Il podere Landini era l’ultimo del giro di vendita per quella giornata. Era situato a ridosso della golena e per arrivarci era necessario seguire la sterrata che si srotolava sopra l’argine maestro come un nastro ondeggiante.
Giorgio imprecò contro le buche che costellavano il fondo ghiaioso, maledicendo la polvere bianca che si sollevava densa per poi ricadere sul cofano e sui vetri dell’auto.
Era stanco di quel lavoro che lo portava a viaggiare da un punto all’altro della pianura, per convincere i proprietari delle aziende agricole all’acquisto dei mangimi e degli integratori zootecnici Moroni: la nostra filosofia è dare enfasi ai prodotti di salvaguardia della salute delle vostre bestie.
Ne avrebbe avuto bisogno lui, di qualcosa che lo enfatizzasse: gli costava sempre più fatica mettersi in auto, macinare chilometri lungo strade che si perdevano tra distese di granturco e campi di barbabietole e trifoglio, per incontrare bovari e contadini e sfoderare la sua parlantina a promettere mirabolanti risultati.
Inoltre, da qualche giorno, sentiva uno strano tremolio alla palpebra destra, una vibrazione incontrollabile che si presentava a tratti, un fremito fastidioso che lo portava a strizzare gli occhi ripetutamente. Come in quel momento. Con la mano libera dalla guida si allentò il nodo della cravatta, sbottonò il colletto della camicia e lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore sperando di intercettare quella corrente nervosa che portava l’occhio a titillare sgradevolmente…
Nulla da fare. La palpebra si contrasse di nuovo, ma ciò che poteva vedere nel rettangolo bombato dello specchietto era solo la strada. Polvere, granturco, una roggia che qualche camparo aveva appena aperto, un mucchietto di stracci rossi e qualche cespuglio. Rallentò di colpo. Mucchietti di stracci rossi che apparivano all’improvviso alle sue spalle non rientravano nel panorama usuale delle sue giornate!
Rallentò ancora, sino a fermarsi. La polvere si depositò, l’occhio diede un altro tremolio, e lui tornò a fissare la strada. Deserta, con la sua auto in mezzo ai piedi e il mucchio di stracci rossi di fianco alla carreggiata.
Giorgio non era un uomo di fegato e lo sapeva. Aveva frequentato l’istituto agrario del paese per non affrontare il viaggio in treno alla ricerca di qualcosa di più soddisfacente. Aveva interrotto gli studi di medicina per evitare lo stress degli esami e le code alla mensa. Si era adagiato nella routine della filosofia Moroni per non tenere testa alla figlia del capo, sua moglie, che premeva per il posto sicuro nella ditta del paparino. A dirla tutta, amava persino distribuire lo zimoferment (prodotto innovativo formulato allo scopo di migliorare l’efficienza delle bovine), anche perché, in caso di problemi, chi ci avrebbe rimesso sarebbero state soltanto le interiora di una povera mucca, mica quelle di un cristiano. I suoi prodotti, beninteso, erano comunque capaci di performance eccezionali: anche le vacche stavano al sicuro.
Scosse la testa, allontanò i pensieri e diede una nuova sbirciata allo specchietto: il mucchio rosso era ancora là. Immobile.
“Stracci, un mucchio di insignificanti resti… una vecchia camicia, una giacchetta perduta da un trattorista troppo preso dal lavoro… Forse una sacca, con qualche attrezzo decrepito… Non vale la pena fermarsi”.
Eppure rimaneva incollato a quella porzione di vetro che rifletteva nelle sue pupille il cumulo colorato. Spostò lo sguardo di qualche centimetro e incontrò finalmente i suoi stessi occhi. Erano quelli di sempre, l’identica sfumatura nocciola dell’iride, la piega obliqua del sopracciglio, l’arrendevolezza che lo faceva apparire mite e remissivo. Troppo. Insignificante e inetto: così appariva agli altri e, da qualche tempo, a se stesso.
Girò la chiave e finalmente spense il motore, senza staccarsi da quella immagine di sé che lo osservava.
Si rivide molti anni addietro, quando con i suoi compagni di gioco si sfidava ai tuffi dal ponte sulla Fiuma, il grande canale di irrigazione che costeggiava il paese. Rievocò il momento in cui sarebbe bastato poco, un nulla, per afferrare la mano di Riccardo che scivolava sotto. Sarebbe stato sufficiente allungarsi, sporgersi in precario equilibrio, sfidare il coraggio vero, non quello artificioso del gioco, sentirsi capace di aiuto… Era rimasto fermo e aveva sentito lo scrollone di Giulio, che lo superava di corsa sbattendolo da parte, e si spenzolava, strappava su l’amico e lo metteva al sicuro.
“Ma sei scemo? –, aveva urlato come un pazzo, ancora chinato su Riccardo che tossiva e sputava acqua dappertutto. – Sei scemo?? Non hai visto che andava sotto?”
