cristina

Di quei giorni uggiosi / che la tenda del crepuscolo / appanna ancor più di tristezza.
quando è necessità / forzare l’allegria
di quei giorni non sai / che per amare / è sufficiente esistere

da Il respiro della luna, Cristina Bove, Il Foglio;
il libro conclude con
(… e prima che la farsa sia finita / dammi respiro e ancora / un po’ di vita…)

un certo “e.”, sui manoscritti

grazie a questo aggeggio qua ho conosciuto gente.
sulla destra, come potete vedere, ci sono alcuni link con la maiuscola, altri con la minuscola.
la maiuscola è di quei blogger che ho incontrato, almeno una volta.
allora, dal momento che perdura un senso di vuotezza (cioé: nulla di furbo da dire) sono andato a ripescare dal vecchio blog.
e ho trovato un post, di due anni fa, che però non era farina del mio sacco.
Sull’invio di manoscritti alle case editrici.
era un copia incolla, di un intervento sul forum di fernandel di un certo e., che poi ho conosciuto (in Puglia).
non dico altro di lui – se vuol manifestarsi lo faccia -.
so solo che è un giovane, bravo editor. e altro.
per esempio scrive.
(e poi. se ri-posto c’è un altro motivo. nel 2006 i visitatori del mio blog erano un decimo rispetto agli attuali; solo che allora avevo cose da dire, ora no, son come una pila scarica).

la premessa è ’sono un lettore, ma mica un lettore così, no, un lettore di professione’, nel senso che leggo inediti per due case editrici e stilo delle schede di lettura.
ora, tralasciamo l’ambiente – case editrici, editori, soldi pochi, telefonate e mail del tipo ‘oh ma non mi mandi più niente? che abbiamo litigato?’, chi sa sa e chi non sa non sa.
voglio parlarvi degli autori esordienti. me n’è venuta voglia leggendo Remo sul suo blog (e commentando anche lì)

comincio con una domanda – che se mi dilungo la lettura si appesantisce e poi non ti leggono più, e io lo so che faccio il lettore, mica cazzi:
di cosa scrivono gli esordienti?
che riferimenti hanno? (lo so, che son due, ma alla fine è la stessa domanda)

risposta:
quello che mi trovo davanti è un esercito di teledipendenti. Mi spiego e sintetizzo:
la maggior parte di loro scive su
a) tutti quelli/e che mi son scopata/o, perché se c’è riuscita Melissa P. ci posso riuscire anch’io
b) cartoni anni 80, Candy C., Goldrake, Lady Oscar
c) tutti i cartoni anni 80 che mi sono scopato/a
e) reality, esistenti o inventati
d) flussi di coscienza indecifrabili – ovvero non hanno presente cosa sia una struttura narrativa.

seconda premessa (l’ho fatta la prima, non ricordo?):
quelli che leggo non sono quelli che sono andati alla Holden, rappresentati dalla Nabu, pubblicati Fandango. Sono semplici ’scrittori’ col romanzo nel cassetto che non sanno che farsene e lo mandano in giro o autori già pubblicati da ‘noi’.

insomma – e qui finisco, magari riprendo in seguito, se interessa – si fa presto a dire che c’è un esercito di minimalisti in giro (ecco il perché del titolo moooolto intelligente), di gente che si mette a copiare Carver perché fa figo; o di novelli autori meta e fiction…
magari, vi dico, perché, almeno avrebbero dei riferimenti ‘letterari’ – poi i riferimenti posso piacere o meno, ma almeno uno dice ‘ok devo scrivere un libro, che copio? ma copio un libro, no?!

la verità?
quasi tutti hanno letto al massimo i promessi sposi. Poi hanno visto un bel pò di film e passano un bel pò di ore davanti alla tivì – diamine, almeno scrivessero dei simpson o di ‘avere vent’anni’ o blob (e qui faccio un pò lo snob). Che tutti scrivono e pochi leggono, che se uno legge e legge bene ci pensa mille volte prima di scrivere un romanzo.

e.

memoria ballerina

il 10 maggio 2006 scrissi un post sul vecchio blog, che ora riporto.
ci dice anche, quel post, di quanto sia ballerina la memoria

