Il sentiero dei papaveri è il libro che ho appena ultimato.
Dopo il frontespizio potrei mettere questa citazione.
Voi potreste essere l’ultima generazione a cui è ancora possibile ribellarsi. Se non vi ribellate potrebbero non esserci più opportunità: l’umanità potrebbe essere ridotta allo stato di robot. Quindi ribellatevi finché c’è ancora tempo.
OSHO
Ripropongo la sinossi.
Periferia povera e violenta di una città senza nome (potremmo anche non essere in Italia…), c’è il Bar del Capitano.
Entra un uomo. Non ha un nome, ha un passato fatto di niente: vive col padre che lo mantiene, soffre di attacchi di panico, ha fatto pochi lavoretti che ha abbandonato, anni prima ha scritto un libro che è stato un fiasco, 49 copie vendute e poi ha un ricordo che lo perseguita.
Si siede, il proprietario del bar, che tutti chiamano il Capitano, lo raggiunge e gli dice: «Ti stavo aspettando.»
Lui si spaventa, cade in trance e racconta, rivivendolo, il ricordo che lo perseguita da sempre al Capitano, che gli dice «Tu sei uno scrittore, ti chiameremo così, Scrittore.»
È un bar fuori dal tempo, quello, non c’è nemmeno la televisione. È un bar dove si raccontano storie e dove si fa il gioco dei nomi diversi, ognuno ha un soprannome, una sorta di battesimo giocoso.
Per dieci mesi, lo Scrittore frequenterà quel bar, ascoltando storie e incontrando personaggi di un mondo che rifiuta il presente…
Del resto anche lui la pensa così. Dice infatti: «… la parola rete per me ha un significato preciso: trappola. E il navigatore è colui che naviga, non l’aggeggio che sta impedendo alla gente di usare la piccola bussola che aveva nel cervello.»
Ha qualcosa di magico il Bar del Capitano? Così parrebbe. O forse no.
«Quando sparirà, e sarà solo un ricordo sbiadito, l’intuito verrà chiamato magia.»
Il Capitano pratica la meditazione, il suo Dio è il silenzio.
Un giorno nel Bar entra la violenza. Non solo. Il Capitano e i pochi frequentatori del bar vengono interrogati, accusati d’essere una setta.
Sono colpevoli perché sognano di costruire nuove città.
«L’inquinamento peggiore non si vede, arriva nella testa della gente e non fa fumi né puzza, ma pervade tutto, ed è potente» dice il Capitano, che dovrà fuggire, è il suo destino, da sempre.
Prima di andarsene farà in modo che lo Scrittore conosca il suo passato: fughe da un orfanotrofio all’altro, elettroshock, affido, carcere, poi giramondo sempre in fuga.
Dovunque va, incontra alcune persone che rifiutano i nuovi feticci e sognano nuove città.
Raccontare storie,trovarsi attorno a un camino e il cibo buono significa ribellarsi, oggi.
Ha un segreto che è la sua forza Il Capitano: ogni mattina, all’alba, percorre il sentiero dei papaveri. Che nessuno conosce.
Una breve spiegazione sul libro.
Per la storia di un gruppo di persone che decide di vivere in un proprio mondo mi sono ispirato alle spiegazioni sulla rivoluzione digitale di uno psicanalista, Emilio Mordini.
Nel personaggio del Piccole Prete c’è un po’ di don Luisito Bianchi, scrittore che ho avuto la fortuna di conoscere, unico sacerdote che rifiutò lo stipendio del sostentamento del clero.
Nella figura del Capitano, uomo di poche parole, una sorta di messia o di Che Guevara, ci sono analogie con la biografia della poetessa Mariella Mehr.
La storia delle due città. Una ricorda la città anabattista di Munster, che fu distrutta da Cattolici e Protestanti, l’altra Kronstadt, che si ribellò, e per questo fu annientata daio Bolscevichi, quando vide che il sogno comunista era destinato a restare solo un sogno.
Il personaggio principale è uno scrittore che ha pubblicato un solo libro e che non sa se continuerà a scrivere.
Lo farà, con Il sentiero dei papaveri.
