Un libro di Asa Larsson letto anni fa, dovrebbe essere Tempesta solare, ma non ne sono certo.
Il protagonista va in campagna a trovare un suo amico educatore, che ospita in casa sua alcuni ragazzini per le vacanze. Cerca di farli stare all’aria aperta, ma loro preferiscono trascorrere il loro tempo libero dentro, davanti al pc. Al protagonista, l’educatore fa un racconto. Questo.
Un giorno li ho costretti a uscire, era una bella giornata di sole. Ma non sentivo le loro voci, così sono uscito. Li ho trovati seduti in cerchio. Pregavano affinché piovesse…
(Una preghiera al dio-digitale, insomma)
Manoscritti: 44 invii
«Le storie sono magia» ha detto Piccarda.
«Le storie sono storie» ho ribattuto io, sorridendole.
«Ma fanno paura» ha sussurrato il Capitano, che forse non voleva farsi sentire, ma tutti lo abbiamo sentito e guardato.
Per farsi sentire, lui, abbassava la voce: questa sì, che, a ripensarci, era una magia.
Da “Il sentiero dei papaveri”, ma l’ho scritto stamattina, e quindi dovrò inserirlo (con altre aggiunte) nel manoscritto che ho inviato a 31 case editrici; ad altre 13 ho inviato solo la sinossi.
In realtà le 13 erano 15: due case editrici, una grande e una medio-piccola, una volta letta la sinossi e il primo capitolo, mi hanno chiesto l’intero manoscritto in lettura..
Dei 44 invii in totale (posta elettronica, di andare a fare la file in posta, come ho fatto per anni, non mi va più) per ora ho collezionato una risposta negativa: un editore, che conosco, mi ha risposto che devo fare il giro agente-editor, perché così funziona. Non ho l’agente, il giro lo faccio ogni giorno con il cane.
Un altro no l’ho ricevuto da una piccola casa editrice (non mi han detto di no, mi ha chiesto se sono disponibile al crowdfunding). La cosa mi ha fatto ricordare il giallo La notte del santo. Avevo spedito a destra e manca, ricevendo rifiuti o silenzi. Finché un giorno mi raggiunge al telefono una editor di una piccola casa editrice. Mi dice: Non vedo l’ora di lavorare con lei. Bene, rispondo io. Il contratto? Lei: ecco, viste la crisi e il momentaccio ci chiedevamo se può acquistare un centinaio di copie scontate. Dissi di no. Un anno dopo La notte del santo fu pubblicato da Fanucci. Con un ottimo contratto.
Ho commesso un errore, comunque. Che commetto da quando ho iniziato a scrivere e inviare manoscritti e sinossi. Il primo invio l’ho fatto dopo la prima stesura. Troppo in fretta, c’erano refusi, parti da riscrivere. Insomma, ho bruciato una carta. Se vogliamo l’errore si è perpetrato, perché Il sentiero dei papaveri è ancora un brogliaccio. In genere riscrivo (rivedo profondamente: tagli e aggiunte importanti; tagli e ancora aggiunge importanti) due tre quattro volte dopo che una casa editrice mi ha dato l’okay alla pubblicazione.
Con Il sentiero dei papaveri mi è successo anche questo. Alle case editrici che sul loro sito scrivono che la lettura dei manoscritti è sospesa (o che non scrivono nulla) io invio la sinossi, mal che vada cestinano, dico. Bene, due mi hanno risposto, invece.
Comunque non insisterò più di tanto. Posso chiudere anche in “bruttezza”: autopubblicazione con Amazon?
Oppure a puntate, su questo blog. Oppure – e non lo escludo, anzi – niente.
Alcuni invii (a quelle case editrici che leggono solo in certi mesi) devo ancora farli: tre mi sembra (due grandi e una piccola).
Infine: 44 invii. Quanti leggeranno o sfoglieranno? Più o meno di dieci?
L’uomo che parlava con la nebbia
È l’inverno del 1983, stazione di Vercelli le 7 e quasi 30. Tra un quarto d’ora arriva il treno per Torino (Porta Susa).
