Mi sono svegiato, stamattina, con una canzone di Gino Paoli in testa: “Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai”, insomma Una lunga storia d’amore.
Ho amato per anni solo De Andrè, pur apprezzando altri cantautori: da Piero Ciampi a De Gregori eccetera.
Paoli… sapevo che esisteva.
Da piccolo, quando mia madre mi portava al bar per vedere il festival di Sanremo (non volevo: ero costretto), l’avevo visto e ascoltato cantare “Ieri ho incontrato mia madre, ed era in pena poerché…”. Lo trovai tristissimo.
Il 23 settembre del 2004, per il mio compleanno numero 48 decido di regalarmi un giorno tra Genova e a Boccadasse. Per puro caso mi imbatto in un concerto di Paoli (anche lui nato il 23 settembre) organizzato per il suo settantesimo compleanno.
Mi stupisce due volte: fuori dal palco, perché si muove come un grillo, e sul palco: la sua voce è potente e melodica, rende di più da vivo che ascoltata alla radio o su disco.
Da alloro divento un suo fan (alcuni anni fa è stato ospite del mio paese, Cortona, io non c’ero ma mi hanno parlato di lui, con la Marlboro sempre a portata di mano e magari anche il whisky che preferiva al vino).
Torno al concerto del 2004: fu proiettato un filmato con don Gallo che diceva “è Paoli il vero cantante di Genova”. Genova ce l’ho nel cuore (non come Orta ma quasi) come ho nel cuore Boccadasse, che ho frequentato per anni la domenica sera: è per questo che c’è un po’ di Liguria e di Genova nei due romanzi che ho scritto con Anna Antichi protagonista (La donna che parlava con i morti e Vegan, le città di dio).
Una vita, quella di Paoli, con tanti successi, alternata da momenti così così, come quando per campare suonava il pianforte e cantava nei locali, una vita spericolata anche: come quando, già sposato, si legò alla Sandrelli, allora minorenne, o quando si sparò un colpo al cuore tentando il suicidio.
“Sono anarchico da sempre. Il gene dell’anarchia l’ho ereditato da mio nonno, analfabeta, che conosceva a memoria gli scritti di Carlo Cafiero, le canzoni di Pietro Gori, l’autore di Addio a Lugano, e anche la Divina Commedia”.
Paoli: una vita davvero spericolata, la sua.
(Se farà un concerto per i suoi novant’anni giuro che ci andrò. Ho visto pochi concerti in vita mia, tutti per caso…)
Infine. Ho un amico che non vedo da anni, si chiama Pier Michelatti, è stato il bassista di De André. Mi piace ascoltare i suoi racconti e gli aneddoti su De André sul palco e fuori. Ma se dovessi scrivere un romanzo su un cantautore italiano non avrei dubbi, anzi no, un dubbio l’avrei: Gino Paoli o Piero Ciampi? Ma poi sceglierei Paoli, una delle colonne sonore dal 2004 a oggi.
Mese: febbraio 2023
Nora, Orta e l’isola di sempre: insomma “La suora”
Parlo con l’acqua e, di notte, anche con Nora, ho la fissa delle caviglie delle donne, la gelatina mi fa vomitare e non ho mai usato un preservativo perché mi ricorda la gelatina, ho scelto di farmi adottare da una Valle che con le mie radici non ha niente ma proprio niente da spartire, e mi è rimasta la paura delle lucertole perché quando ero piccolo avevo una cazzo di zia che mi diceva che dovevo stare bravo altrimenti sarebbero arrivate le lucertole volanti, e a me questa cosa delle lucertole che volano mi è rimasta impressa per anni e ancora adesso che di anni ne ho un bel po’ non se n’è andata del tutto, accidenti a quella zia, che poi era giovane, mica una vecchia acida. Insomma, di stranezze ne ho un vagone. La più grande, la più inspiegabile è lei. Nora.
Cara Nora, eccomi qui, a Orta. Ho affittato un appartamentino con vista su piazza Motta e, quindi, anche sul lago e sull’isola. Appena mi sveglio, preparo il caffè poi, con la tazzina in mano, vado alla finestra e ti saluto. La grande paura è passata, la grande paura è rimasta. Mascherine, poca gente nei ristoranti appena riaperti dopo il lockdown. Giorni di paura e di ubriacatura, anche. Il Covid-19 è tante cose, sapremo mai la verità?
Ma adesso sto guardando la tua isola, cara Nora. L’isola di sempre.
Nora e Orta, insomma
“La
suora”

Foto Viviana Martoccia
Orari di scrittura: ognuno cerchi i suoi
Non ho scritto mai romanzi troppo corposi: dalle 200 alle 300mila battute. E non so se questo che sto scrivendo sarà, alla fine, più o meno corposo degli altri.
Ieri sera ero arrivato a 38mila battute, bene mi sono detto alle 3 e mezza di notte mentre mi addormentavo (dormo sempre pochissimo quando scrivo, massimo quattro ore).