Pomeriggio che è quesi sera, mancano poche ore a capodanno. Lei, la bambina, segue buona buona il gruppo di adulti che ha deciso di concedersi alcuni giorni dai sapori e colori toscani. Sono sul corso che conduce alla parte vecchia, che è in alto, dove ci sono la piazza il duomo e i giardini.
E’ sovrappensiero la bambina, gli adulti non dicono cose interessanti.
All’improvviso, su quel corso di gente elegante e di strette di mani e di auguri, compare una macchinina elettrica che sembra un trattore; la conduce un bambino di pochi anni, cinque al massimo. Suo padre, probabilmente il padre, un omone con la barba e un maglione rosso, segue, con noncuranza. La macchinina-macchinona-quasi-trattore è grande e faceva rumore, la gente si volta a guardarla, e va piano piano, la gente ha tutto il tempo di guardare e dire e dire e guardare.
Guardano tutti, tutti si girano: quelli del posto e quelli di lontano, come appunto il gruppo di adulti con la bambina.
I commenti si sprecano. Qualcuno dice: Quando sarà grande cosa gli regalerà? un aereo?
Qualcuno ride.
Qualcuno dice, Dove si andrà a finire?
La bambina non dice nulla. Guarda anche lei, come tutti. Poi sente la mano di suo padre sulla spalla, è un segnale tra loro. Lui le doveva dire qualcosa.
«Non stare ad ascoltarli. E se quel bimbo avesse una malattia e suo padre avesse voluto fargli un regalo grande grande per Natale?».
Suo padre è strano, la bambina lo sa. Il padre più strano è toccato a lei. Al mattino, quando fa colazione, non c’è, dorme ancora. La sera è sempre in giro.
Però la bambina, quel giorno, prese nota.

(sempre a maggio 2006 scrissi):
Perché mi è venuto in mente questo ricordo.
Perché l’avevo perso: almeno in parte.
Mi ricordavo la scena, ricordavo anche di avere dissentito dal giudizio degli altri.
Non ricordavo di averlo detto alla bambina.
E’ stata lei a dirmelo, e dirmi che l’aveva colpita quella mia ipotesi.
La bambina oggi è una donna. Ha un suo mondo.
E’ combattiva, prende posizione, spesso. Ma non giudica. E io un po’ di questo ne vado fiero (poi ci sono tante cose di cui non vado fiero: ma è meglio stendere il classico velo pietoso, su questo…)

giorni

Stamattina, bevendo il caffè e il cielo grigio grigio ho pensato: Sapravviverò a tutto quello che debbo fare oggi, nei prossimi giorni e mesi?
Il martedì mattina non lavoro. Ero a casa.
Mentre bevevo il caffè è squillato il cellulare. Cose di giornale. Un’alta carica dello Stato mi chiedeva spiegazioni.
Poi, ho dovuto io telefonare a un’altra persona: Che non si sente tutelato dallo Stato (anni fa denunciò i suoi usurai). Gli ho detto: Mettiti in contatto, forse qualcosa si muove.
Mentre sorseggiavo il caffè avevo davanti il pc.
Nell’ordine, dovevo vedere gmail, questo blog e facebook. Era ancora a gmail. Una decina, forse meno, di messaggi.
Quando passo al blog arriva la terza telefonata: di un esponente dei “grillini” locali. Lo ascolto, mi dice che mi verrà a trovare. Ha cose importanti da dirmi.
Torno al pc, risuona il telefono.
Arriva una storia.
Brutta, che non posso raccontare ora, la racconterò.
Di malattie, morte, di fedeltà: di qualcuno, e lo sta facendo da anni, che ha deciso di trascorrere tutte le sue ore del giorno davanti a una persona in coma.
Una stopria tremenda, come ce ne sono tante, che ascolto senza dire, una storia confinata, chiusa, reclusa in una casa.
Ve la faccio intravvedere.
Una signora anziana, moribonda in coma, assistita ventiquattro ore su ventiquattro dalla figlia.
La figlia vuole così: è gratitudine. Perché vent’anni fa era stata sua madre a vegliare qualcun altro.
Torno al pc, altri quindici minuti.
Poi esco, vado a prendere il secondo caffè e rifornirmi di nicotina, camel light e antico toscano è l’abbinamento di oggi.
Sento, quando entro al solito bar, persone che si scambiano le rispettive preoccupazioni, i loro guai.
Ché i piccoli guai, pagare il dentista, denunciare il vicino, portare a risuolare la scarpe dal calzolaio, son comunque guai.
Il cielo grigio, comunque, dà man forte alle lamentazioni.
Anche a quelle inutili: sul tempo per esempio.
Passo davanti a due signore. Intercetto. Una sta raccontando all’altra della sua artrite. Va già bene, son fortunato, penso, ché ci sono alcuni che escono di casa solo per raccontare di malattie, magari atroci, magari altrui. Meglio se altrui, ché son più gustose da raccontare.
E poi. Incrocio uno che non è un politico, ma che sta per prendere il patentino, ché tra qualche mese, qui, si vota, e quindi anche lui dirà, insieme ad altri, che ha la bacchetta magica per risolvere ogni problema e quindi, intuisco, che se mi vede son perduto, se mi vede di sicuro mi racconta quanto è bravo lui e, confidenzialmente, mi dice quanto incapaci e disonesti sono gli altri.
Penso che devo evitarlo, perché so già che gli domanderei: Che hai fatto in questi quattro anni?, rispunti ora perché si vota un’altra volta?
Mi infilo in un altro bar, son salvo, non mi ha visto. Il barista si lamenta, non è giornata penso, si lamenta, dicevo, perché la cassa è bloccata, non può rilasciare scontrini, però in un tavolino c’è una ragazza quasi donna che, parlando al cellulare, ride, ride forte.
Non è sguaiata, anzi, ma si sta divertendo.
Il proprietario barista non ci fa caso, sta smadonnando in silenzio, lui.
Io, aspettando che si degni di farmi il caffè, sento la risata, che non è sguaiata, è bella, sa di sole e mare, insomma.
Buona giornata

