Ho scritto un libro, Lo scommettitore, in 18 giorni. Anzi, 18 notti.
Dalle 11 di sera fino alle 5 del mattino.
Ma non era un libro, era la traccia di un libro. Non mi interessava né la forma né la grammatica, dovevo solo andare in fretta perché avevo la storia in testa e temevo mi scappasse.
Poi, quel libro, l’ho rivisto una ventina di volte nell’arco di cinque, sei mesi. E infine, lo rilessi almeno tre, quattro volte quando ci fu l’editing.
Ho appena terminato un libro, il mio quinto romanzo, Bastardo posto, che uscirà per la Newton Compton (per la prima volta esco con la stessa casa editrice).
Ho impiegato due quasi tre mesi a scrivere il primo capitolo; son cinque capitoli, cinque notti.
Poi c’è la scrittura giornalistica.
Tremila battute in trenta, quaranta minuti. Si scrive in fretta, nei giornali. Ci sono alcuni che dicono Si vede, ché i giornali sono scritti male.
Mi ripeto. Vorrei vederli certi scrittori o certi sapientoni scrivere un pezzo alle dieci di sera dopo aver rincorso notizie tutto il giorno; con la voglia di una doccia, e di un piatto di pasta.
Però almeno la scrittura giornalistica ha una sorta di editing.
Il tuo caposervizio “passa” il pezzo, insomma rilegge; e magari corregge.
Poi c’è il blog.
Io certi giorni accendo, poi scrivo la prima cosa che mi viene in mente e non correggo e non rileggo, ché ho altro da fare.
(Poi, e succede spesso, qualcuno mi inoltra una mail o spedisce un sms, guarda che hai scritto Francesco anziché Giuseppe).
Il post di ieri, per esempio.
Ho dimenticato di dire una cosa, una cosa importante.
Quell’uomo aveva la faccia di un uomo sconfitto dalla vita.
Si sentiva stupido. Per aver sciupato il tempo ad amare una donna che credeva diversa. Per aver trovato un’alternativa di cui, io così ho percepito mentre lui mi diceva, un po’ si vergognava.
Non ho un bel ricordo di quell’uomo.
Provai pena, ne provo ancora ripensandoci.
Tutto qui.
Succede di non dire cose importanti quando si scrive in fretta.
Pensa succeda a tutti. Ricordarsi di una vecchia canzone, all’improvviso.
Mamma giustizia, dei (vecchi) Nomadi.
