Qualcuno scattò una foto, non me ne curai

Fotografie, pensieri in libertà.
Se dico fotografia ripenso alla kodak di mio padre e alle foto che scattava quando andavamo in ferie; ogni tanto – raramente – ne scattava qualcuna in casa.
E penso anche alle serate con i miei. La televisione la guardavamo al bar, tre volte alla settimana: giovedì, sabato, domenica. Le altre sere trascorse in casa le passavamo o a giocare a shangai, o a rubamazzetto oppure a sfogliare gli album con le foto scattate dal babbo…
Se penso alle foto non posso che ricordare mio fratello Fabrizio, che morì nel 1963. Lui aveva 10 mesi, io 6 anni. L’unica foto (ce l’ho davanti a me, appesa) gli fu scattatta da morto, con un vestitino bianco…
Non mi piace farmi fotografare, forse perché non so sorridere.

E comunque, ci sono due fotografie che vorrei avere, o su carta o digitali, ma che non avrò mai.
La prima. Mercoledì 26 giugno 1991, la mia laurea (a Lettere, Torino, in storia del Risorgimento con il professor Nada, presi 110). Quel giorno c’erano con me mia figlia (nata dal primo matrimonio) e mia sorella Silvia.
Pensavo di essere elegante, io. Un paio di pantaloni grigio perla, stiratissimi, una camicia con le righe azzurre, sottili sottili. Appena mi vide il professor Narciso Nada mi disse: «Ma anche oggi si è vestito da sessantottino?» (boh).
Dopo anni di studio e lavoro (fabbrica, portiere di notte, collaboratore de La Sesia) quella lauerea, sudata, rappresentava e rappresenta ancora tanto per me.
Ai fotografi (che in queste occasioni scattano le foto e poi ti chiedono se vuoi il servizio) dissi che no, non mi interessava nemmeno una foto ricordo.
E poi c’è un’altra foto che mi piacerebbe avere. Bologna, libreria Irnerio, sabato 26 febbraio 2011.
Luigi Bernardi (la persona a cui debbo di più in campo editoriale) presentò me e il mio Bastardo posto.
MI sarebbe piaciuto avere una foto con Luigi.
Qualcuno ne scattò, non me ne curai.

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