Succede spesso di leggere, scrivere, dire parole inutili.
Io per esempio dico spesso (spero di non averlo mai scritto): entrò dentro.
Basta entrò, perché fuori non è mai entrato nessuno.
Pontiggia arriva a dire che invece di scrivere cielo azzurro si può scrivere cielo.
Se uno scrive cielo è sottinteso che non sia grigio o che sia un sole d’agosto.
Nel parlato, poi, le parole inutili sono un mare. I maestri che da sempre dicono: Alzatevi in piedi, meriterebbero una risata o almeno una battuta: posso alzarmi seduto?
Ma nella scrittura non ci sono regole precise.
Per esempio.
Sono le prime parole dell’incipit del (bellissimo) racconto di Wilde, Il pescatore e la sua anima.
Il pescatore getta le reti, dove – dal momento che ha preso il mare – se non nell’acqua?
La frase poteva, quindi, essere scritta così.
Tutte le sere il giovane pescatore prendeva il mare e gettava le reti.
Oppure.
Tutte le sere il giovane pescatore gettava le reti nel mare.
O forse no.
Meglio la prima: l’acqua del mare non è mai una parola inutile.
(Poi si usa il trucco del leggere a voce alta: si leggono o scrivono frasi diverse e poi si sceglie… Ora leggo ad alta voce.
1) Tutte le sere il giovane pescatore prendeva il mare e gettava le reti nell’acqua.
2) Tutte le sere il giovane pescatore prendeva il mare e gettava le reti.
3) Tutte le sere il giovane pescatore gettava le reti nel mare.
Io voto 1).
Insomma, la parole inutili a volte hanno un loro perché.
In genere è un perché musicale, in genere…

