giornalisti: servi e concubini

… si manifesta acuta più che mai tra i cittadini l’esigenza crescente di un buon giornalismo: che selezioni le notizie, che ne faccia sintesi chiara e completa, che ne stabilisca la gerarchia di rilevanza, che ne espliciti il significato recondito, che offra il pieno ventaglio di interpretazioni; in modo che il lettore possa formarsi compiutamente un’opinione libera e informata.
Lo segnala con forza una recentissima ricerca sullo “stato del giornalismo” condotta dal centro Astra di Enrico Finzi e presentata nei giorni scorsi all’Università Statale di Milano. Ma se il desiderio di informazione è sentito e diffuso (e crescerà in misura rilevante nei prossimi anni, a partire dal 2012, anche per i media non tradizionali), la fotografia che gli italiani fanno della realtà attuale è spietata e impietosa. Infatti, secondo il largo campione interpellato dai sociologi, per il 68 % i giornalisti sono bugiardi, per il 60 % sono incompetenti, per il 52 % “non sono indipendenti”.
E ancora: i giornalisti non hanno eticità (64%), sono ansiogeni (62 %) e non hanno rispetto per gli altri (53 %). In sostanza il giudizio del campione (rappresentativo della popolazione italiana sopra i 15 anni di età) esprime per il 55 % una valutazione negativa, se non pessima.
(…).

Nel libro appena uscito (“L’informazione che cambia” – Editrice La Scuola), Ferruccio De Bortoli riconosce che “siamo diventati servi e concubini del potere”. E ritiene “insopportabile” il clima “da terrazza romana” con quella complicità compagnona tra politici e giornalisti che si fa “casta” distaccata dalla realtà.

Forse allora sarà il caso di rivalutare le figure scomode che hanno predicato nel deserto. Precursore Walter Tobagi che, preoccupato dell’instaurarsi di un “pensiero unico” e degli intrecci incestuosi con l’economia, ebbe il coraggio di battersi contro il conformismo a viso aperto (pagando con la vita, facile bersaglio del terrorismo rosso).

estratti di un articolo pubblicato da Liberal il 16 ottobre; articolo che è stato scritto da Giuseppe Baiocchi di Stampa democratica
www.stampademocratica.it

PS. Se un giornalista non può dare voce a chi non ce l’ha io penso che farebbe meglio a cambiare mestiere. Penso che presto cambierò mestiere.

PS.
Il commento numero cinque rimanda (anche) a questa questione, sollevata dal link che il commentatore (Alessandro) ha segnalato.
La questione è questa.
L’informazione in Sicilia. E il silenzio. In Sicilia e in Italia.

la ragazzina

Guardo nel mio carrello.
Acqua Fiuggi. Due porzioni di formaggio caprino. Una confezione di crauti. Ananas tagliato a fette. Un sacchetto per fare del cous cous piccante. E due tramezzini tonno e pomodoro, da mangiare in redazione a metà pomeriggio, sono il mio pranzo-merenda (davanti al blog).
La cassa è lenta, c’è gente davanti a me.
E’ lenta perché la cassiera non ha più pezzi da cinque euro. Ed è andata a cercarli.
Davanti a me, che sono il terzo, due carrelli, arriìvati insieme, si contendono il primo e secondo posto.Alla mia sinistra, una giovane coppia; alla mia destra, una ragazzina col padre.
Restanno alineati, nessuno si decide a passare avanti.
I due ragazzi han fatto la classica spesa di fine settimana. Il carrello traborda. Vino, carne, ogni bendiddio. Anche una rivista di informatica, anche un libro di Coelhe, che Coelho e Moccia non mancano mai nei supermercati. C’erano anche Eco e alcuni Feltrinelli, quindi non polemizziamo.
I due ragazzi, sui trenta, si vede che non hanno fretta. Sono quella che si direbbe una bella coppia. Parlano divertendosi. Sorridendo.
L’altro carrello è di segno opposto.
Ci sono bottiglie di vino. Mi sembra quattro, non avendo gli occhiali non riesco a vedere che vino sia. E c’è della pasta, mi sembrano fusilli, e delle scatolette di tonno. piccole. Il carrello è sospinto da una ragazzina, avrà dai dodici ai quattordici anni. Il padre è dietro di lei. Sono vestiti da poveri, si vede. Jeans e maglietta la ragazza. Jeans e camicia arancione il padre. Scarpe da ginnastica, lei. Sandali ma con calzini, lui.
La ragazza è mogia mogia, il padre ha come un ghigno stampato in faccia.
Da sbruffone.
E in effetti.
Quando la cassiera arriva con i suoi cinque euro, il primo carrello a farsi avanti è proprio quello della ragazzina mogia modia: ha capito che deve passare per prima perché gliel’ha fatto capire il padre: spintonandola.
(E quando vedo che la spintona sogno d’essere un fantasma birbante, che molla calci in culo a chi li merita).
Caricano il tutto, il padre paga, vanno.
E’ il turno dei ragazzi davanti a me. Sei sacchetti di cose. Carta di credito. Bel sorriso alla cassiera.
Poi vanno incontro alla sera, i due ragazzi.
Tocca a me. Fa 13 e 75. Pago con un ventieuro. La cassiera mi dà la moneta di resto e, sospirando, anche la banconota da cinque. Non è giornata, oggi, per le banconote da cinque. Scappano.
I due ragazzi, intanto, hanno guadagnato l’uscita.
Son convinto che passeranno una bella serata.
Penso alla ragazzina.

