Sto rivedendo, correggendo e rileggendo più volte Il sentiero dei papaveri (stamattina pensavo che un titolo appropriato sarebbe Anime perdute). Magari in un paio di settimane finisco e spedisco a qualche casa editrice (ma poi continuerò a correggere; sempre fatto così).
Insomma è ancora una bozza il libro (il più strano che io abbia scritto) ed è una bozza la sinossi che ho messo giù, insieme a due righe di biografia e a un estratto, scelto per far capire. Nessuna trama.
Ecco la bozza della sinossi.
Il sentiero dei papaveri, romanzo (195mila battute)
Remo Bassini, giornalista e scrittore, Cortona Arezzo, classe 1956. Residente a Vercelli. Una dozzina di libri pubblicati (Mursia, Fernadel, Newton Compton, Perdisa, Fanucci, Golem). Un paio di riconoscimenti: libro del mese Fahrenheit nel luglio 2006 e finalista del “Libro dell’anno 2006” con “Lo scommettitore”, Fernandel. Primo posto (ex aequo) nel 2021 al Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica con “Forse non morirò di giovedì”, Golem editore.
Il romanzo.
Nella periferia più grigia di una città senza nome c’è un Bar con vecchi travi di legno, un camino, tavoli che ricordano le vecchie osterie. È il bar del Capitano. Il padrone si fa chiamare così, nessuno sa il suo nome. I suoi panini con la frittata sono i più buoni della città.
Un giorno entra un uomo giovane. È il protagonista del romanzo. Si porta dentro un brutto ricordo mai raccontato, vive col padre, tempo addietro ha scritto un libro che è stato un fiasco, il Capitano, appena lo vede, gli dice: «Ti stavo aspettando».
E poi: «Sei uno scrittore.»
L’uomo vorrebbe fuggire, e invece cade come in trance e racconta la sua storia segreta al Capitano che, dopo averlo ascoltato, gli dirà: «Vedi, questo posto è diverso dagli altri. Certe sere, quando chiudo, ha un’altra vita. Io e altre persone (ma se verrai non fare domande, ascoltale e basta), io e altre persone, ti dicevo, quando si fa tardi e gli altri dormono, tra un bicchiere di vino o un sorso di tè ci raccontiamo storie che possono essere nostre oppure sono state raccolte come si raccolgono certi fiori di campo che nessuno vuole. Le pareti di questo bar sono fatte di storie belle e dolorose, come quella che mi hai raccontato tu…»
Nel romanzo non compaiono le parole che stanno caratterizzando la rivoluzione digitale. I personaggi non le citano. Sembra ambientato negli anni 60 ma invece ci racconta i giorni nostri visti con gli occhi di chi cerca di vivere senza i nuovi feticci.
Ci sono invece alcuni oggetti-simbolo di un mondo che sta scomparendo. Una vecchia sveglia, una radiolina transistor, una macchina da scrivere, penne stilografiche e…. libri di carta.
(Un solo cenno all’epoca Covid, parola che non compare mai: Un medico che durante la grande epidemia andava a visitare i pazienti a casa loro.)
Ha qualcosa di magico il Bar del Capitano? Così parrebbe…
Breve estratto.
«Zia, la parola rete per me ha un significato preciso: trappola. E il navigatore è colui che naviga, non l’aggeggio che sta impedendo alla gente di usare la piccola bussola che avevano nel cervello.»
«Io non l’ho mai avuta, senso dell’orientamento zero. Ascoltami. Tu stai cercando di vivere in un mondo tutto tuo, non ti capisco. Perché non lo accetti continuando a coltivare le tue passioni? Io per esempio non perdo mai uno spettacolo teatrale e appena posso vado a camminare da sola, al fiume. Fai attenzione: se non ti adegui vivrai da emarginato.»
««Chi pensa fa paura, e chi non si adegua viene deriso.»
«Appunto.»
«Ti racconto una storia, piccola piccola…
Quando facevo il portiere di notte ho conosciuto un uomo che non riusciva a dormire. Era elegante, distinto, un uomo d’affari. Mi raggiungeva, mi chiedeva se mi disturbava la sua presenza. Io in genere leggevo. Non parlava mai. Fumava, beveva la sua birra, guardava il vuoto. L’ultima notte della sua permanenza, prima di salutarmi mi raccontò che lui, tempo addietro, aveva provato la nausea del suo mondo ed era fuggito, ed aveva vissuto tra gli emarginati sotto ponti e griglie. Mi disse che la notte non riusciva a dormire per il freddo, e che aveva una coperta brutta e sporca ma soprattutto corta. “Se mi coprivo vicino alla gola restavano scoperti i piedi e viceversa. Eppure ci sono giorni che la rimpiango quella coperta.”»
«Tu però resta.»
Ha una voce bellissima la sorella piccola di mamma.