S’incontrano strane storie, in carcere

Per il mio blog su Il Fatto quotidiano, ho appena scritto una recensione al bel libro di Carlo Barbieri (con prefazione di Ilaria Cucchi) “Al di là delle sbarre, al di qua del muro”, casa editrice Golem.
E così ho ricordato la mia esperienza, come docente volontario di un corso di scrittura, che tenni nella casa circondariale di Vercelli, a metà degli anni Novanta.
Prima impressione che ebbi, ma era superficiale, molto superficiale: credeva fosse peggio vivere qui dentro, pensai.
Vedevo infatti detenuti che parlavano tra loro di politica o di calcio o di grane con i loro avvocati, li vedevo che andavano in biblioteca, che cercavano un giornale, sapevo che alcuni di loro lavoravano. Qualcuno di loro scriveva. Ho, da qualche parte, un libro di poesie di un giovane…
Un giovane, già.
Provate a immaginare. Entrare in carcere, parlate con i detenuti del più e del meno. Poi si avvicina un ragazzo, avrà trent’anni. Mentre parla vi viene in mente un pensiero banale: potresti essere un pericolo per le persone che amo, potresti essere… una persona che amo.

Un giorno, mentre entravo, vidi una bella ragazza che usciva. Aveva scontato la pena. Sapevo di lei, perché tenevo 2 ore di lezione al maschile e 2 al femminile, ogni settimana. Sapevo che la sua famiglia non ne voleva sapere nulla. Dopo due ore di lezione la vidi di nuovo, era fuori, sola, seduta su una panchina. Pensai: prima o poi qualche camionista le darà un passaggio.

S’incontrano storie, in carcere.
Una detenuta, che è stata operata per un tumore, a giorni uscirà. Non ha casa, non ha parenti e amici. Non sta ancora bene. I volontari cercano, invano, qualcuno che l’accolga, ha bisogno di un tetto, non può certo dormire sotto i ponti. La soluzione arriva, dal carcere: una detenuta, una nomade, insomma una zingara, dice: può andare a casa mia, non c’è problema. E così fu. Pensai: solo una nomade può fare una cosa del genere. Noi, persone perbene, non rubiamo e non finiamo in carcere ma alle nostre cose siamo legati, e guai a chi ce le tocca…

(Il libro di Carlo Barbieri mi è piaciuto perché, almeno un po’, la realtà del carcere l’ho vista e vissuta).

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