Poi.
Sulla mia libreria di Anobii ho messo un libro, che in realtà non ho ancora per le mani.
Senza Luce, di Luigi Bernardi.
Casa edtrice Perdisa (e per Perdisa ha appena pubblicato un nuovo libro Elisabetta Bucciarelli):
Una recensione.
Quando ordino un libro, dieci volte su dieci è un bel libro. Non conosco Bernardi (che è solo un contatto Face), di lui ho solo sentito parlare. Ha tradotto Manchette, è noto in ambito editoriale. Penso sia un buon libro. (Che, forse, dico forse, ha qualche analogia con Bastardo posto, il mio libro Newton che uscirà ad aprile 2009).

Una segnalazione e, se permettete, anche un invito che rivolgo ai blogger (che sanno bene: ho mai chiesto un link, io).
Vi segnalo il blog di Pino Masciari
http://www.pinomasciari.org/
E ai blogger chiedo di linkarlo, grazie.

Cinema italiano

Farinelli voce regina

Prendimi l’anima
I cento passi
Novecento

Poi c’è questa cosa qui,

un film che non ho visto, e cioè Teorema di Pasolini. La canzone ha un profumo particolare per me. Sa, per me, di quei deodoranti che davano al cinema, una volta. In un cinema della mia città questa canzone era usata come sottofondo per delle (orribili) pubblicità locali. Non sapevo che fosse di Alice. Youtube serve, insomma.
Che fosse sua l’ho scoperto un annetto fa. Rammentando alcune strofe con san google alcune cose del passato riemergono.

Che poi il cinema sa di nostalgia non solo per me…

ciò che si vede è

Ciò che si vede è, dice una bella canzone del banco del mutuo soccorso.
Forse.

Tre anni fa. Ho assunto da poco la direzione del giornale. L’ho messo sottosopra. Ho cambiato mansioni, orari, impaginazione, tutto. E ho preso una segretaria e l’ho promossa sul campo: giornalista, ché come segretaria valeva un tubo, mentre come giornalista ha fantasia e interessi per il segmento spettacoli-cultura.
Un giorno arrivo in redazione e la trovo che mi aspetta.
E’ stata testimone di un fattaccio.

Parentesi. Il mio giornale, come tanti giornali piemontesi, è periodico; esce (dal 1871) due volte a settimana. Ormai l’abitudine è questa. Nei giorni di chiusura del giornale si lavora come se fossimo un quotidiano, negli altri si cerca (o si dovrebbe) come un settimanale.
Allora, il racconto questa giornalista me lo fa di sabato. C’è tempo per scrivere del fattaccio: usciremo martedì, io quindi ne scriverò lunedì, oppure domenica.

Il racconto è questo.

Ho visto una gazzella dei carabinieri davanti alla tal farmacia, ieri sera. Hanno fermato una macchina, dentro c’erano due ragazzi giovani. A un certo punto ho visto che hanno spalancato la portiere di questa macchina, preso per il bavero il conducente e l’altro passeggero, avranno avuto vent’anni, forse meno, poi li hanno spintonato, urlando. No, non li hanno picchiato, ma facevano paura, credimi. E la gente che passava di lì diceva che non era il modo, quello, di trattare due ragazzi…

Scriverò un pezzo in prima pagina, le dico.
Scriverò che c’è modo e modo di fare i controlli.
(Fossimo stati un quotidiano avrei scritto tutto. La giornalista ex segretaria la conosco da una vita, è affidabile, seria).