Era rimasto ancora fermo, guardando i due, uno sdraiato, l’altro al suo fianco in ginocchio, e pensando a quello che aveva detto la maestra la mattina:
“Il coraggio, se uno non l’ha, non se lo può dare”.
Ecco, se lo diceva la maestra, era vero, no? Questo voleva spiegare, ma era stato zitto, con Giulio che tirava in piedi Riccardo, occhi rossi e naso che colava, e l’occhiata che gli lanciarono entrambi, e poi la processione silenziosa fino a casa. Alla Fiuma non erano andati più.
Lo riscosse dai ricordi lo stridio di qualche uccello. Tornò a guardare lo specchietto, notò un movimento. Il rosso aveva mutato posizione?
Mise la mano sulla maniglia della portiera e spiò ancora il fondo della strada. C’era silenzio e sole e qualche ronzio lontano e se avesse visto il mucchio spostarsi, sarebbe sceso e sarebbe andato a controllare.
Ecco: un altro fremito, un debole svolazzo.
Fissò la mano poggiata sul volante, poi la strada bianca davanti a sé con i cespugli di rovi che si agitavano piano. C’era un’aria leggera, calda, quasi soffocante. Sufficiente a far muovere una vecchia camicia abbandonata sul terreno?
“Sufficiente, sì”, mormorò piano.
Lasciò la maniglia, riprese il volante e rimise in moto. Il podere Landini non era lontano e quel pomeriggio avrebbe fatto buoni affari. Si concentrò sulla guida, mentre il muscolo della palpebra si contraeva ritmicamente.
Finalmente un vero racconto. Mi piace per come è scritto, per la storia, per il finale, molto realistico, purtroppo. Credo proprio che nella mia classifica dei preferiti salga al primo posto.
Milvia
la fotografia di un breve istante, come una vecchia imamgine in B/N che guardandola con attenzione racconta molto.
Durante la lettura temevo di andare incontro ad una conclusione banale ed invece sono rimasto piacevolmente sorpreso.
E’ vero, “il coraggio se uno non l’ha, non se lo può dare” e questo è l’ottimo ritratto di un Don Abbondio dei nostri tempi. E’ anche vero però che non si può allarmarsi e pensare il peggio ad ogni movimento di stracci.
mi scuso per i refusi :-(
il tic della palpebra è la ciliegine sulla torta di questo racconto ottimo sotto ogno aspetto, e che, con Laura, metto tra i primi.
Questo Giorgio è il ritratto dell’uomo che sempre più ci capita di incontrare oggi.
Non è solo un problema di codardia; sono l’indifferenza, l’irresponsabilità, la superficialità che colpiscono e che, a mio avviso, caratterizzano le società moderne.
Non so se sia casuale o volontario l’accostamento tra un paesaggio rurale ,che ci riporta ad altri tempi, e un personaggio tremendamente attuale , ma trovo che sia meritevole di approfondimenti.
Fluido: va via che è un piacere ( e così dev’essere). Personaggio ben costruito, coerente. Mi piace un sacco.
mi piace molto. è la dimostrazione che, se si è bravi, si possono far stare molte cose in un racconto breve, senza che sembrino affastellate o confuse o incomprensibili.
Scritto moltobene ma lo trovo un po troppo semplice
“Il coraggio, se uno non l’ha, non se lo può dare”. Lo sapeva anche il caro Don Abbondio :-)
È vero, comunque.
Bellissimo racconto.
Molto bello. Un racconto di inettitudine. Bravi gli autori.
Con Antiferesi, il migliore finora. Piaciuto molto.
Carino, anche se si sentono le quattro mani. Scrittura più ricercata, anche troppo nella prima parte, più immediata nella seconda. Più letterario che narrativo.
Mi piace. Ho sperato fino alla fine che trovasse il coraggio di andare a vedere, ma il non averlo fatto rende il racconto ancora più valido. Lo metto nella sestina senza se e senza ma… Oddio, un ma ci sarebbe: anche a me ogni tanto si contrae una palpebra. Mi devo preoccupare? (O_O)
1) Due zone diversamente influenzate
2) Take away
3) Anni sereni
4) Complesso vocale
5) Contrazioni
6) Antiferesi
Spiacente per Beautiful monster :(
Anche per me è il migliore. Complimenti agli autori, e buon ferragosto a tutti. Lucia
Mah! Sarà per il vecchio Landini, il trattore fermo ida più di vent’anni in fondo al portico della cascina a cento metri da casa mia. Sarà perchè i personaggi mi ricordano i due fratelli contadini Nuhent e Gasper, sarà perchè in quella cascina ho bei ricordi e altrettanti ne hanno i miei figli, sarà perché mi piacciono le storie rurali, sarà, sarà , sarà, ma per me questo é il racconto migliore che ho letto finora. Complimenti , complimenti agli autori.
Il falconiere Marchetti fausto