose buoniste? può darsi. non me lo sono chiesto: ma queste sono le regole di questo gioco e i giochi si giocano con le regole poste all’inizio. ora: niente di quello che sin qui ho letto merita un giudizio completamente favorevole perché, prendendo l’aspetto più generale e comune a tutti, manca un po’ la mano. in certi casi terribilmente, in altri meno.
chi siamo per giudicare? dei lettori. caspita! più aventi diritto a giudicare dei lettori. lo facciamo con gli scrittori uficiali, quelli allo sciacquamorbido come la mazzantini o giordano, con i nazionalpopolari come camilleri, lo facciamo con i grandi: perché no? non possiamo farlo con dei dilettanti che si sono offerti di partecipare, con dei dilettanti anche poco dilettevoli? che paura fa il giudizio, dio mio! i blog dei poeti della domenica, come ci chiamano i letterati e i critici di mestiere, straripano di commenti sdolcinati per delle fesserie colossali. c’è una marea di brutto letterario nel web che fa paura: e rimane probabilmente tale perché nessuno dice la verità oppure perché non accettiamo di essere criticati.
dire che un racconto non ha molta logica, o che i personaggi sono poco credibili non mi pare cattiveria. che un racconto sia sgrammaticato, anarchico quanto a diacritici etc. : è un dato di fatto. avete presente la corrida? ahò: se uno stonava o ballava come un ippopotamo lo fischiavano. se mi capitava di vedere il programma causa zapping io stavo male per le brutture, mica per i fischi e le pernacchie che uno si prendeva. ti metti in gioco? vai fino in fondo. che assurdità dire “chi siamo per giudicare”. l’offesa, lo sfregio no. ma la critica sì. siamo mica dei ragazzini. magari lo fossimo.
sonia, posto che io concordo con il tuo giudizio sulla mazzantini, ma non mi pare c’entri molto il giudizio che si può dare di un libro con il confronto che c’è qui, per un gioco.
ferrugno nudo. scusatemi (al plurale) perché sicuramente sono io che non mi so spiegare, ma dove trovi nelle mie righe il fatto che io approvi quei commenti di apprezzamento del coraggio? ho solo sotteso che scrivere con qualcuno che non si conosce e soprattutto se non si è scrittori di professione è un’ “impresa” che richiede del coraggio.
non mi si faccia passare per colei che deve dare il contentino sempre e comunque. non è affatto il mio caso.
e comunque proprio perché questo non mi sembra un “concorso” letterario, ma per come è fatto (coppie per esempio assemblate all’ultimo e proprio per spirito di gioco) mi pare che ci sia un intento giudicante davvero spropositato.
scusate ancora e con questo non voglio nulla togliere all’impegno di chiunque (oltre che al mio) nell’affrontare questa avventura, ma è come se uno vi facesse vedere le sue foto delle vacanze e quelli che sono andati a vederle trovassero cento e più difetti di posa, angolazione, luminosità, inquadratura e magari si permettessero anche di dire a voce alta “chissà perché ci ha messo un gabbiano vicino alla casa, non ha senso!”
(e qua mi ricollego alle “polemiche” sul titolo inappropriato, secondo alcuni, al racconto, la casa del mais. cioè mi pare davvero pretestuoso!)
comunque, sicuramente sono io che non ho capito le regole del gioco. a me pare del tutto sproporzionato ed eccessivo. non credo (ma probabilmente mi sbaglierò anche qui) che nessuna delle coppie partecipanti ambisca a diventare i nuovi fruttero&lucentini o altro.
e soprattutto io non ho da insegnare proprio niente a nessuno.
quindi non condivido ma me ne faccio una ragione. da minoranza quale, con tutta evidenza, sono.