Con mille lire prendo un caffè, un pacchetto di MS, poi, con il resto, metto due canzoni del jukeboxe: Vacanze Romane (Matia Bazar) e Ariò (Teresa De Sio).
Salgo sul treno, guardo l’agenda. Ogni giorno scrivo le lezioni che seguo a Lettere, Palazzo nuovo (Torino). Geografia economica (professoressa Sereno) e Storia Romana (professoressa Cracco Ruggini) dal lunedì al mercoledì), Letteratura Italiana (professor Jacomuzzi) e Psicologia dinamica (Borgogno) dal giovedì al sabato.
Tutte le mattine.
Il pomeriggio ho un altro impegno: la fabbrica dalle 14 alle 22.
Di notte, fino alle 3, ne ho un altro: studiare.
Imparo – nel senso che mi abituo – così a dormire 4 ore a notte.
Dicevo, la piccola agenda. Quelle tascabili. Ogni tanto qualche frase banale.
“Arrivato con un quarto d’ora di ritardo a lezione…”.
Qualche pensiero banale: “Più studio e più imparo a pensare in modo profondo”.
L’agenda è piccola, non ci stanno le storie che si incontrano sul treno.
Spesso incrocio un impiegato che non si siede mai, ma sta in piedi e guarda la nebbia, oltre il finestrino del treno in corsa.
Ogni tanto (non sempre) ripete una frase. Sempre la stessa.
Parla con la nebbia, lui.
«Non vedo l’ora di andare in pensione, vado in Sicilia e sto al mare tutto il giorno, magari pesco qualcosa. Mi basteranno 10mila lire al giorno per vivere, cazzo se mi basteranno.»
La suora: un booktrailer, presto
Il primo capitolo de La suora è ambientato a Orta.
Lo scrissi durante il lockdown del 2020. Uscendo a passeggiando con il cane in una città deserta mi faci una domanda: dove vorresti essere, tu, ora?
Mi vennero in mente Orta e il suo lago. Così tornai a casa e scrissi il primo capitolo.
A un anno e mezzo dall’uscita del libro ho chiesto a un amico regista, Davide Celoria, e alla sua compagna che fa l’attrice, Alice Monetti, di realizzare un booktrailer. Lo terrò per ricordo.
Me ne avevano fatti altri tre, in passato: ecco i link
Bastardo posto
Vicolo del precipizio
Buio assoluto
Per La suora ho fornito il materiale che posto sotto: un filmato, un breve testo, alcune foto.
Il testo.
Lago d’Orta, è una sera nebbiosa di gennaio del 2010. Davanti all’albergo del Leon d’oro, Romolo Strozzi incontra una donna, Nora, lui però ha altro per la testa. È un fuggitivo, perseguitato da fantasmi e sensi di colpa. Ha deciso di lasciare l’insegnamento in una scuola privata di Milano, ha deciso che andrà a vivere in una baita in Valsesia, lontano da tutti.
Romolo Strozzi e Nora parlano, dopo due ore l’uomo capisce che vorrebbe passare la notte con la donna, ma proprio quando sta per prendere l’iniziativa Nora gli rivela che presto diventerà una suora di clausura. Da quel momento, Nora diventa l’ossessione di Romolo Strozzi, un’ossessione che lo porterà a scavare su una storia d’amore finita tragicamente durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale, un’ossessione comunque destinata a non finire mai. Come l’amore di Romolo per Nora.
Le ossessioni non sono mai belle, eccetto Nora…: inizia così La suora, di Remo Bassini
Alcune foto







Ricordi del Salone: era il 2006…
Credo fosse il 2006.
Erano usciti due miei libri: Lo scommettitore (Fernandel) e Dicono di Clelia (Mursia).
Non potevo non andare al Salone del libro: ci sono due miei libri, quando ricapiterà?, mi dissi.
E passai due giorni (pernottando a Torino) al Salone, stazionando, perlopiù, davanti allo stand di Fernandel.
Prima impressione. Guardavo la gente che passava e che, ogni tanto, guardava i libri esposti da Fernandel, tra cui il mio. Cercavo di capire cosa cercasse lo sguardo della gente: perché un libro attirava attenzioni e altri nemmeno un’occhiata? Me lo chiedo ancora. La risposta (parziale) è questa: la gente cercava autori noti, non per nulla l’autore più venduto era Morozzi (che pubblicava anche con Guanda).