la mosca

A volte scrivo solo per scrivere. Qualche riga che è solo un puro esercizio, di scrittura e fantasia. Quello che riporto, ora, è un esercizio, senza presunzione d’essere definito raccontino o altro. Ne avevo una dozzina così, forse di più. Salvati su due pc che, recentemente, ho dovuto far riformattare, causa virus.
E’ l’esercizio superstite, insomma.
Buon lunedì.

Era l’ultimo autobus in servizio. Solitamente prendo quello prima, un po’ affollato, ma ieri sera ho fatto tardi tornando dal lavoro. Tardissimo. Mentre stavo per salire ho avuto l’impressione che fosse deserto. E invece, in fondo, sembravano appallottolati, c’erano un uomo, fra i trenta e i trentacinque, grassottello ma elegante, e una donna, un po’ più anziana, quaranta, magari anche quarantacinque, ma carina. Una coppia piuttosto insolito, dunque. Lei era dolce con lui. Molto. Lui era preso dai suoi pensieri. Lei guardava lui e lui guardava il traffico e quindi non hanno fatto caso a me.
Li ho osservati bene, invece, io.
Ma a un certo punto ho avuto voglia di piangere, così ho smesso di guardarli. E mi son seduto davanti, vicino al conduttore. Non li vedevo, ma sentivo la loro presenza. Il loro calore. E avevo tanta voglia di piangere. Ho rovinato tutto, la mia vita è una rovina. Pensavo di essere forte, di poter fare a meno degli altri, e di lei. Il problema è che io sono un gran bastardo. A volte la volevo accanto, a volte no: perché io voglio essere padrone della mia libertà. Fare tutto quello che voglio fare, perché si vive una sola volta. E così…

Però anche tre giorni fa, era domenica, è successa una cosa folle. Alla mia testa, a me. Appena sveglio, sentivo qualcosa di diverso: e c’era il solito silenzio opprimente di un residence un po’ isolato. Non avevo voglia di alzarmi, né sentivo l’urgenza del primo caffè e della prima sigaretta. Non avevo voglia di niente: né di rimettermi a dormire, né di uscire, né di niente. Così mi son messo a guardare il soffitto e mentre guardavo, a un tratto, ho sorriso. Non ero solo, ho sorriso, ho sorriso, cazzo, a una schifosssima mosca che mi importunava i capelli, la fronte, la testa tutta, e io mi son lasciato importunare, senza cacciarla.
A una mosca ho sorriso.

a proposito di face

a volte succede che un estraneo ci rivolga la parola.
il vicino di ombrellone, o quello che siede insieme a te nello stesso scompartimento, oppure facendo la coda da qualche parte.
a volte per strada.
ognuno di noi ha reazione diverse.
io saranno dieci anni che dico due cose: che sono stufo di parlare di me, che sono stufo di conoscere gente.
sono anni che mi dico, Ascolta, e basta.
il blog ha stravolto quei miei pensieri (ché comunque puntuali ritornano).
perché la rete ti fa conoscere gente e fa si che la gente conosca te (più il blog che face).