@ e.l.e.n.a. io proprio non capisco dove stia il problema a definire un racconto “brutto” o “illeggibile” se tale è nell’opinione di chi legge. non credo sia giusto, in nome della fantomatica costruttività di cui tante volte si è detto in questi giorni, alterare il senso delle cose con inutili giri di parole. e poi chi lo dice che gli stessi autori non siano in grado di “sopprtare” certi “giudizi”? tra l’altro io pensavo, leggendo i commenti a questi racconti, a quanto sono “buoni” questi commentatori ed eccessivamente, in alcuni casi e non solo nell’ambito di questa “rassegna”, diplomatici. sono parzialmente d’accordo con te quando dici che un racconto firmato determinerebbe un atteggiamento diverso. spesso mi è capitato di leggere commenti inspiegabilmente ed ingiustificatamente entusiastici per “scritti d’ autore” che in realtà erano appena passabili. inoltre mi sembra davvero assurdo continuare a leggere di “coraggio” solo per aver scritto un racconto e aver deciso di partecipare a un concorso. ci tengo a sottolinearlo perchè da quando ho cominciato a seguire questa iniziativa, questa rivendicazione, mi è parsa la più assurda di tutte.
Sì, commenterei esattamente nello stesso modo.
esattamente con lo stesso tono dico che Non ti muovere della Mazzantini è ai miei gusti tremendo e illeggibile o che Un sabato con gli amici di Camilleri è stato assolutamente deludente e a dirla tutta mi ha fatto pure un po’ schifo. (nb: io amo il Maestro).
ps. anche tra autori e scrittori secondo me c è una grande differenza, ma questa è un altra storia…
sterno, no, io non lo confondo. in compenso, torno a dire che la parola riguardo è davvero una parola dimenticata.
morena, scusa ma nel commento 21 ho citato persino degli esempi. più di così.
comunque lascio perdere. a me era sembrato, sin dal primo racconto, in verità, che ci fosse un po’ troppo accanimento nei giudizi, tutto qui. e che la cosa sia andata via via crescendo.
a me sembra che qua si faccia un po’ troppo i maestrini.
ma chi deve insegnare cosa?
se ciò che scrivesse remo non mi piacesse glielo direi, e.l.e.n.a.
Non ho mai finito La donna che parlava con i morti, per dire. ebbene?
davvero confondi giudizio con servilismo?
secondo me ti sbagli di grosso.
allora, elena, scusami, ma non ho capito cosa ti ha disturbato.
quale commento? se ci si spiegasse davvero forse sarebbe utile per le prossime occasioni, che siano racconti a 4mani da remo o scambi di pareri su un post.
gli anni scorsi ho (abbiamo. con i diversi soci che ho avuto) ricevuto commenti non proprio belli, ma ho sempre aperto le orecchie e cercato di capire cosa non andava in ciò che avevamo scritto.
premesso che scrivere a 4 mani non è come scrivere da soli.
e premesso che anche lo scrittore più bravo del mondo, ha i suoi ‘racconti no’.
non ostante i commenti non proprio lusinghieri questo è il terzo anno che partecipo a quello che considero un ‘gioco’ e un’opportunità per migliorare, come lo è sempre il confronto con gli altri.
niente di tutto questo fausto.
mai l’ho detto. penso solo che tra il mentire ed avere riguardo (ok, dite pure che è una parola obsoleta, prima ancora di un sentimento) ci sia una grande differenza.
no, io non sono rimasta fuori dal concorso. anzi, ci sono per ben due volte!
(è un’altra elena ad essere rimasta fuori) comunque grazie!
io credo che un gioco sia un gioco.
e debba avere la leggerezza del gioco.
qualcuno ha detto che gli autori dei racconti si prendono troppo sul serio.
a me pare che siano i commentatori a prendersi dannatamente sul serio.
si parla di concorso, di velleità da fermare finché si è in tempo, si esprimono giudizi che a me non sembra vogliano aiutare (posto che non lo ritengo il luogo adatto per farlo) lo scrittore ma metterlo alla berlina facendo a gara a chi trova più errori o incongruenze. (posto che queste ultime siano del tutto personali: la metafora delle borse sotto gli occhi/valige che io ad esempio ho apprezzato, o il chiamare una vecchia nobildonna maman come io ritengo del tutto plausibile)
ripeto mi sbaglierò e io, per chi mi conosce sa che sono tutt’altro che buonista, ma mi sembra che l’intento del gioco dovrebbe essere un altro. divertire e divertirsi. dai commenti questo non mi pare proprio che accada. almeno non a me.
