La prima cosa che non va nel giornalismo è il problema spazio-tempo.
La spazio è la prima pagina di un giornale oppure la scaletta di un telegiornale.
Si scelgono le notizie.
E il tempo è quasi sempre variabile.
A. C’è niente oggi.
B. C’è troppo oggi.
(Poi ci sono i giorni metà e metà, che sono i più, forse).
Ecco, metti che un uomo politico noto ma non troppo decida di annunciare al mondo che ha fondato un nuovo partito.
E metti che uno scrittore noto ma non troppo vinca un Premio quasiasi.
E metti che un’attricetta si rivolga al giornale o al tiggì per annunciare che si sposa per la sesta volta.
Se c’è niente oggi, rischiano tutti e tre di diventare famosi. Prima pagina con foto, e magari riquadro a parte, con passato, presente e futuro.
Se c’è troppo oggi, rischiano di diventare… dei trafiletti anonimi. O, peggio, di non essere nemmeno pubblicati.
(Fiuggi, 2003, lezioni ai praticanti, tra cui io, che dovranno poi sostenere l’esame da giornalisti. Tra i miei appunti c’è questa frase, di uno dei docenti. “L’obiettività giornalistica non esiste, si pensi alla tenaglia spazio-tempo”. Insomma, ho riciclato un ricordo).
Ma succede così in tanti altri campi.
Metti che in una casa editrice siano sommersi da manoscritti osceni; se ne arriva uno mediocre si convincono tutti che è arrivato un capolavoro.
Qualcuno potrebbe obiettare che esistono anche le raccomandazioni, che, si sa, son più forti della tenaglia spazio tempo.
Ma da quel che ne so (e quindi è molto relativo quello che io so) le raccomandazioni sono molto più pressanti in ambito sanitario rispetto, ma sì, torno lì, a quello letterario.
Il che non è mica un bene.
Un libro raccomandato ti costa dodici euro e poi magari lo butti; un medico raccomandato può costare un po’ più caro.