Poi, secondo ricordo: le lunghi code per andare in bagno.
Code abbastanza veloci per gli uomini, lunghe quelle delle donne.
Succede questo succede: quando è il mio turno a entrare in bagno una donna di mezzetà, carina ed elegante (indossava un vestito nero), si stacca dalla coda delle donne, supera tutti gli uomini ed entra nel bagno dei maschi, decisa. Nessuna protesta, solo qualche sorriso.
Insomma, ci vorrebbe qualche bagno in più per le donne, al Salone, ho pensato da allora. Questo accadde sabato.
Terzo ricordo, della domenica mattina. Vedo un uomo avanti con gli anni (tra i settanta e gli ottanta) a colloquio con una signora pure lei anziana. Lui suda e ascolta, lei parla. Gli spiega che il suo manoscritto proprio non va, lei non lo può pubblicare, lui tace e suda, lei parla e parla, e mentre parla mi ricorda il mio gatto che dopo aver catturato e ferito un merlo attende di dargli il colpo mortale, ecco.

Quelli come te
Da L’isola di Arturo, Elsa Morante
“Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo né contentezza; e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qua, subito hanno voglia di scappar via.
Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno; ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo sangue, perché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone, come una sirena.
E potrai anche trovare qualche compagnia di tuo gusto, fra tanta gente che s’incontra al mondo; però, molto spesso, te ne starai solo. Un sangue-misto di rado si trova contento in compagnia: c’è sempre qualcosa che gli fa ombra, ma in realtà è lui che si fa ombra da se stesso, come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra uno con l’altro.”
Vorrei essere a… (sogno)
Vorrei svegliarmi a Orta, magari al Leon d’Oro. Prendere un caffè in piazza Motta, poi un secondo, guardando l’isola di San Giulio.
Alle 11, invece, vorrei essere in piazza della Signoria, Firenze. Per poi dirigermi verso i piccoli vicoli che mi fanno venire in mente Il quartiere di Vasco Pratolini.
A pranzo vorrei essere a Cortona, il mio paese. Dovrei scegliere fra tre posti: bruschette al pomodoro e un pezzo di pecorino, in uno, ribolitta e pecorini vari in un altro, tagliatelle al ragù di chianina nel terzo.
Il pomeriggio lo vorrei travestito da notte. Va bene la mia stanza, va bene una camera d’albergo. Tutto buio, a leggere.
Poi la sera vorrei essere o a Boccadasse oppure a Varigotti, a cenare poco distante dal mare (ligure).
E infine guidare in auotostrada, fermarmi in un autogrilli, bere un caffè, guardare le stelle pensando che, a casa, c’è un libro che mi aspetta.
Ho appena portato il cane in giro per Vercelli, deserta o quasi.
Ora vado a vedere mio figlio che gioca a basket. Che è una gran cosa, per me e per lui.
Poi non so cosa farò.
Buona domenica a tutti.


Leggere (e scrivere) di notte
Quando scrive chi scrive?
Certo, fa figo dire “scrivo di notte”. Da scrittore tormentato.
La (mia) storia è un’altra: tutto inizia quando i libri volevo leggerli, da ragazzo, e ne leggevo tanti.
Quando avevo diciott’anni aspettavo la notte anche per leggere. Il motivo era semplice: vivevamo in una casa di 45 metriquadrati, ed eravamo in cinque: i miei genitori, io, mia sorella Silvia (dieci anni di meno) e mio fratello Moreno (che non c’è più e che nacque proprio quando avevo 18 anni).
Leggevo di notte quando tutti dormivano oppure, di giorno, o in una panchina o in qualche bar semideserto.
Stessa cosa lo scrivere, negli anni successivi.
Ma torno alla lettura. Sono affezionato a tanti libri che ho. Mi ricordano momenti della mia vita. Libri di carta.