La sera vado a mangiare da mio padre. C’è anche mio fratello Moreno, era ancora vivo. Gli racconto l’accuduto, lui mi ascolta, poi sbotta in una risata.
C’era anche lui nei pressi della farmacia.
E i due ragazzi fermati lui (purtroppo) li conosceva.
(Per la verità li conoscevo anche io).

Comunque. Il racconto di mio fratello.

Sono arrivati i carabinieri che hanno fermato la macchina con x ed y. Un carabiniere si è abbassato, x ha abbassato il finestrino, ha detto a x, scommetto che dentro la macchina hai un po’ di erba;
e x sai cosa ha fatto?, mi dice mio fratello ridendo.
Che ha fatto?, domando.
Gli ha dato un ceffone, per questo il carabiniere l’ha tirato giù dalla macchina…

Di quei ragazzi ne ho parlato nel racconto Tamarri, che uscirà, penso presto per Historica.
Son contento che esca quel racconto, tra un libro della Newton e un altro…
Scrissi niente, naturalmente.
E pensai: fortuna che non siamo un quotidiano.

la ragazza e la signora

Un ricordo. Avrei dovuto scriverne quando “la signora” morì, due anni fa. Invece quel ricordo l’ho rispolverato solo ora, forse ispirato dalla discussione precedente: certo, un grande scrittore, un grande artista può anche essere una merda di persona, e va bene così. Ma se non lo è, è comunque meglio, credo.
Buona giornata

Era il 1980 e qualcosa.
Ero sull’autobus, a Torino. Tipica giornata invernale uggiosa e triste.
Non ricordo che ora fosse, ricordo il grigiore. E l’autobus, che da via Po va verso via Cernaia e la stazione di Porta Susa.
Sull’autobus vedo una signora non più giovane.
La riconosco.
Ha due occhi bellissimi.
Ha un bell’impermiabile, un ombrello. La memoria, oggi a distanza di anni, mi dice che fossero entrambi verdi, ma non ci giurerei.
Ha un’espressione dolce, stampata in viso.
Mentre la guardo ri-penso alle mie serate, da ragazzo, davanti alla televisione in bianco e nero. Io e mia madre, che magari fa la maglia e intanto sente e ogni tanto alza gli occhi e guarda.
Lei, la signora dell’autobus, era Luisa, la mamma di
Ombretta sdegnosa del missipipì, non far la ritrosa e baciami qui.
Era la moglie di Franco, protagonista di Piccolo mondo antico, che diedero in tivù una vita fa.
Vecchio, vecchissimo film riproposto poi dalle televisione (quando c’erano due canali, più La Svizzera qui al nord).
Caso vuole che in quel periodo sto studiando Fogazzaro. Oltre a Piccolo mondo antico, stavo leggendo Piccolo mondo moderno, Il santo, Malombra.
E sto studiando il modernismo, corrente che, ai tempi di Fogazzaro, sperava in un rinnovamento della chiesa ma che dalla chiesa riceveva solo minacce, ché la Chiesa in Italia ha sempre ragione, sempre (e i politici in Italia le dan sempre ragione).
E guardo, con ammirazione, quella signora seduta, che sorride a niente e a tutto.
Guardo, insomma, Alida Valli.

Succede che nell’autobus ci sia una ragazza che ha tutta l’aria di non essere di Torino. E’ maldestra, anche: rischia di cadere, quando l’autobus fa tappa a una fermata.
Vedo che chiede cose, chiede informazioni, ma le chiede a mezza voce, è timida, non è punto bella, perché se lo fosse stata, bella, sarebbe stata attorniata da maschietti generosi in indicazioni, ed è grassoccia, veste male.
Di Torino so poco, penso, ma magari quel poco che so può bastare, penso ancora avvicinandomi a lei.
Dove deve andare?
Sono stato anticipato: da Aliva Valli che si è alzata e, come me, ha visto spaesamento e timidezza stampati sul volto di quella ragazza.
Vedo che la ragazza le risponde qualcosa, piano, vergognosa.
Ci son persone che abbassano il capo per nulla, come se avvessero peccato.
Venga che l’accompagno io, dice la signora Alida Valli.
L’autobus si ferma.
Vedo che scendono insieme, la ragazza e la “signora”.