e con questo dico che apprezzo la battuta sagace, pungente, ma non l’affondare il coltello nella piaga a titolo gratuito. definire un racconto “tremendo” o “illeggibile” non ha alcun fine “didattico” (e lo scrivo tra virgolette) e non c’è nessuna “liberalità” di giudizio che lo giustifichi, ritengo.
morena, certo, se te lo autoscrivi (come ho detto) è proprio il racconto che piace a te… perfetto.
non so, penso che ad esempio (e non me ne voglia remo, che prendo solo a titolo di esempio perché è quello che qui ha il maggior peso specifico in senso letterario) se fosse uno degli autori di questi brani, non ci si esprimerebbe così.
comunque questi erano e rimarranno soltanto miei pensieri. rimane, a fondo di questo, una mia lieve piccola personale amarezza. tutto qui.
@elena condivido il commento di sterno e Morenafanti.
Perchè dovremmo mentire? per essere molto buoni? per ottenere consensi e applausi quando sarà il nostro turno?
Io conosco i miei limiti ed accetto tutto ciò che si scrive sul mio racconto, certo possono darmi fastidio le battute cattive e gratuite, ma sempre sono riconoscente a chi mi da una mano ad aggiustare il tiro e mi insegna regole di scrittura che ancora non conosco. Ho la piena consapevolezza che non pubblicherò mai niente (non ci ho neanche mai pensato) ti devo dire che sono arrivato tardi alla scrittura, ma sto bene , continuo ad imparare e conoscere persone che hanno tante cose belle da raccontare e da dire. Ringrazio Remo e chi come lui che offre queste opportunità o occasioni chiamale come vuoi per stimolare la scrittura.
Un ultima cosa,ho letto che sei rimasta fuori per un pelo dal concorso, non puoi lo stesso dare la disponibilità a qualcuno di noi di scrivere con te il racconto che volevi scrivere, io ti risponderei di sì , senza alcun problema (magari poi ti pentiresti per il brocco che ti sei scelta , ma sarà sempre una buona occasione per conoscerci e scambiarci le nostre esperienze) .
Un abbraccio da Fausto Marchetti il falconiere
io scriverei gli stessi commenti.
dov’è il problema e.l.e.n.a.?
questo gioco si chiama già ‘scrivi il racconto che piace a me’. non scriviamo già il racconto che ci piacerebbe leggere? se la scrittura è seria, convinta e sincera, non avremo alla fine un racconto che ci piace?
o non ho capito cosa hai scritto?
forse è così.
boh, elena. è un gioco in cui c’è chi scrive e chi commenta. sono previsti voti. e quindi dei giudizi. a tutto campo, mi pare. se non si vuole partecipare basta non farlo. se invece si partecipa si sta al gioco. e non è esattamente fare il piccione impallinato. piuttosto accettare le regole del gioco. certo, a volte si esagera. mi è capitato. e ho chiesto scusa. anche questo fa parte dell’essere umano. inciampare. ad ogni modo mi pare che i giudizi diretti aiutino la critica e l’autocritica di chi scrive e di chi legge e non ci vedo nulla di male. poi, nick o nome o anonimo non vedo cosa cambi. si scriverebbero gli stessi commenti, certo. e perché no. mi sembra invece questo di remo un ottimo campo di battaglia in cui finalmente si dice qualcosa sugli scritti di chi ci prova (e ci spera e magari ci sogna). troppo spesso il mondo editoriale e intellettuale o intellettualoide recita il silenzio dissenso, della serie: non ti dico nulla, significa che il tuo pezzo mi fa schifo, ma non ti dico perché, non ho tempo, ho ben altro da fare, io, devo star dietro agli scrittori veri. bé no! diciamole una buona volta le cose, così magari ci diamo una mano a capire cosa siamo e cosa non siamo. può servire.
o no?
caro remo,
sono un po’ ottusa, ma ho capito lo scopo del tuo gioco.
perché è di un gioco, vero, che si tratta?
lo scopo è: il tiro al piccione.
un’impallinatura perpetua per alimentare il proprio hardire.
detto questo ti propongo un nuovo gioco per il prossimo anno.