Poi stamattina ho riletto e le 38mila battute sono diventate 35mila, poi 36…
Meglio così: ho imparato a tagliare, interi paragrafi, oppure singole frasi.
Il titolo del libro (non credo che cambierò) è La strada dei papaveri.
Il protagonista è uno scrittore che, ogni tanto, dice a se stesso quel che dicono tanti aspiranti scrittori o scrittori: La scrittura è il mio grande amore non corrisposto.
A proposito di orari di scrittura.
Io, scrivendo, ho imparato due cose due.
Nella prima fase, quella di scrittura, quella del manoscritto che poi sarà da rivedere, scrivo a quelli che sono i miei soliti orari, e cioè dall’una di notte in poi. Ho cercato di cambiare, ma niente.
Anni fa sono in ferie nel Salento, sto scrivendo un libro (non ricordo quale).
Al mattino mi alzo presto, quindi la sera sono piuttosto stanco.
Così mi dico: invece di resistere anche grazie a caffè e sigari (oggi pipa) prova a dormire da mezzanotte alle cinque. Ti svegli, ti prepari un caffè doppio, scrivi fino alle 8, anche le 9.
Mi svegliai, bevvi il caffè doppio, non riuscii a scrivere un rigo. Meglio la sera stanco, oramai è così.
Ma poi c’è la fase – delicata – della riscrittura. Quando si riscrive (parlo per me, ovvio) occorre essere riposati, attenti. Per la riscrittura vanno bene tutte le ore del giorno in cui sono riposato. E mi sta bene farlo anche in un ambiente rumoroso, mentre per la prima stesura no: o c’è silenzio, oppure le idee non arrivano.
Insomma, questi sono i miei orari di scrittura: ognuno cerchi i suoi, non ci sono regole.
Questo bar è fatto di storie
«Dovresti venire più tardi, magari non stasera, sei troppo stanco oggi. Vedi, questo bar è diverso dagli altri. A mezzanotte, quando chiudo, ha un’altra vita questo bar di periferia. Io e altre persone (non importa che ti dicano chi sono e cosa fanno, non domandare niente, tu ascoltale e basta), io e altre persone, ti dicevo, di notte, tra un bicchiere di vino o un sorso di caffè, ci raccontiamo storie che possono essere nostre oppure le abbiamo raccolte come si raccolgo certi fiori di campo che nessuno vuole. La pareti di questo bar sono fatte di storie belle e dolorose, come quella che mi hai raccontato tu. Pensa: la vigilia dello scorso Natale l’abbiamo passata così, fino all’alba.»
Breve estratto del libro che sto scrivendo
Caro bollette, libri e tempi bui
Rimediare al caro-bollette (pago il doppio, rispetto a un anno fa).
Prima cosa: ho cambiato gestore.
Anche assicurazione dell’auto, probabilmente, visto che la uso poco e niente, potrei passare a una che costa la metà.
Poi. Disdettato Dazn e ridotto al minimo sky (12 al mese).
Ci son cose a cui non riesco e non voglio rinunciare: le colazioni al bar con mio figlio quando non va a scuola (ama i cannoli alla ricotta), il tabacco per la pipa (35 a settimana), un paio di caffè al giorno anche tre (prezzi variabili: 1,20, 1,10 e quelli che ancora mantengono il prezzo a 1; in genere vado dove capita, ma fa bene chi ci guarda anche al caro-caffè), la pizza una volta a settimana, integratori vari (uno soprattutto, costoso, ma efficace: niente più cortisone e ibuprofene, che assumevo dopo la seconda dose), i viaggi a Cortona con cena in trattoria (tre, quattro volte l’anno), le ferie al mare (Puglia o Maremma), la spesa per il cibo, che deve essere di qualità, possibilmente bio.
Per vestire non ho mai speso troppo, eccezion fatta per biancheria intima e camicie. Da una vita vado in giro con pantaloni, per lo più di velluto e giubbe stazzonati.
A certe cose di qualità non si deve mai rinunciare. Quando ero piccolo, e lavorava solo mio padre, mi prendevano sempre scarpe belle e costose. Il piede deve stare bene, e poi quelle che costano meno devi cambiarle più spesso, mi dicevano i miei vecchi allora giovani.
La prima volta che conobbi Luisito Bianchi mi mostrò con orgoglio le sue scarpe. Sembravano nuove. Mi disse: «Me le ha regalate padre Escarré trent’anni fa. Le passo tutti i giorni con lo straccio, ogni tanto le porto dal calzolaio. Purtroppo stiamo perdendo tante buone abitudini, come la manualità».
Lui viveva con 600 euro al mese. I proventi dei suoi libri li inviava alle missioni.
Luisito Bianchi, lo scrittore e anche prete (che non volle mai lo stipendio da prete), autore di tanti bei libri: La messa dell’uomo disarmato è, credo, il più bello.
Ci sarebbero poi i libri, mi piace andare in libreria, ma era un’uscita che superava il tabacco. Ci sono due opzioni-risparmio: leggere quelli comperati e non ancora letti oppure prenderne al mercatino dell’usato (qui a Vercelli una volta al mese). Su Amazon, preferisco di no, in prestito non mi garba: da quando ero ragazzo me i libri li porto sempre appresso.