il disagio

Sveglia anticipata stamattina: alle nove.
Squilla il cellulare e, quando squilla, a casa mia son cavoli, che si sente male. Dico, Richiamo, poi mi vesto in fretta, poi, con la voglia di un caffè e sbadigliando, vado in guardino, ché in casa, causa i muri spessi, si sente niente.
Poi caffè, lavaggi vari, accensione pc e, mentre guardo gmail, altra telefonata, di lavoro.
Chiaro, si vede subito. Oggi non è giornata, quindi, né di blog di facebook e nemeno di mail, anche perché, ho il pc devastato dai virus.
Stanotte spero in quello di scorta.
Vado, che son di corsa, oggi.
(Però mi son sentito strano ieri. Mi mancava qualcosa, ossia il pc e la rete, e quindi avrei potuto fare altro, leggere scrivere andare a spasso. E mentre pensavo al disagio al contempo concludevo, e dovevo ammettere, di essere diventato dipendente dalla rete, e non è una cosa bella, anzi, ché la rete fa male, come le sigarette.
Certo, basterebbe un po’ di sano equlibrio mentale. Che non ho mai avuto).
E buona giornata

E poi.
E’ uscito il secondo libro di poesie di Cristina Bove, Il respiro della luna.
(Cristina, oltre che brava, è una splendida persona).
Uscirà invece a metà novembre il secondo libro di Enrico Gregori, Doppio squeeze.
(Se dico che Enrico è una splendida persona mi rinchiudono subito: anzi, mi rinchiudo io).

Pavese. Un film in rete. Gli scrittori di serie A, oggi

Su Pavese, tra quel che ho letto nei commenti in coda al post precedente

io – da ottantenne quale sono – me lo ricordo, mentre passeggiava sulla collina torinese (o sulle colline, non so) mangiando ciliegie (o ciliege).
Ma era un ricordo delle Ginzburg.
Una di quelle immagini folgoranti che ti porti dietro tutta la vita: chissà perché.
Roby
è il suo mettersi a nudo senza ipocrisia in maniera a volte persino imbarazzante quello di lui che ho amato in maniera viscerale…
credo sia l’autore italiano di cui possiedo quasi tutto, è diventato negli anni la mia cassaforte, a volte mi ha fatto male, avrei voluto buttare le sue pagine dalla fienstra, ma sapevo che sarei corsa a riprenderle sempre e comunque
chicca (ma)

Pavese è stato il mio amore dell’adolescenza in cui il mondo nel bene e nel male si spalanca in tutta la sua grandezza e mistero. Lessi Il mestiere di vivere a cavalcioni di un muretto nel giro di pochi giorni e rimasi folgorata. Ne feci una tesina da portare a scuola. Credevo di aver scoperto qualcosa di unico e di grande e che fosse tutto mio. Da quel momento andai nella biblioteca di quartiere e lessi tutto quello che era disponibile. Le poesie del disamore mi hanno seguito per anni in borsa, ogni tanto ne leggevo una. Il vino triste rimane la mia preferita. Io parlo volentieri di lui e lo faccio come parlare di un amico che non ha avuto fortuna, perchè non penso allo scrittore, penso all’uomo, poichè il suo scrivere è servito per conoscerlo. Ogni tanto lo ricordo, come Mia Martini. Anime che sento affini, non così lontano da quel luogo in cui non conta spazio e tempo. Maggiani invece me lo ricorda fisicamente, forse anche per questo mi piace.
silvia (sgnapis)

mi ossessiona l’idea di quelle due ore che ha passato telefonando alle sue amiche, elemosinando un po’ di compagnia, prima di uccidersi. Ci penso e ripenso, come una moviola. Nessuna è andata. Nessuna. Provo a immaginare quelle ore, al “non scriverò più”, ai “Dialoghi di Leucò” sul comodino e alla finestra dell’albergo (vorrei vederlo quell’albergo, esiste ancora?)
Un’anima affine anche per me, senza dubbio, di pancia. Mi è capitato di pensare che quest’uomo morto due anni prima che nascesse mia madre mi è più vicino di tanti vivi che ho intorno.
Monia Casagrande

Segnalazione.

