Nell’ultimo post ho chiuso scrivendo:
buona giornata (e scusate).
Silvia, nei commenti, mi ha domandato: Perché ti sei scusato?
Perché tanta gente non vuol sentir parlar di morte e sofferenza.
Quando assunsi la direzione del giornale cambiai tutto, spaventando i miei editori. Cambiai la grafica, portai la pagina delle lettere a pagina due, pretesi pezzi più brevi (massimo 3mila battute), vietai le foto di posa, nella pagina di cultura chiesi la trattazione di argomenti non solo locali.
(Stamattina al bar ho incontrato Carlo Macrì della Banda Osiris. Mi ha raccontato che al festival della letteratura a Mantova ha conosciuto Pennac, han fatto un’esibizione insieme, poi sono andati a mangiare insieme, Pennac e la Banda. Ecco, se Carlo avesse tempo e voglia mi piacerebbe se raccontasse di Pennac sul mio giornale)
E quando in prima pagina pubblicai un’intervista (anonima) prima a due donne omosessuali (il tema era: vivere la propria omosessualità in una piccola città di provincia) e poi a due prostitute, arrivarono lettere anonime e aumentarono le proteste.
I miei editori pensarono (suppongo): Non potevamo fare una scelta più sciagurata.
Fortuna che non lo pensarono i miei giornalisti… che invece si appassionarono al ri-cambio.
Successe questo.
Che dopo un mese arrivarono, come arrivano ogni mese, i conti del distributore. Erano di aprile 2005. E dimostravano che, rispetto all’aprile 2004, c’era stata una crescita. Sostanziale.
I miei editori mi fecero i complimenti.
Tre mesi dopo succede questo. In prima pagina io lancio un appello per una bimba rumena (che ora è la mascotte del giornale). Malata. La bimba viveva e vive in Romania. Alcuni amici di famiglia vennero da me, proponendomi di lanciare una sottoscrizione così da permettere a questa bimba di farsi curare e operare in Italia (a Bologna).
Qualcuno disse: è una battaglia persa. Una città bigotta come Vercelli risponderà negativamente, dirà che vengono prima i problemi dei bimbi italiani, dirà insomma: che si faccia curare in Romani quella bimba malata.
E invece successe che ci fu una gara di solidarietà bellissima.
Dal politico della Lega Nord al militare della caserma di artiglieri al no global: tutti a contribuire.
In redazione arrivò una pensionata: posso dare solo 20 euro, disse, ho una pensione di 600.
Poi una madre. Mio figlio, disse, ha ricevuto questi 50 euro in regalo per il suo compleanno e ora vuole regalarli lui a.
Una società di atletica raccolse soldi, li spedì al giornale con una lettera che iniziava con un auspicio: Che tu possa correre felice.
Ci feci il Tirolo più importante della prima pagina.
Insomma, in poco tempo raccogliemmo 15mila euro e la bimba fu operata al Rizzoli di Bologna (dove – e qui lo sottolineo con piacere – il medico che la operò, venuto a conoscenza del caso, rinunciò alla sua parcella).
Nel frattempo continuavo a monitorare le vendite del giornale, numero dopo numero.
Bene, notai una cosa. Che ogni volta che in prima pagina noi scrivevamo di questa bimba e pubblicavamo la sua foto (col consenso della famiglia) le vendite calavano. Saremo usciti venti volte, con il volto, prima imbronciato (perché questa bimba, a sei anni, sapeva) poi sorridente. E tutte le volte c’era qualcuno che, vedendo la prima pagina, preferiva comprare altro.
Poi è vero: la gente, sui giornali, cerca le disgrazie altrui.
Se certi giornali son giornalacci è perché devono sopravvivere: non siamo in Spagna dove i giornali nazionali aprono con pagine e pagine di politica estera.
Ma certi argomenti fanno un po’ paura.
E io questo lo capisco. Specie a chi li ha vissuti come un incubo, per mesi e mesi.
E buona giornata
