Sono andato a vedere il film Parigi, di Cédric Klapisch (in un vecchio cinema di Vercelli: eravamo in quattro; oramai o multisala o sky).
Ci sono andato perché mi piacciono i film francesi, mi piace Parigi, mi piace Juliette Binoche (splendida in Film blu e ne Il paziente inglese).
Allora.
Nell’ultimo post avevo scritto che prima ho poi avrei manifestato le mie ambizioni.
Posso farlo in due modi. O parlando della mia famiglia, oppure del film.
Chiudo gli occhi e improvviso, ora.
Due mesi fa. Mio padre incontra una delle persone più ricche della città. Parlano, perché si conoscono da anni. Mio padre, che certe volte dice la prima cosa che gli passa per la testa e va fuori tema, dice:
Senta, tanto fra un po’ d’anni io e lei saremo sottoterra, lei con tutti i suoi soldi, io senza.
Andiamo indietro nel tempo. Il 1930, o comunque da quelle parti.
Mio nonno, cioé il padre di mio padre, gioca a carte. E quando il gioco si fa duro i duri osano. Bene, mio nonno Beppe giocò e perse la casa, in una sera.
Da piccoli proprietari, ma la casa non era piccola, divennero mezzadri.
Eppure io so che non ne fecero una tragedia. Se penso a una persona allegra spensierata io penso a mio nonno. Fumava come un turco, o pipa o toscani. Sorrideva sempre, non si radeva quasi mai, e quando è morto, aveva 89 anni, è morto bene: mentre lo portavano all’ospedale di Cortona, per via di una peritonite, disse: Andate piano, che devo morire soltanto io.
Anche nel film Parigi si parla della morte.
Che fa un uomo giovane quando sa che può morire?
Fa tre cose.
Guarda dalla finestra la vita degli altri. Si interroga, immagina. E’ l’unica cosa che lo interessa, dice.
Poi rincorre i ricordi, frugando tra le vecchie fotografie. E telefona a una vecchia amica, e avrebbe voglia di dirle, Gaurda che ero innamorato di te.
E poi pensa che vorrebbe fare l’amore ancora una volta, perché forse, dice, io non lo farò più.
I soldi e il successo, ecco, quando si cerca di “spendere” bene il tempo, i soldi e il successo sono delle grandissime minchiate.
Ho un’ambizione io: non sprecare il mio tempo.
(Poi certo mi piace scrivere e per continuare a scrivere i miei libri debbono avere un po’ di mercato, altrimenti non trovo editori).
Ecco, mi piacerebbe scrivere, questo sì, in un posto dove il cielo e meno grigio rispetto a quello padano e dove magari c’è il rumore del mare.
Non sarà facile, ma ci proverò.
E comunque: fa bene anche solo a pensarci (per esempio al mare del Salento).
E buona domenica