Torno subito: il primo film italiano scaricabile, ad alta definizione, in rete. E’ di Simone Damiani (mio contatto su Facebook)

E POI.
Su Face, nei giorni scorsi, ho intercettato uno scambi di battute, peraltro intercettabili da tutti, tra una mia amica attrice (Paola Pace, impegnata in uno spettacolo su Goliarda Sapienza) e un mio amico scrittore (Franz Krauspenhaar). E Paola che, stupita, diceva a Franz: Ma qui su Face è piano di scrittori. E Franz che confermava. Poi, non ricordo chi, ha detto (non importa chi l’ha detto, mi sembra Paola) “Ma scrittori di serie B”.
E volevo scrivere qualcosa, io, sugli scrittori di serie A, B, C e D, e mi sarei messo, io, tra quelli di C, ma poi ripensandoci bene non so mica dire, io, chi sono i veri scrittori di seria A, oggi.
Quelli che vendono?
Quelli che son bravi ma son per pochi?
E se lo fosse, metti, uno che non ha mai pubblicato o che è stato rifiutato o che…
E se volete dire dite…

buona giornata

E vi ricordo Direfarebaciare.

di insofferenze varie e di pavese cesare

E’ un periodo in cui non ho niente da dire, mi piace star solo, mi piace camminare per la città,  aspetto la notte.
Poi, se leggo sono insofferente. Interrompo letture, ne riprendo altre interrotte, cerco nuovi libri.
(Mai dare giudizi su certe letture quando si è in un momento no: quel che pensiamo è spesso distorto).
Comunque, vi ricorderete di Monia, che mi ha aiutato nei raccontiaquattromani, con passione e pazienza.
Mi ha chiesto di Pavese, una cosa.
La copio incollo dal vecchio blog, e buona giornata a tutti.

Hanno almeno un’ottantina d’anni alcuni vercellesi che, non so di preciso l’anno, al Ginnasio ebbero come professore Cesare Pavese.
Uno di questi vercellesi, si chiama Ferdinando Lo-Jacono, fino a qualche anno fa scriveva su La Sesia: per lo più recensioni teatrali, ma anche amarcord.
E un amarcord, anni fa, lo dedicò, appunto, al suo professore, supplente per qualche mese, Cesare Pavese.
Vado a memoria.
Pavese, dopo una giornata di lavoro, va alla stazione, che dista dal Ginnasio cinque minuti a piedi; cinque minuti a piedi piacevoli, ché si passa davanti alla basilica romanica di Sant’Andrea, il più bel monumeto di Vercelli, e i giardini, della stazione appunto.
Pavese, raccontò Lo-Jacono, appena poteva leggeva. Intensamente, Non si sa se leggesse anche camminando, sarebbe stato pericoloso, di sicuro, quel pomeriggio invernale e grigio, si rintanò nella sala d’aspetto con un libro in mano, assorto più che mai.
Tanto assorto che non si accorse dell’arrivo di un treno che da Milano l’avrebbe portato a Torino, né di quello successivo, né dell’ultimo.
Si risvegliò dalla lettura quand’era ormai troppo tardi, raccontò il personale della ferrovia, stupito nel vedere che Pavese non si disperasse né cercasse un albergo.
Dormì tutta la notte nella sala d’aspetto (che ora non c’è più) della stazione di Vercelli.
Forse a leggere, o correggere temi, chissà.
Di sicuro nessuno sa quale fosse il libro che catturò a tal punto il giovane, squattrinato professore, Cesare Pavese.

tre cose da dire, oggi

Il buio di quei giorni, di una ragazza che, ricoverata, vede che il “suo cielo” è diventato il soffitto degli ospedali e delle sale operatorie, è comunque rischiarato da una presenza, tanto forte quanto discreta, dei suo genitori. Il dolore che diventa forte, affrontandolo insieme, scambiandosi uno sguardo, un abbraccio.
«I miei genitori sono le pagine su cui è stato scritto quel libro, anche se avrebbero volentieri fatto a meno. Sirena è un inno anche a loro».
Quel che avete letto è un estratto di un’intervista che ho fatto, qualche mese fa, alla mia amica Barbara Garlaschelli. Che, ieri, sul suo blog ha scritto:
Ciao Renzo.
Renzo, il padre di Barbara, è morto ieri.
L’intervista che feci a Barbara.

E’ nato il blog direfarebaciare.

