Forse non morirò di giovedì (estratti)

“Forse non morirò di giovedì”, Golem edizioni, il mio ultimo libro.

Alcuni estratti (dalle prime pagine)

“Signorina, è un bel mestiere il nostro. È bello anche perché ci permette di incontrare persone e storie. Ma c’è una storia, quasi mai raccontata: è la storia del giornale stesso e di chi lo fa.”

È superstizioso Sovesci. Se vede un gatto nero cambia strada, e se potesse abolirebbe dalla sua vita il giovedì: gli capita di tutto quand’è giovedì.

Dario Salici, aveva sentito un racconto. Ore prima, all’incirca verso le sette, alcune persone avevano visto per strada un noto penalista, l’avvocato Toccani, che pedalava in pieno centro storico tenendo la moglie seminuda – scarpe da ginnastica bianche, mutandine e reggiseno neri e null’altro – al guinzaglio come un cane, costringendola quindi a corrergli dietro.
Dario Salici, una volta tornato in redazione, aveva fatto qualche telefonata, ma l’unica risposta che aveva ottenuto era che tutti ne parlavano, tutti lo sapevano, ma nessuno aveva visto e nessuno sapeva chi avesse visto.

In realtà, Sovesci sta cercando di capire se la sua nuova dirimpettaia è in casa. È una donna sui quaranta, carina, vive da sei, sette mesi in quell’appartamento che in passato ospitava una cop- pia di anziani. Di lei Sovesci sa solo che verso le ventidue, quando lui sta ancora lavorando e sogna un piatto caldo, va a dormire dopo aver letto o guardato la televisione. In un paio di occasioni hanno scambiato qualche parola, da finestra a finestra.
«Lei, dunque, è il direttore?» «Sì, sono il direttore. E lei, che lavoro fa?» «Sono maestra elementare.» Roba da poco e di pochi minuti. Vorrebbe tanto, lui, conoscere il nome di questa sua benedetta vicina che, una sera di tre mesi fa, lo ha stregato.
Dopo la chiusura del giornale, ormai solo in redazione, aveva spento la luce e aperto la finestra per bere in santa pace, stravaccato in poltrona, una tisana con zenzero, limone e miele ormai fredda, che gli aveva preparato la segretaria Laura, ore prima. Quando aveva finito, dalla finestra, l’aveva vista, seduta ma pie- gata in avanti, con le mani in faccia e un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.
Si era sentito in imbarazzo, fuori posto, come se la stesse spiando. Perché Sovesci è cresciuto in un certo modo, portato come esempio dalla sua maestra quand’era bambino, e adesso, che è grande, non è cambiato: è un uomo perbene, rispettoso delle regole. Per lavoro un giornalista può spiare, a volte serve, ma nella vita no, non ha mai spiato nessuno, lui, nemmeno Simona; e se quella sera avesse visto nuda la sua vicina, c’è da giurarci, avrebbe chiuso la finestra e se ne sarebbe andato. Invece, nel vederla piangere come una bimba disperata, si era incantato; e poi, ore dopo, non era riuscito a prendere sonno ripensando a lei e sentendosi doppiamente in colpa perché certo, non l’aveva vista nuda, ma era stata un po’ la stessa cosa perché il pensiero di quel corpicino piegato sulla sedia, come in posizione fetale, lo aveva eccitato.

2 pensieri su “Forse non morirò di giovedì (estratti)

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