Infilare pantofole di pezza agli scrivani

Questo breve estratto di Madame Bovary di Flaubert piaceva molto a Yates e Flannery O’ Connor

(Emma) Batteva sui tasti con disinvoltura percorrendo senza posa la tastiera, da un’estremità all’altra. Di seguito così scosso, il vecchio strumento, con le corde che vibravano, si faceva sentire fino in fondo al paese quando la finestra era aperta, e spesso lo scrivano del balivo, passando per la via principale a capo scoperto in pantofole di pezza, si fermava in ascolto, il foglio di carta fra le mani.

La O’Connor (nel libro Nel territorio del diavolo, sul mistero di scrivere) scrive questo:

Flaubert doveva creare un paese credibile dove collocare Emma. Non va dimenticato che cura immediata dello scrittore di narrativa non sono tanto idee grandiose ed emozioni tumultuose, quando infilare pantofole di pezza gli scrivani.

Ne ho parlato al corso di scrittura che sto tenendo, a Santhià.
Nella lezione introduttiva ho detto: Vi dico quello che ho imparato in vent’anni, son cose che mi avrebbero aiutato che avrei voluto sapere quando ho iniziato a scrivere…

La ragazza che piangeva

Lo spunto.
Seduto a un tavolino di un bar di Alessandria, vide un giornale locale. Lui non era di Alessandria, lo prese forse per abitudine, per passare il tempo.
Cominciò a sfogliarlo.
L’occhio cadde su un trafiletto. Una prostituta, tornando a casa, era scivolata sul fiume, ed era morta annegata.
Una prostituta che muore così non è una gran notizia: basta un trafiletto.
che scivolò sul fiume a primavera
e il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra una stella…

La canzone di Marinella. De André raccontò come nacque l’idea. Uno spunto. In un bar di Alessandria (non citò mai il giornale, né il fiume: forse non li ricordava.)
Lui scriveva canzoni, lesse quel trafiletto con gli occhi di un cantautore.
Gli occhi dello scrittore devono fare lo stesso: guardare la vita, le persone, con occhi da scrittore. Per poi elaborare, scrivendo e riscrivendo.
E come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno
come le rose.

Si vede, si pensa a ciò che si è visto e poi, quello che si è visto, possiamo farlo accomodare in un angolo della memoria per anni.
Il mio giallo La donna di picche è la storia di un grande dolore. Ed è ambientato a Vercelli (addirittura in alcuni vie accanto a dove vivo).
Anni prima, mi era successo questo.
Sono a Firenze, ho cenato, devo tornare a casa. Per raggiungere l’auto passo sul Lungarno. E’ una sera di primavera, ormai è buio, ma il cielo è illuminato da luna e stelle, e poi c’è tanta gente che cammina e chiacchiera, e poi c’è la magia di Firenze e dell’Arno…
Ma ecco che incrocio una ragazza. Piange, incurante del cielo e dei passanti. Un pianto disperato, da piangere da soli, in una stanza. Oppure no: talmente disperato che degli altri non t’importa niente.
La vidi pochi secondi. Camminava veloce, piangendo. Disperata.
L’ho incontrata anni dopo, una mattina: era nella mia testa, eravamo a Vercelli. C’era nessuno in giro. C’ero io, c’era il mio cane, c’era il ricordo di lei.

Sono la donna di picche, quella che non dimentichi.

Ma gli spunti, da soli, non bastano. Flannery O’ Connor diceva che i migliori scrittori dipingono. Voleva dire che i migliori scrittori riescono, con la parola scritta, a colorare la pagina con immagini potenti e precise. L’attenzione per il particolare è di estrema importanza, poi, quando si scrive: solo chi ha osservato a fondo, con attenzione, riuscirà a spiegare e a spiegare bene.
Quando a vent’anni lavoravo in fabbrica volevo fare lo scrittore ma non avevo gli “occhi giusti”.
Se li ho, adesso, è cosa su cui mi interrogo.