“scrivi il racconto che piace a me”.
dove ognuno si scrive, in forma autonoma, il racconto che gli piacerebbe leggere. e poi se lo stira e se lo ammira e se lo commenta con entusiastiche espressioni di giubilo, approvazione incondizionata per fantasia, abilità, fior di metafora, grammatica ineccepibile, semantica ma che lo dico a fare… tzè!
e a tutti quei poveretti che si misurano con coraggio, spensieratezza, sperimentazione, abilità, casualità , magari anche avventatezza, nell’intrecciare quattro mani, due pensieri e venti mail…
vaffangù, va!
[p.s.: un dubbio: ma se, anziché in forma anonima, i racconti fossero pubblicati con nome o nick e cognome, scrivereste i medesimi commenti?]
(questo mio non si riferisce necessariamente ai commenti a questo racconto, ma, in generale, a molti che si sono susseguiti a partire dal primo racconto pubblicato)
Mi aggrego a Lucy e Elena.
Un bel racconto scritto bene. La contessa è appena un po’ troppo Contessa, ma la Luigia mi piace assai.
Parla bene la Luigia. Ha gli occhi aperti e vede le cose.
Doveva essere riletto e limato ancora un poco ma è un buon racconto.
“C’è la vita nei fossi, se ascolti” è il cuore del racconto, per come la vedo io. Il punto esatto in cui c’è una svolta che ti cattura e non puoi più fermarti. A parte la musicalità della frase ci ho trovato un’intera vita da raccontare.
Mi è piaciuto.
Poi mi ha innervosito (problema mio) ancora una volta la mancanza di rilettura. (Lugia invece di Luigia – si si invece di sì sì). Sono sciocchezze, lo so bene. Ma poca attenzione in più comporterebbe enorme beneficio all’intero racconto, che, peraltro, è il mio preferito (ad oggi).
Non sarà il racconto del secolo, però è garbato e piacevole, scritto correttamente e il tema della vecchiaia e della morte che livella non credo debba necessariamente essere trattato in modo drammatico e altisonante, specie in 6000 battute.
Di racconti pseudodrammatici e pseudoletterari ne ho letti qualcuno di troppo fra quelli precedenti. Perlomeno questo può definirsi una storia e non un esercizio di stile.
Soltanto per dire che in provincia di Torino, in Val Pellice, esistono centinaia di persone che chiamano la madre “maman”.
Per di più il cognome Reverchon, dato dagli autore/i, al personaggio di sopra, pare simile ad alcuni di quella zona.
sottoscrivo elena.
lucy aveva letto attentamente, certo più di me.
sono ancora con lei e con elena
Leggendo pensavo alla ‘Livella’ di Totò.
In questo racconto, a differenza della ‘livella’ i personaggi si raccontano mentre sono in vita, anche se, a dire la verità, potrebbero essere morti viventi e forse gli autori/autrici volevano rimarcare proprio questo aspetto.
Il tono del racconto è leggero come se si volesse alleggerire il peso della vecchiaia, della casa di cura, della morte che attende al varco e non fa paura, anzi.
Ma è proprio questa non paura della morte che fa capire quanto alla fine la vita sia diventata insopportabilmente vuota di sentimenti e cose e persone che ci abbandonano lungo la strada, che la strada è finita dentro il recinto di un ricovero.
Ciao Lucia
elena: sei teribbbile e perfetta. non osavo, né sarei riuscita, altrettanto.
