che natale è

Sono in redazione, solo, rispondo agli auguri, sms o mail o telefonate che siano.
E’ da una vita che certe giornate le passo al giornale. Anni fa, c’era un motivo vero: non avevo a casa il computer e quindi, per scrivere, venivo qui.
Se ripenso al mio primo libro, Il quaderno delle voci rubate, mi rivedo qui. E se invece ripenso a Lo scommettitore mi rivedo ancora qui e poi in un albergo, a Cortona, di notte, nella stanza delle prime colazioni.
Insomma, per scrivere ho rubato tempo a tutto: a una passeggiata, agli affetti, a momenti insomma.
(Certe volte faccio il gioco dei rimpianti: se avessi creduto un po’ di più nella mia scrittura avrei perso meno tempo a cazzeggiare, per esempio giocando a bowling, sport che ho praticato a livello agonistico.
E anche: se avessi dedicato meno tempo alla scrittura avrei, ora, qualche ricordo in più di mia figlia, Sonia).
Torno, perché la mente è tornata lì, al Quaderno.
Lo iniziai a Pasqua e lo finii in quindici giorni, sarà stata l’estate di tredici, quattordici anni fa: niente ferie, quell’anno, niente Cortona, ma solo la scrittura, poi le passeggiate al fiume con il cane che avevo allora, Barone, poi il cinema la sera.
(Non è facile, quindi, la vita per chi vive con me.
Mia moglie Francesca (seconda moglie), quando siamo in ferie e mi fa da autista e vede che sbadiglio e che mi abbiocco, dice, E’ un piacere fare le ferie con te).
Ma è anche vero che non devo piangermi addosso.
Preferisco stare qui, anche oggi che ho ben poco da fare, che in mezzo alla pazza folla.
Però, però, sul Natale vedo giudizi.
Ora mi sta bene tutto, ed è giusto che ci sia gente che dica, del Natale.
Ma le lezioni dall’alto, grande festa, festa borghese, festa del cazzo, non mi piacciono.
Ognuno di noi ha i suoi ricordi, le sue percezioni.
Per me è una bella festa. Ricorda i momenti più belli della mia infanzia. Mi ricorda anche gli amori passati a presenti, il Natale, un po’ come la primavera.
Ma è anche un momento, dico per me, solo per me, sempre e solo per me, di tristezza: al tavolo, stasera, mancherà qualcuno.
E’ così dappertutto, certo, dappertutto si dice che la vita va avanti.
I bambini, per esempio, devono sorridere.
Ma amo e voglio anche ricordare, io, e mi sento affine a chi ricorda.
Buon natale a tutti, soprattutto a quelli che non sono riuscito a salutare.

gli auguri scomodi

Copio e incollo un post, di Stefania Mola, che apparve un anno fa su La Poesia e lo spirito.
Penso vada bene e andrà bene: anche tra uno e più anni.
Va bene per chi crede, va bene per chi non crede.
Buona lettura, buona vigilia.

Natale 1985

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.
Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.
Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce”, dovete partire dagli ultimi.

Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.
Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio.
E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.

Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
don Tonino Bello