
Sfogliando Il sentiero dei papaveri
(in uscita il 23 febbraio)
Era Carnevale il giorno in cui conobbi il Capitano, ma io non lo sapevo, oppure l’avevo dimenticato. Dimentico tante parole e tante — soprattutto quelle che non sopporto — le caccio lontano dai miei pensieri.
Tu somigli a me. Sorridiamo poco, parliamo poco, usiamo le forbici, io per tagliare i capelli, tu la barba.
Sono le sei del mattino, il primo giorno d’autunno ha portato un po’ di freddo. Papà verso quest’ora si alzava, si preparava il primo caffè e poi lo gustava tornando sotto le coperte; a volte dormiva ancora qualche minuto. «È il sonno più bello quel quarto d’ora con il sapore del caffè in bocca» diceva. Io invece non ho dormito e non dormirò.
Dobbiamo tornare a usare le mani come se fossero il nostro respiro, dobbiamo tornare ad ascoltarci, ad ascoltare le nostre storie, dobbiamo ribellarci alle macchine, le nostre menti vengono prima. Dobbiamo costruire nuove città.
Non avevo dimenticato le parole del Piccolo Prete.
«Dov’è Dio?» gli domandavo.
«Guarda, è qui» mi aveva risposto, indicandomi gli alberi, un torrente e un camoscio che si inerpicava tra gli alberi, per poi sparire. Dio non c’era nel manicomio in cui fui rinchiuso. Non c’era quando mi fecero due volte l’elettroshock nell’arco di alcune settimane. Dove mi sedavano, per farmi dormire giorni e giorni. Dove mi legavano. Fuggivo sempre. Mi riprendevano. Un altro elettroshock. Altri farmaci, che mi facevano ingoiare con la forza. Cominciai a tremare, a vedere di meno. Poco da un occhio, pochissimo dall’altro. Ma io sapevo vedere quello che gli altri non vedevano, me l’aveva insegnato la Suora Spensierata. Mia mamma. Senza i suoi insegnamenti sarei diventato pazzo per davvero. Un giorno arrivò il Dio che avevo conosciuto e perso: aprirono la porta della mia cella, il Piccolo Prete era venuto a liberarmi.