Spiace doverlo dire perché trovo questo un racconto corretto e curato, ma secondo me, la vecchiaia, la fine della vita, la solitudine, i ricordi, le illusioni sono dei grandi temi che potevano essere trattati librandosi un po’ più in alto invece si è scelto di rientrare nel filone del “Anche i ricchi piangono”.
Retorica e luoghi comuni a piene mani: la vecchina poverella ma saggia e piena di buon senso per la dura vita trascorsa tra risaie, fabbrica e famiglia e la vecchia riccona (ex riccona) pretenziosa, lamentosa e illusa che con i danari si arrivi dappertutto.
La riccona è una caricatura con nomi altisonanti (addirittura chiamata “maman”, ma chi lo usa più?) che dipinge, ricama e suona il pianoforte, dall’altra parte dello schema più schematico che c’è la poveretta invece è Ranghino Luigia di anni ottantatre, mondariso, operaia e amante delle umili rane.
Due mondi distinti? E invece no: zac, i poveretti si prendono la rivincita ed eccoti apparire la morte lampadata, allampanata e con tanto di esoftalmo piccionesco che ricorda al pubblico che tutti si deve morire. Amen.
mi pare che le due donne siano “parallele”, tutto qua. i granchi sono buoni in pastella, dalle mie parti. lettura sommaria la farà lei, o sua sorella. non io che ho, pur nelle mie “pretese”, massima attenzione e rispetto per la “scrittura” di chiunque.
sta’ a vedere che il racconto è un capolavoro della letteratura mondiale e non me n’ero accorta. mi pare di aver concluso con complimenti, se non sbaglio: a proposito di lettura sommaria. che, l’ha scritto lei, T.?
Boh…, certe volte mi viene il dubbio di non leggere lo stesso testo.
Lucypestifera e Cristina Bove (visto che si dice pienamente d’accordo con Lucy) vorrebbero “un diaframma di interazione tra le due donne” (e allora ho visto solo io la contessa ad avvicinarsi alla Luigia, l’ho sentita solo io a parlarle mentre la Luigia la squadra e sta zitta?) dalla quale dovrebbe emergere – nel senso che dovrebbe essere non suggerita, come è avvenuto, ma (de)scritta a chiare lettere – la vecchiaia con i suoi acciacchi come “livella sociale”.
Ora, di granchi di disattenzione si possono prendere e chi sa quanti ne prendo e prenderò io. Un’altra cosa è la lettura sommaria. Non stupisce poi, di conseguenza, la reiterata richiesta di “esplicitazione” rivolta ai testi.
con lucy, dovrei ripetere le stesse cose.
di fondo noto che c’è comunque una capacità di “sentire” il senso della vita, della vecchiaia, dell’abbandono, della morte…
Falconiere, ti ringrazio per la citazione, inattesa e gradita.
trovo il racconto un po’ sbilanciato. la contessa è una macchietta, mentre la luigia ha dei caratteri lirici. la fine arriva troppo in fretta: si sa che la morte non chiede appuntamenti, ma avrei creato un diaframma di interazione tra le due donne, prima dello scioglimento finale, da cui emergesse, che ne so: che, per esempio, nobili o popolane, la vecchiaia, gli acciacchi e la solitudine sono una brutta bestia. tuttavia: è un racconto con una logica, una direzione, e dei passaggi azzeccati. brave le quattro mani e le due teste pensanti.
“C’è la vita nei fossi se ascolti”.
Vite parallele in linguaggi diversi,
riporto una strofa di una poesia che ho letto venerdì scorso sul blog di Cristina Bove:
“Abbracciati a sé stessi
hanno smesso di correre sui lampi
dei sensi senza nome
a notte piena
non si chiamano più
vendono il sole un tanto al giorno
alla casa dei vecchi.”
Complimenti agli autori.
Marchetti fausto
E’ un testo molto onesto. Due scampoli di vita cuciti insieme con i punti bene in vista. Il finale da fiaba, con questi personaggi, ci sta.
(La signora contessa non me ne voglia, avrei preferito se su quell’automobile ci fosse stato un solo posto, così la Luigia restava a cüntàa ancora per un po’ :)