oggi sono passato davanti a un convento di suore di clausura.
sono entrato, perché era l’ora de vespri, no, no, sono entrato perché, da fuori, ho sentito una voce celestiale.
allora, io sono agnostico, e son critico, e tanto, con la chiesa ufficiale.
però è successo che oggi io ho solo guardato, e ascoltato.
ho ascoltato i vespri cantati ho guardato quelle suore, lontane da me una ventina di metri.
alcune, le più anziane, ho quasi percepito che non gradissero il mio sguardo curioso.
lo sguardo, però, si è andato a posare su una suora giovane, bella, credo la più bella suora che io abbia mai visto.
e qui mi fermo.
voglio fermarmi.
io non conoscerò mai lei, lei no conoscerà me.
non le potrò mai domandare…
ma noi possiamo domanre alla luna, al sole, alla notte, alla vita, alla morte?
possiamo indignarci: per la cacca di un cane o perché qualcuno non scrive in italiano, e magari non ci indigniamo perché ogni giorni ne muiono tre nelle fabbriche e nei cantieri, e non ci indigniamo se ci avvelenano l’aria.

io credo che su face ognuno fa quel che si sente di fare, magari interrogandosi magari no.
uno può decidere di non voler dare confidenza al primo venuto, un altro invece sì.
mi sto interrogando, io su face.
ho detto sempre di sì alle richieste di amicizia.
poi credo di aver fatto delle richieste di amicizia un tanto al chilo: vedevo un intervento che mi piaceva, oppure ritenevo che certe affinità (scrittura, blog, giornalismo, ma anche teatro, o politica o luoghi) potessero risultare interessanti.
settimane fa ho depennato una cinquantina di persone, quasi tutte richieste fatte da me.
ma, anche qui, è giusto che ora mi fermi.
i miei parametri non sono i parametri degli altri.
penso che alla fin fine sia giusto fare quel che ci sentiamo di fare.
penso che sia ridicolo, però, dire che ci sono parametri giusti oppure sbagliati.
io so mica se son giusto

PS do per scontato che tutti diano… per scontato che il termine amico è infelice.
qualcuno, invece, ha sostituito il termine amico con conoscente: è comunque un parametro.
qualcuno, ho visto, usa face (e la rete in genere) per lecchinaggio; lo sconsiglio: peggiora l’alito e, per esempio nell’editoria, dà risultati ridicoli o quasi.

un eroe vero

succede che piove, qui, a cortona, e il cielo è grigio, quasi come in padania.
succede che quindi son qui, internet point, anche perché la mia connessione tascabile è più lenta di quella telefonica.

nei miei cinque romanzi cortona c’è in due: in uno non si vede, nemmeno citata, nella’ltro, cioè l’ultimo, invece sì.
in realtà c’è un romanzo che vorrei scrivere, ma qui.
mi basterebbe una settimana.
(poi certo, dovrei riscrivere).
ce l’ho in testa.
la storia di un proprietario terriero, socialista, amato dai mezzadri, disprezzato (a volte inseguito) dai fratelli in camicia nera, che volevano bastonarlo.
un po’ pazzo, un eroe a modo suo.
uno che rinuncia ad onorare ed amare il padre perché il padre è uno sfruttatore di contadini non è forse un eroe?
ho raccolto solo testimonianze orali, su di lui.
avrei bisogno anche di respirare l’atmosfera del podere dove visse, e di sfogliare il giornale locale che c’è qui, l’etruria, oppure altro.
la traccia di questo romanzo ce l’ho stampata, da anni, in testa.

ecco, quest’uomo era un esempio di socialismo vero.
i suoi mezzadri, meglio, i figli dei suoi mezzadri, non pativano la fame.
non li sfruttava, anzi.
e loro lo ripigavano: proteggendolo dalla ritotrsioni dei fascisti…
l’hanno conosciuto entrambi i miei nonni.
uno, quello materno, era un suo mezzadro, l’altro, il paterno, un amico.

anni fa, qui a cortona interrogai un contadino su di lui. un vecchio contadino, ora morto.
successe questo.
io parlavo e quello, il contadino, mi guardava divertito.
pensai: ho sbagliato contadino, questo è scemo.
no, era solo sordo.
quando gli spiegai, urlando, di chi volevo che lui mi raccontasse vidi che si aggrappò al bastone, si alzò in piedi e, serio serio, pronunciò con rispetto il nome di quel proprietario terriero che, durante il fascismo, non solo si disse socialista ma applicò, per quel che poteva, il pensiero socialista al suo vivere.

