Ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che si chiamava Gian Renzo Morteo. E’ stato un mio docente di storia del teatro a Torino (Lettere, Palazzo Nuovo), se ho anche recitato lo devo a lui, è stata una persona che ho avuto il piacere di conoscere anche fuori dall’università.
Se qualcuno di voi ha quei librettini Einaudi della collana teatrale vedrà che diversi autori francesi (mi pare Artaud, mi pare Genet, di sicuro Ionesco, di sicuro La cantatrice calva) furono tradotti da Gian Renzo Morteo.
Che non era mai perentorio.
Non ricordo di averlo mai sentito definire un’opera o schifezza o capolavoro.
Una volta a lezione disse, Va bene che il teatro concede tutto, ma che Lea Massari (classe 1933) nell’Edipo Re sia la mamma di Vittorio Gassman (1922) mi lascia un po’ perplesso.
E’ difficile giudicare un’opera, sempre.
Decontestualizzarla.
Ci diceva.
Possiamo fare tante ipotesi, ma nessuno mai riuscirà a capire come mai Goethe definisse Goldoni un autore crudele.
Sapeva prendere la vita con ironia, Gian Renzo Morteo.
Ricordo quando andai a trovarlo in ospedale, era stato appena operato. (Avrei dovuto laurearmi con lui, non feci in tempo, ché se ne andò prima…).
Disse.
E’ pieno di suore, qui, sono talmente buone che il mio tumore lo chiamano ciste.
Disse anche.
Come è strana la vita. Ho visto qui, in ospedale, un mio vicino di casa. Sono vent’anni che ci incrociamo per le scale o in ascensore salutandoci, e basta. Qui invece ci siamo raccontati quel che non ci siamo detti in vent’anni.
A Morteo piacevano alcune citazioni.
Di Antoine.
Bisogna costringere gli spettatori a guardare uno spettacolo come si guarda dal buco di una serratura.
Poi ne ricordo una, che ripeteva sovente, ma non ricordo il nome del sociologo francese che la inventò.
Il primo uomo che disse che la donna è bella come un fiore fu un genio, il secondo un cretino.
Questa è perentoria, ma la condivido.
Specie quando penso al gregge.
(Credo che Torino debba molto a Gian Renzo Morteo; quando divenne direttore dello Stabile portò il teatro in periferia, nelle fabbriche, nelle scuole, in carcere. Un teatro didattico, semplice. Gli era caro il termine di fruizione. Far capire il messaggio. Partire da chi ti ascolta, altrimenti parli a te stesso. E’ da tempo che non mi occupo più di cose teatrali; ma so che molte compagnie nacquero dietro il suo impulso.
Il teatro è vita, la vita è teatro.
Già.
E buon lunedì
(Gli sono grato anche io: ché quando scrivo cerco di applicare il metodo Stanislavskij)