Giovanni Giovannetti scrive:

Per farla breve: Direfarebaciare avrà una forte connotazione territoriale, di informazione e di denuncia sull’operato delle pubbliche amministrazioni: cosa succede a Pavia, a Vercelli, a Cremona, a Siena, a Genova, a Torino? Tratteremo di mafie e di consumo del territorio; ma guarderemo da vicino anche le svolte epocali che sempre più alimentano quelle migrazioni planetarie di cui oggi intravediamo solo le avanguardie.
Direfarebaciare vuole essere luogo di confronto e di scambio di esperienze “sul campo”: tra chi a Scampia e a Pavia svolge attività di volontariato con gli immigrati; tra chi a Catania e a Milano denuncia la soffocante espansione della criminalità organizzata; tra chi a Genova e a Siena si oppone alle speculazioni immobiliari favorite dalle tangenti.
Racconteremo le mafie del nord, le mafie dai colletti bianchi che operano in borsa, che investono nel grande commercio, che edificano e bonificano banconote e che si candidano a bonificare anche le tossine delle grandi aree industriali dismesse; racconteremo di ecomostri autostradali e non; racconteremo di povertà vecchie e nuove.

Faccio tanti auguri a Giovanni. E anche a me, perché in quel blog, quando potrò, ci sarà qualche mio intervento.

Già che ci sono scrivo altro, ora.
Stanotte ho dormito 4 ore anziché 5: come ai vecchi tempi, quando alternavo fabbrica e università e dormivo dalle 3 alle 7. Poi treno, autobus, prima lezione, seconda lezione, autobus, treno verso vercelli, in bicicletta di corsa verso casa a mangiare una mozzarella, poi autobus verso la fabbrica, poi fabbrica, poi autobus o passaggio scroccato dalla fabbrica a casa, poi caffettiera da tre e la notte per studiare. Fino alle tre. Meglio oggi, forse.
Dico forse, perché certi giorni (certi sta per tanti) preferirei lavorare in fabbrica che fare il giornalista.

E buona giornata

NO, 4 “cose”.
E’ in questo blog, ma la copio incollo.

Ti voglio bene fino alla luna. Fino all’arcobaleno. Fino al prato quando ci sono i grilli

(Federica, 4 anni)

(Grazie Elena)

il clima

Non ho mai detto in vita mia Voglio andare a vivere all’estero.
Ora invece ci penso, a volte.

Stazione di Vercelli, sono alla biglietteria.
Torino Porta Nuova solo andata, grazie, dico.
quattro e ottanta, mi risponde il dipendente delle ferrovie dello stato.
grazie, buona giornata.
….
provo di nuovo: arrivederci.
….

In Francia questa estate mi son stupito tante volte: paghi il pedaggio autostradale e ti senti salutare.
Non solo.
Viaggi, sei in corsia di sorpasso, e nessun deficiente da dietro ti fa i fari perché vuole che tu gli lasci la strada libera.
E mi sono stupito due anni fa, in Spagna.
Anche lì: la gente ti saluta. O risponde o saluta per prima.
Ma nelle autostrade spagnole – magari è un caso, non so – mi è successo di andare in bagno, cosa che si cerca di evitare pensando alle nostre autostrade, e di constatare, dieci volte su dieci, magari mi manca l’undicesima, che chi era andato in bagno prima di me aveva lasciato tutto pulito.

Ma non c’è solo questo, oggi, in Italia.
C’è un clima strano, oggi, in Italia.