ha smesso di piovere, il cielo sta diventando il cielo di Gino Severini (che disse, se non fossi nato a cortona, sotto questo cielo così intenso, forse non sarei diventato pittore….)
mi scollego, vado.
buon sabato

le teste di minchia: vere

Un vecchio collega diceva sempre, Ci son due cose che nella vita non ti tradiranno mai, i libri e i cani. I libri però, aggiungeva, hanno il vantaggio che non li devi portare a fare pipì.
Ho avuto un cane, Barone.
In ogni cane che avrò vedrò sempre lui. Me lo sono regalato quando mi sono laureato. Per causa/merito suo ho rinunciato a ferie, diversi anni. Ho passato diverse estati a Vercelli e sono estati che ricordo volentieri: a passeggiare con Barone sugli argini del fiume Sesia.
Era un cane anarchico e dispettoso. E casinista.
Era simpaticissimo.
Una notte, ero solo, quindi, gli dissi, dai vai a fare un giro e poi torna,
andò, tornò un’ora dopo. Aveva un pollo allo spiedo tra i denti, probabilmente recuperato da un vicino supermercato. Da un cassonetto?, chissà.
Quando mi separai, restò con la mia ex moglie e mia figlia. Non potevo fare altrimenti. E’ morto lo stesso giorno in cui la Newton Compton annunciò l’uscita da La donna che parlava con i morti.
Pensai a lui, prima di dormire.
Avevo una gatta, con lui, Lilli. E’ stata la gatta che mi ha fatto compagnia gli anni, duri, di studio di notte e lavoro di giorno. Mi faceva bestemmiare, a volte (da buon toscano a volte bestemmio). Ché voleva salirmi in braccio mentre studiavo. Per farla scendere accendevo una sigaretta o un sigaro e lei, che non sopportava, scendeva.
L’abbiamo sepolta io e mia figlia alcuni anni fa. Aveva ventun anni quando è morta.
Ora ho un cane che sembra un lupo ma lupo non è, e che era di mio fratello Moreno.
Quando Moreno morì non volli che finisse in canile. Io lo ospito, mio padre lo porta a spasso tre volte al giorno (io non posso, causa lavoro). E’ un cane buono e triste. Io, a volte, penso che lui abbia come il sospetto che son legato al ricordo di Barone.
Si chiama Toby, lui.
E’ attacatissimo a Francesca, mia moglie, e a mio padre. A me guarda strano, Toby. S’interroga.
Lo ripeto per chi non sa: mio fratello, ossia il padrone di Toby, è morto nell’agosto del 2005: facendo… l’acrobata è caduto nel vuoto, dal quarto piano.
Toby non c’era, non poteva sapere.
Un anno dopo la morte di Moreno, del tutto casualmente mio padre ha portato Toby nel cortile dove il corpo di mio fratello cadde. E vide, mio padre, che Toby andava propio lì, in quel punto, eppure il cortile non è piccolo piccolo.
Mesi fa ci son passato anche io, con Toby: e ho visto. Lui va lì, in quel punto esatto, su cui ha piovuto, nevicato, su cui son passate cento persone.
E poi ho un gatto, che ho chiamato Mioumiou e di cui ogni tanto parlo, qui, perché scappa.
Mi piace Mioumiou: perché è un gatto testadimincia, un po’ come testadiminicia era Barone: testone, casinista, ribelle.
Finisco col gatto che non è mio, ma di cui ho parlato: prima pagina del giornale che dirigo.
Lanciato da un’auto in corsa.
Ecco, poi ci sono le teste di minchia vere, pericolose.
Guardate un po’.
E buona giornata.

cose

cose di giornale.
Dico a due miei colleghi: Ma una verifica al campo nomadi l’avete fatta?
Risposta. Al campo nomadi… sinceramente, non ci ho pensato, dice uno.
Forse è meglio andare i due, dice l’altro.
Sono stupiti da questa mia richiesta.
Continuo a dire. Guardate, la sera magari alzano il gomito, ma di giorno sono ospitali.
Sono sconcertati i due.
Dico (un pelo adirato). Volete che vada io?
(Giuro: mi piacerebbe, ma non posso. Devo disegnare la prima pagina, occuparmi delle lettere, del distributore, e devo vedere gente).
Vanno.
in due.
Tornano.
Il più giovane mi dice: Che gentili che sono gli zingari.
Ah.