C’è il salone del libro a Torino, in questi giorni, non so se andrò. L’ultima volta andai per fare un firmacopie da scrittore nello stand di Golem, la penultima, era il 2019, per presentare La donna di Picche, su invito dell’editore Fanucci.
Vai al salone, incontri gente… ma il libro resta qualcosa di intimo, di personale: leggere in cucina alle tre di notte col gatto che ti guarda e tu che sei immerso nella lettura che ti fa dimenticare le cose che non vanno.
Non credo che andrò al salone, quest’anno. Ho dei libri da leggere: di notte.
(In realtà dovrei vedere una persona: un agente letterario. Gli chiederò di sentirci in un altro momento…)
Poi.
Nell’ultimo libro che ho scritto il protagonista è uno scrittore fallito che scrive di notte. Lo fa perché ama il silenzio e poi ha un rito: verso le tre, quando sente il sibilo del treno, va a farsi una caffettiera da tre per restare sveglio ancora un po’. Per anni, quel rito era il mio rito).
Ancora sul Salone.
Nel 2007 (forse, non ricordo mai le date) ci passai tre giorni, dal venerdì al sabato. Fernandel aveva appena pubblicato Lo scommettitore, Mursia pochi mesi prima aveva pubblicato Dicono di Clelia. Non mi capiterà mai più, dissi a me stesso, di avere al Salone due miei libri.
E’ ri-capitato, invece. Ma due libri al Salone sono granellini di sabbia tra migliaia di altri granellini….

Rubate dal web (un po’ di allegria nei giorni grigi)
Incipit, Il sentiero dei papaveri
Era carnevale il giorno in cui conobbi il Capitano, ma io non lo sapevo.
Appena sveglio, spalancando la finestra della mia camera, vidi un cielo che sapeva di primavera. Decisi così di uscire, ma nessuno mi aveva detto che era Carnevale e se anche me l’avessero detto, nove su dieci, l’avrei dimenticato. Dimentico tante parole e tante, che non sopporto, le cancello. Andai in cucina, presi un caffè con papà, che era appena rientrato dal suo giro mattutino; gli dissi che avrei mangiato un boccone fuori.
Viveva per me, senza farmelo pesare, papà. Era la persona che più amavo e amavo le nostre silenziose colazioni in cucina, al mio risveglio.
(Incipit de Il sentiero dei papaveri, inedito)
Tre incipit
Incipit di alcuni libri che mi hanno lasciato qualcosa. (“L’inverno del nostro scontento” è anche un ricordo: della mia prima taglia da scuola. Rintanato in un bar, passai cinque ore a leggerlo col timore che entrasse qualche conoscente di famiglia o, peggio, qualche professore)
Opinioni di un clown, di Heinrich Böll
Era già buio quando arrivai a Bonn. Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità che si è venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare: scendere le scale della stazione, risalire altre scale, deporre la borsa da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, consegnare il biglietto, dirigersi verso l’edicola dei giornali, comprare le edizioni della sera, uscire, far cenno a un tassì. Per cinque anni quasi ogni giorno sono partito da qualche luogo, la mattina ho disceso e salito scale di stazioni, il pomeriggio ho disceso e risalito scale di stazioni, ho chiamato un tassì, ho cercato la moneta nella tasca della giacca per pagare la corsa, ho comperato giornali della sera alle edicole e, in un angolo riposto del mio io, ho gustato la scioltezza perfettamente studiata di questo automatismo.
Da quando Maria mi ha lasciato per sposare Züpfner, quel cattolico, il ritmo è diventato ancor più meccanico, senza perdere in scioltezza.
L’inverno del nostro scontento, di John Steinbeck
Quando il mattino biondo oro di aprile destò Mary Hawley, ella si volse al marito e lo vide, coi mignoli in bocca le faceva le smorfie.
«Scemo» disse. «Ethan, hai trovato l’estro comico.»
«Senta, Topolina, mi vuol sposare?»
«Ti sei svegliato scemo?»
«Il buon dì si vede al mattino.»
«Mi par proprio di sì. Ricordi che è venerdì santo?»
Con voce cupa egli disse: «Gli sporchi romani passano in rango per il Calvario».
«Non esser sacrilego. Marullo ti farà chiuder bottega alle undici?»
