Prima recensione su carta

Da Notizia Oggi Vercelli di lunedì 15 febbraio.

La figura del giornalista per il grande pubblico oscilla tra «Quarto potere» e la figura del Perozzi di «Amici miei». Una realtà comunque complessa e non facile da restituire. Ci voleva la penna di un giornalista e scrittore come Remo Bassini, che è una delle firme storiche del giornalismo vercellese, per avere un ritratto di questo mondo non banale, con tutte le sfumature che bisogna conoscere. Bassini mette in scena un intero mondo di personaggi, ovviamente con nomi e fatti non riferiti a circostanze reali, però realistici in quanto alle dinamiche e ai “tipi umani” che possono vivere in una redazione. Il protagonista è Antonio Sovesci, il direttore di un quotidiano, di una città di provincia. Il romanzo è «Forse non morirò di giovedì», un giorno “no” per eccellenza di Sovesci. E’ stato appena pubblicato da “Golem Edizioni”, ha 192 pagine, con una postfazione del giornalista Giorgio Levi, e costa 15 euro. Sono ben spesi perché il libro cattura subito e il lettore vi entra con piacere.E cattura perché i personaggi e le loro storie sono costruiti con una grande attenzione per la struttura narrativa e le sue regole, con una notevole profondità psicologica, emozioni, debolezze, pulsioni sessuali comprese. Antonio Sovesci, essendo il tramite con il lettore, è particolarmente reale e nitido, a cominciare dalla sue insicurezze. Lo troviamo infatti in un momento di particolare vulnerabilità emotiva. Intanto però il giornale deve continuare a uscire.
Poi nelle prime pagine si scopre che c’è anche chi “vuole farlo fuori”, cacciarlo dal giornale.
La prima parte del romanzo ruota intorno a un’intervista televisiva. Caterina, che lavora in una Tv, ma si è formata nella redazione del giornale locale, ha combinato l’incontro con il suo ex direttore. I due sono legati da un passato complicato. L’intervista sarà l’occasione anche per ribadire alcuni concetti sul giornalismo, su cosa significa in una piccola realtà, sugli ideali che rimangono, sul ruolo sociale del giornalista. Estratti che vengono disseminati in tutto il volume. Tra le considerazioni anche passaggi su un aspetto cruciale del mestiere, la libertà dei giornalisti e della stampa in  genere. “Questa domanda me la pongo ogni giorno” risponde il direttore.
In questo romanzo la libertà di stampa è la vera protagonista. Proprio intorno a questo valore la vita nella redazione si fa dura, ci sono colleghi a cui forse non dispiacerebbe fargli le scarpe e l’editore entra a gamba tesa per una notizia che non doveva proprio uscire in prima pagina. Ma la decisione di “farlo fuori” era presa da molto tempo prima, è quanto gli fa sapere l’amico maresciallo dei carabinieri che è venuto a sapere di un complotto ai suoi danni. Da metà romanzo in poi si assiste ad un crescendo da poliziesco, ma non sono eventi esterni a incalzare, si tratta più che altro dinamiche interiori. Conviene fermarsi qui per non spoilerare il finale. Il romanzo, in definitiva, può anche essere letto come un “manuale”, non solo per i giovani che vorrebbero intraprendere la professione, o i colleghi in genere, ma anche per il pubblico. Insegna infatti a cogliere, da certi segnali, quando un giornale vive per i suoi lettori oppure quando li tradisce a favore di altre logiche.
Gian Piero Prassi

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