cose strane
Incontro una radical scic.
Mi fa, complimenti, ho saputo che il tuo libro è andato bene.
Io, così pare.
Lei, complimenti.
Pausa.
Lei. Dai, regalamene una copia, così ti dico.
Senza parole, io, dico niente.
Arrivederci.
Arrivederci.
Credo che guadagni almeno 4mila, forse 5mila. Al mese s’intende. E il marito pure. Certo: 9 euro e 90 centesimi son sempre 9 euro e 90 centesimi. Coi tempi che corrono.

cose così.
certi giorni ho quasi voglia di noia, anche se la odio.

cose di giornale, ancora.
A Vercelli, nei giorni scorsi, qualcuno ha preso un gatto e lo ha lanciato da un’auto in corsa. Il gatto, mezzo massacrato, ieri è stato operato in una clinica veterinaria. Grazie al fatto che io l’ho pubblicato sul mio giornale, grazie al fatto che la gente si è precipitata in redazione a portar soldi, per farlo curare.
Nei piccoli giornali si parla di cose piccole, insomma, ma fa piacere, a volte, poter parlare di queste cose piccole.

Chi ha simpatia per Rita Borsellino legga qua ed eventualmente firmi.
Buona serata.

cose che non si scrivono, forse

Ricordo una donna.
Sui quarantacinque. A volte chiedeva aiuto. Non ce la faceva lei a sollevare suo padre dalla sedia rotelle al letto quando lui faceva i capricci.
Lei quel vecchio, il suo vecchio, non ha voluto che morisse in un istituto.
Aveva un fidanzato, quella donna.
Poi ne ebbe un altro. E un altro ancora, tre mi pare nell’arco di una decina d’anni.
Duravano qualche mese. Non capivano.

Però io – inutile che mi faccia bello, qui, coi pensieri da simil scrittore – una volta o forse due o forse cento io l’ho pensato. Vedendo che quella donna non aveva né serate libere né ferie né capodanni, io, pensai:
Ma perché non lo ricovera in un istituto?
Era una donna semplice e serena. Non l’ha fatto, lei. Al diavolo i fidanzati.
Ma se l’avesse ricoverato in un istituto sarebbe stata lo stesso una donna semplice e serena.
Ha scelto, lei, di onorare il padre fino all’ultimo giorno. Amnche se il padreera diventato un padre bambino.

E a proposito di pensieri che non diventano parole scritte.
L’ho già detto. Giorni fa ho passato ore in un pronto soccorso. Era una domenica.
Arrivava gente in continuazione.
Arrivavano anche persone anziane.
Lo sguardo perso. Specie quelle sole. Bastava una parola di un’infermiera a farle sorridere, appena appena.
Aspettavano.
Non sono belli i vecchi quando si arrendono.
Non sono seduti, sono accovacciati. O fanno i capricci o stanno muti.
Aspettano.
Ne ho visti: aspettavano.
Rassegnati.
Uscendo ho pensato (e detto) quel che non si dovrebbe.
Ho detto: Meglio morire prima.

Mi ha scritto una persona, una mail.
Sai, mi fa, volevo scrivere un commento, ma non me la sono sentita di raccontarmi. La bambina che è in me sta troppo male, ripensando a certe ferite (perché – chiaro – ci son vecchi da rispettare e vecchi padri padroni) non me la sono sentita di mettere in piazza quella bambina…

Alla frequentatrice di questo blog che non ha – giustamente – scritto un commento,
a “chi” pensa che la confusione sia lo stato mentale più vero
e a tutti dedico una delle mia canzoni preferite.
Tra le prime dieci, di sicuro.
Per quello che dice. Sul tempo, sulla vita e sulle stelle.