Sono sul treno delle 16 e 13 minuti che va verso Torino.  Nonostante due tamarri che alle mie spalle sparano cavolate sui rispettivi computer e quelli degli altri, “Jo è fulminato minchia, non sa cos’è skype, e fa solo casini, minchia, se vedi il suo pcci ti viene un colpo”, riesco a leggere (King).
Stazione di Santhià, stazione di Santhià: niente da fare, i due tamarrini, gel e orecchini e tatuaggi vari, non scendono alla stazione di Santhià.
Scendono alla fermata successiva, Chivasso.
Una ragazza, tra i venti e i venticinque, alla mia destra li guarda con uno sguardo che non so interpretare. Sdegno, interesse? Non so.
Prima che scendessero i due tamarrini ha dovuto parlare forte al cellulare per farsi sentire da mammà: No, non voglio pasta stasera, falla solo per papà, io mangio verdure.
(Penso, dovrei farlo anche io).
Comunque, siamo a Chivasso, stazione di Chivasso, treno regionale delle (non mi ricordo) per Torino Porta Nuova è in partenza.
Sale gente.
Salgono anche due nomadi. Sono giovani, sono vivaci, insomma fanno un po’ di casino, perché scherzano tra loro, restando in piedi.
Osservo la ragazza: è come ipnotizzata. Le fissa, con attenzione.
Almeno due, tre minuti.
Sa, suppongo, che io la sto guardando.
E in effetti, quando si stanca di guardare le due nomadi, gira la testa verso di me, ma senza guradarmi dice: Che schifo.
Poi riguarda le due nomadi.
Le guardo anche io. Stanno ridendo. Le guardo meglio: sembrano pulite, ordinate, i capelli non sono unti.
Non danno fastidio a nessuno.
Guardo la ragazza.
Mangerà verdura stasera.
Il clima, il clima è questo, oggi.

il fighettismo

Quelli che se la tirano, potrebbe essere il titolo di questo post.
Quelli e quelle che fan le fighe, insomma.
Ieri su facebook, una persona che campa di editoria e che conosce, quindi, più di me, è sbottata:
Scrittori?
Giornalisti?
Ma quando mai?, scribacchini.
Non potevo resistere. Ho scritto a questa persona (premettendo: non sto cercando un editore, io) dicendo che per fortuna non tutti sono così.
E che magari, tra le secondo linee del giornalismo per esempio, ci sono atti di coraggio di cui nessuno sa o saprà mai.
Questa persona mi ha dato ragione, soffermandosi su un certo fighettismo di sinistra: si parla dei problemi e di questi problemi si sa niente.
Quanto son vicini, c’è da chiedersi quindi, scrittori e giornalisti alla vita vera?

Mi faccio pubblicità, ora.
Tra un libro della Newton Compton (La donna che parlava con i morti, 2007) e l’altro (Bastardo posto, che uscirà ad aprile 2009) ci sarà, da parte mia, un’uscita a cui tengo molto: Tamarri.
Tamarri è stata la mia esperienza personale e vissuta con ragazzi al confine: tra la delinquenza e la cosiddetta normalità.
La fabbrica ormai è un ricordo, per me, lontano. Quasi come l’università. I due anni passati in carcere a insegnare, pure. Ma i due anni vissuti con dei teppistelli di periferia no, mi fa pensare a più cose, sempre.
Al fatto che quando sono ragazzi potrebbero essere recuparti, uno.
Al fatto che i cosiddetti intellettuali (e la sinistra) sono lontani dalle periferie.
Nelle periferie ci arriva i giornali stupidi, le telenovelas, Valentino Rossi, i miti del consumismo, le strafighe, Berlusconi.
Ma la sinistra e gli intellettuali no, almeno oggi (forse Valter Siti: ne conoscete altri?).

Una sera parlavo con un ragazzo. Un ragazzaccio. Cercavo di spiegargli, davanti a una Moretti, quanto fosse importante leggere, istruirsi. Mi ascoltò, magari dissi cose furbe, chissà.
Alla fine, guardandomi, e senza vergogna, mi disse: Non ho mai letto un libro, cosa mi consigli?

Non è un mondo lontano lontano, questo.
Domenica scorsa ho trascorso alcune ore nel pronto soccorso dell’ospadale di Novara. Problemi familiari, diciamo. Bene, c’era una ragazza che faceva una flebo. Poi ho capito: era un antidolorifico. Era arrivata urlando, Forse è appendicite ha detto.
Mentre il liquido della flebo le entrava in circolazione lei ha mangiato un pacchetto di patatine e uno di Ringo.
Questa è gente.
Non ridere e non piangere ma comprendere…

Comunque. Tamarri uscirà per Historica. Dal momento che fu un’esperienza che vissi grazie (allora dicevo per colpa) di mio fratello, alla fine del racconto, spiegando, ho aggiunto la lettera che scrissi quando Moreno morì.
Spero che ora non sia lui a vergognarsi di me.

Buona giornata, e scusate i refusi, ché son di corsa. Oggi mi aspetta Torino.

PS Un libro fatto “vedendo”: Zingari di merda, di Moresco con foto di Giovanni Giovannetti.

17 euro di… incipit

Sei libri, 17 euro, al mercato dell’usato che c’è ogni prima domenica del mese qui da me.

