la mosca

A volte scrivo solo per scrivere. Qualche riga che è solo un puro esercizio, di scrittura e fantasia. Quello che riporto, ora, è un esercizio, senza presunzione d’essere definito raccontino o altro. Ne avevo una dozzina così, forse di più. Salvati su due pc che, recentemente, ho dovuto far riformattare, causa virus.
E’ l’esercizio superstite, insomma.
Buon lunedì.

Era l’ultimo autobus in servizio. Solitamente prendo quello prima, un po’ affollato, ma ieri sera ho fatto tardi tornando dal lavoro. Tardissimo. Mentre stavo per salire ho avuto l’impressione che fosse deserto. E invece, in fondo, sembravano appallottolati, c’erano un uomo, fra i trenta e i trentacinque, grassottello ma elegante, e una donna, un po’ più anziana, quaranta, magari anche quarantacinque, ma carina. Una coppia piuttosto insolito, dunque. Lei era dolce con lui. Molto. Lui era preso dai suoi pensieri. Lei guardava lui e lui guardava il traffico e quindi non hanno fatto caso a me.
Li ho osservati bene, invece, io.
Ma a un certo punto ho avuto voglia di piangere, così ho smesso di guardarli. E mi son seduto davanti, vicino al conduttore. Non li vedevo, ma sentivo la loro presenza. Il loro calore. E avevo tanta voglia di piangere. Ho rovinato tutto, la mia vita è una rovina. Pensavo di essere forte, di poter fare a meno degli altri, e di lei. Il problema è che io sono un gran bastardo. A volte la volevo accanto, a volte no: perché io voglio essere padrone della mia libertà. Fare tutto quello che voglio fare, perché si vive una sola volta. E così…

Però anche tre giorni fa, era domenica, è successa una cosa folle. Alla mia testa, a me. Appena sveglio, sentivo qualcosa di diverso: e c’era il solito silenzio opprimente di un residence un po’ isolato. Non avevo voglia di alzarmi, né sentivo l’urgenza del primo caffè e della prima sigaretta. Non avevo voglia di niente: né di rimettermi a dormire, né di uscire, né di niente. Così mi son messo a guardare il soffitto e mentre guardavo, a un tratto, ho sorriso. Non ero solo, ho sorriso, ho sorriso, cazzo, a una schifosssima mosca che mi importunava i capelli, la fronte, la testa tutta, e io mi son lasciato importunare, senza cacciarla.
A una mosca ho sorriso.