era nudo, era vecchio

Una volta all’anno mi tocca: devo fare dei controlli, da anni.
Malattia ereditaria. Niente di che.
Prelievo del sangue, altro.
Nei giorni precedenti i controlli divento intrattabile. Non sopporto gli ospedali, e pensare che mia figlia si è appena laureata in medicina.
Comunque.
Anni fa vado a fare questi benedetti controlli. Dal momento che io mi perdo dappertutto figuriamoci in un ospedale, seppur piccolo come quello di Vercelli.
Ma tant’è.
Mi persi e girai a vuoto, per un po’.
Poi vidi quegli occhi, che mi guardavano.
Fu la prima cosa che vidi e… scusate se ora vi sembra che io non sia chiaro.
Ma fu – per davvero – la prima cosa che vidi.
Passando davanti a una sala, non so dire che sala fosse, so solo che era il poliambulatorio dell’ospedale di Vercelli, c’era un vecchio, nudo, che mi guardava. Attorno a lui dei camici bianchi. Certo, la porta si era aperta all’improvviso e io probabilmente stava passando dove non si dovrebbe, ma quegli occhi me li sento ancora addosso se ci ripenso.
Era nudo, era vecchio, e attorno a lui c’era gente che lavorava.
Mi guardava. Come guarda uno sconfitto.
Non ho più visto cose così.
Ma mi capita di vedere, o di sentire racconti che arrivano dai pronti soccorsi o dalla case di riposo di tante zone d’Italia. I vecchi sono ancora nudi, e ci guardano.
Noi aspettiamo, ché tanto tutto va bene. Fino a quando saremo anche noi, a guardare, chi passa.
E – forse – proveremo rabbia: la rabbia che prova chi è compatito e non vorrebbe, ma non può farci niente.
(So bene che non bisogna generalizzare. In tanti centri, magari piccoli, c’è una buona politica, c’è attenzione per gli anziani. E in certe regioni è meglio che in altre.
Però un po’ dovunque stanno sicuramente meglio gli anziani benestanti. Il problema è quindi duplice. Di natura culturale, anche perché si tende a rimuovere il problema rinchiudendo la morte e la vecchiaia in strutture. Ma anche di ceto sociale. E si tuoni pure contro il centro destra, oggi, ma non mi pare che il centro sinistra si sia distinto più di tanto).

dicono che faranno una città

Dicono che costruiranno una città, tra la collina e il mare, fuori dal tempo.
Faranno case di legno, coi camini.
Ci saranno le auto, ma resteranno fuori, in quattro grandi parcheggi.
Dentro la città solo qualche bus elettrico e tante biciclette.
Non ci saranno computer, in questa città, ma due sale cinematografiche, una con prodotti commerciali, l’altra con vecchi o introvabili film per appassionati, e non ci saranno antenne, perché si ascolterà solo la radio, e non ci saranno telefonini, ma cabine, a ogni angolo, e ci saranno feste tutte le sere, fino a tardi ma non fino a tardissimo, e verranno organizzate però a nord, ché a sud, dove è stato realizzato un parco, ci sarà un posto, un bar con una libreria, per chi, non amando né feste né balli, potrà gustare, così, il silenzio, e pazienza se in lontananza sentirà le note di una fisarmonica o di un violino.
E non ci sarà plastica, in questa città.
La spesa si farà con le borse che si usavano una volta, le penne saranno solo stilografiche, i rasoi con le lamette intercambiabili.
C’è tanta gente che sta chiedendo, di questa città.
Gente che vorrebbe incontrarsi in piazza, e poi decidere cosa fare la sera.
Perché la sera, in questa città, si faranno cose.
Ci saranno circoli di lettura, ma anche sale dove la gente potrà giocherà a carte, o a tombola.
O studiare. O raccontare storie. O pensare alla città.
Nessuno, in questa città, mostrerà i propri muscoli o il proprio sapere agli altri.
Si cercherà, in questa città, di fare come fanno i bambini dei villaggi indiani, che quando hanno contrasti parlano e poi parlano e parlano ancora finché non si son chiariti.
E i vecchi saranno i re di questa città.
Avranno rispetto e compagnia.
Così che gli ultimi capitoli lascino un buon ricordo.

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Mi spiace ma wordPress blocca i commenti con due link.
Ripropongo quindi il commento di Clelia Mazzini, bloccato per qualche ora.
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Carissimo,

il tuo “sogno” me ne ha fatto venire in mente un altro, di Pasolini* (vedi qui, in cui si respirano le stesse atmosfere di quelle – rarefatte – che ho ascoltato leggendoti.

Complimenti e un saluto caro per te e i tuoi ospiti.

Clelia

* Si tratta di un testo di Pasolini intitolato “La recessione”, messo in musica da Mino di Martino per Alice (è disponibile anche un video su youtube) dove al termine della breve intervista con Augias, dedicata a Pasolini, la cantautrice presenta integralmente il brano).