«Pulcino mio, Marullo è cattolico e terrone. Magari non si fa nemmeno vivo. Chiudo a mezzogiorno e fino al termine dell’esecuzione.»
Il quartiere, di Vasco Pratolini
Noi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al limite del centro della città, il Quartiere si estendeva fino alle prime case della periferia, là dove cominciava la via Aretina, coi suoi orti e la sua strada ferrata, le prime case borghesi, e i villini. Via Pietrapiana era la strada che tagliava diritto il Quartiere, come sezionandolo fra Santa Croce e l’Arno sulla destra, i Giardini e l’Annunziata sulla sinistra.
Ma su questo versante era già un luogo signorile, isolato nel silenzio, gravitante verso San Marco e l’Università, disertato dalla gente popolana che lasciava i figlia a scavallare sulle proprie strade dai nomi d’angeli, di santi e di mestieri, nomi antichi di famiglie “grasse”” del Trecento. Via de’ Malcontenti ne era un’arteria e un monito; via dell’Agnolo la suburra, sulla quale immetteva Borgo Allegri ove in età lontana un immagine della Madonna, dipinta da un concittadino immortale, portata in processione, si degnò miracolare in mezzo al popolo, “rallegrandolo”. Panni alle finestre, donne discinte.
Ma anche povertà patita con orgoglio, affetti difesi con i denti. Operai, e più propriamente, falegnami, calzolai, maniscalchi, meccanici, mosaicisti. E bettole, botteghe affumicate e lucenti, caffè novecento.
Errori… di scrittura
Gli errori più grandi in tanti anni di scrittura.
Questo lo sfumo…
Stavo per per firmare un contratto con una buona casa editrice, un’agente con cui sono in contatto (stava per diventare la mia agente) mi dice: Aspetta, credo di poter trovare di meglio. Non aspettai (ma, siceramente, non so come sarebbe andata a finire.
Sono finalista per il libro dell’anni di Fahrenheit, con Lo scommettitore (Fernandel). Mi telefonano da Radio Rai tre (Ma come il suo editore non lo ha informato?), mi dicono di andare a Roma, il giorno dopo. Un po’ per pigrizia e un po’ per timidezza non vado. Il giorno dopo ascolto la radio, in diretta, con i finalisti. Io non vengo citato. Colpa mia.
Poi.
Luigi Bernardi mi scrive che a lui Bastardo posto è piaciuto, e quindi, se sono d’accordo, posso pubblicare con Perdisa Pop. Due giorni dopo si fa viva un’altra casa editrice, di medie dimensioni, più importante di Perdisa. Rispondo che ormai sono in parola con Bernardi (ma so che se gliene avessi parlato probabilmente lui mi avrebbe consigliato di pubblicare con l’altra casa editrice). Ma è un errore a metà. Perché sono contento che Bastardo posto sia uscito per Perdisa (con Bernardi e con Perdisa mi sono trovato bene).
Vegan. Le città di Dio (casa editrice Tlon). La mia agente (Juliane Roderer) mi dice che il titolo è sbagliato, dal momento che è (soprattutto) un giallo c’è un “Vegan” di troppo. E mi consiglia di intitolarlo “Le città di Dio”. Non le do ascolto, ma poi, ripensandoci, penso che avesse ragione.
Ultimo libro, La suora, Golem edizioni. Da Golem mi chiedono: è un giallo o un normale romanzo? Prendo tempo, poi dico: Un giallo. Forse è più un romanzo che un giallo.
Ma l’errore più grande è dentro la mia testa. Piccolo racconto. Firmo un contratto in cui non è definita la data di uscita del libro. Esce tra sei mesi o al massimo tra un anno, mi dicono. Passa un anno, niente, ne passano due, niente. Scrivo qualche mail: nessuna risposta. Esce al terzo anno.
Chiedo (informalmente): Perché tanto ritardo? Ho visto uscire libri che vi sono arrivati in lettura dopo il mio. Risposta (informale): Non è stato abbastanza insistente. Si prenda un agente, è meglio.
(Lunedì 22 andrò al salone del libro, mi devo vedere con un agente. Spero di concludere).