(Non ho mai letto Jorge Amado)
Vadinho, il primo marito di dona Flor, morì a Carnevale, una domenica mattina, mentre ballava un samba vestito da baiana in Largo 2 Luglio, non lontano da casa sua.
Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti 1977

(Un libro letto tanti anni fa, dimenticato; e non ricordo se l’avevo preso in biblioteca o in prestito da qualcuno)
Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Per esempio, nella Settantesima Est c’è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appratamento newyorkese.
Truman Capote, Colazione da Tiffany, La biblioteca di Repubblica.

(Un libro letto a sedici anni. Me ne innamorai. Fu il primo di Remarque. Poi vennero gli altri. Poi successe che questo libro lo persi. Erano dieci anni e forse più che lo cercavo, specie nelle bancarelle. Lo carcavo io ma non ero solo: avrò ricevuto dieci mail – ne ricordo una di un tassista di Genova – che mi chiedevano: Ma tu sai dirmi come faccio a trovare una copia de L’obelisco nero? Non volevo credere ai mio occhi quando l’ho visto: edizione del 1971, nuovo. Credo che non sia stato nemmeno sfogliato).
(Tra i miei 50 libri preferiti questo c’è).
Il sole entra luminoso nell’ufficio della ditta di monumenti funerari Heinrich Kroll e figli. E’ l’aprile del 1923, e gli affari vanno bene.  Vendiamo molto e, di conseguenza ci impoveriamo; ma che fare? La morte è inesorabile, non si può allontanarla, e il dolore degli uomini richiede monumenti, monumenti di arenaria o di marmo e, se il rimorso e l’eredità sono grossi, di costoso granito nero svedese lucidato da tutte le parti.
Erich Maria Remarque, L’obelisco nero, Mondadori

(Allora, questo volevo ordinarlo, ché me ne han detto bene. A volte succede di trovare in bancarella libri nuovi, magari un po’ rovinati. Di Valetr Binaghi, comunque, trovate con più facilità il suo giallo pubblicato da Sironi, I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano. Comunque).
Il tossico che si è venduto tutto per la roba (prima i dischi d’epoca, i libri, i vesiti, l’orologio, la catenina della prima comunione, perfino i mobili, e poi i gioielli della madre che l’ha buttato fuori, adesso dorme in una casa occupata su un materasso bisunto, dall’altra parte della parete una coppia di disperati come lui, loro almeno stanno insieme ma non scopano mai, li sentirebbe) il tossico è la sceneggiatura parodiata da un demone della parabola del Vangelo (ricordate? quella del mercante che trovata la perla preziosa vende tutto ciò che ha per averla).
Valter Binaghi, Devoti a Babele, Perdisa

(Con Remarque e Boll e Scott Fitzgerald, John Steinbeck è uno dei miei scrittori preferiti di quando avevo diciassette anni e d’ggi. Tra i miei cinquanta libri preferiti c’è, di sicuro, L’inverno del nostro scontento. Questo invece non l’ho ancora letto).
Quando la guerra arrivò a Monterey e a Cannery Row tutti più o meno combatterono, in un modo o nell’altro. Quando cessarono le ostilità ognuno aveva le sue ferite.
Le ditte produttrici di scatolame condussero la guerra facendo sospendere le restrizioni sulla pesca e acchiapparono tutto il pesce. Fu fatto per motivi ptariottici, ma i pesci non tornarono più.

John Steinbeck, Quel fantastico giovedì, Oscar Mondadori.

(Avevo comprato, tempo fa, un libro di Danila Comastri Montanari. Bene, anzi male, ché non lo trovo più. IN attesa che risalti fuori….).
Comodamente sdraiato su un divano del tablino, il senatore Publio Aurelio Stazio sorbiva a piccoli sorsi il Falerno caldo della sua coppa, annuendo di tanto in tanto. Pomponia parlava da quasi un’ora, e il patrizio era ià stato edotto su tutti gli scandali dell’Urbe, a partire da quelli che coinvolgevano la disinvolta imperatrice Valeria Messalina.
Danila Comastri Montanari, Parce Sepulto, la terza indagine di Publio Aurelio Stazio, Hobby & Work.

PS. Ci sarò solo di notte, e a notte inoltrata, per quache giorno, qui. A volte la vita, specie quando fa male o fa le bizze, corre altrove.
Buone cose.