(Poi ci sono i libri che recensisco sul blog che ho su Il fatto: in genere li ricevo omaggio, oppure in pdf. Ma volte li ho anche comperati…).
Due libri, comunque, da inizio anno li ho acquistati. Mi piace andare in libreria, cercare libri di autori di cui nessuna parla, sfogliarli. Fino a poco tempo fa uscivo sempre con qualcosa. L’anno scorso ai primi di gennaio ne avevo acquistati sei-sette da un mio amico libraio…
E comunque, non mi sento in colpa: perché di libri ne ho sempre comperati e tanti, e tanti ne ho regalati.
Poi. Ho insegnato a mio figlio a non lasciare luci accese inutilmente. Insomma, non ci fosse il caro bollette riuscirei anche, facendo così, a mettere qualcosa da parte. Il mio vecchio, 95 anni, 1000 al mese di pensione, dice che lui da parte mette sempre qualcosa, che non si sa mai cosa può capitare.
C’era anche uno scrittore di testi teatrali, Osborne (magari qualcuno avrà visto o letto “Ricorda con rabbia”) che una volta diventato ricco e famoso mantenne l’abitudine di conservare qualche monetina per i tempi bui. Che son sempre dietro l’angolo, dice il mio vecchio, ma io me ne dimentico spesso.
Mia madre mi diceva sempre: «Bisogna sempre guardare chi sta peggio di noi»:
Aveva dieci dodici frasi che usava ripetermi e che io non sopportavo.
Però è un dato da fatto: chi sta paggio di me c’è, e sono tanti; vedo sempre gente che staziona davanti alla sede della Caritas, davanti a casa mia. Non solo nomadi, e venuti da chissà dove. Anche gente che fino a qualche anno fa se la cavava. Mesi fa (tempi di lockdown) ho visto una persona che conosco chiedere l’elemosina. Ho guardato altrove.
C’è tanta gente che vive con poco, ma poco poco.
Non posso lamentarmi io. La mia pipa Dunhill sta tirando gli ultimi. Un’altra nuova costerebbe troppo, sui 600. Ho optato per una Paronelli da 150, non sarà una Dunhill ma in tempi di caro bollette è comunque una pipa che il suo dovere lo fa.
Di scritture, gatti, vendite, corsi eccetera
Non è ancora luna di notte, ancora due ore, quindi, prima di andare a dormire (prima dovrò dare i croccantini al gatto: alle tre miagola, sa che andrò a dormire e quindi devo provvedere a lui. E’ rosso, si chiama Ares. Il gatto precedente, Miomiou aveva un’altra abitudine: alle 3 dovevo farlo uscire in strada, per le sue ore di libertà. Rientrava sempore, affamatissimo, verso le 6 le 7).
Oggi ho scritto, ma non sono andato avanti con il romanzo. Mi è venuto in mente un racconto e così, per un’ora e mezzo, ho scritto 4mila battute.
Poi ho lavorato (intervista a un calciatore della Pro Vercelli, Gianmario Comi, e qualcuno volesse leggerla è QUI) poi ho preparato una scaletta per le cose da dire alla presentazione del mio corso di scrittura giovedì, alla Biblioteca di Santhià. Leggi qui.
(Ho anche ritrovato una vecchia intervista del 2014, in cui presentavo un mio corso all’Università popolare di Vercelli. Non ricordavo cosa dissi. LEGGI QUI).
E poi mi sono concesso mezzora di cazzeggio su amazon dove ho visto le vendite dei miei libri.
Segnali positivi da La suora (Golem, dicembre 2021).
72,389 e-book
18,882 book (ieri a 48,378)
Segnali positivi anche da La la donna di picche (Fanucci, maggio 2019)
e-book 201,072
book 19,044 (anche qui, meglio di ieri: 49,016)
E da La donna che parlava con i morti (Il vento antico, 2019, versione riveduta e corretta del libro Newton Compton 2008).
e-book 238,091
book 63,926
Non si sono mosse invece le vendite (questo da tempo; di Forse non morirò di giovedì (Golem, febbraio 2021) l’unico mio libro che mi ha visto arrivare primo a un premio letterario (Cattolica)
e-book 222,598
book 443,138
E non ci sono segnali positivi per Il bar delle voci rubate (I buoni cugini, novembre 2019) che uscì poco prima del lockdown: In tempo per una sola presentazione. Anche questo libro è una versione riveduta e corretta de Il bar delle voci rubate, il primo libro pubblicato nel lontanissimo 2002 (edizioni giornale La Sesia)
Solo la versione cartacea: 776,983
Il fatto che si sia mossa qualche vendita per La suora ha una spiegazione: la recente recensione su Art a part of cult(ure) di Isabella Moroni (LEGGI QUI) e gli articoli sui giornali online e cartacei che, in questi giorni parlano del corso che farò a Santhià. Non mi spiego la piccola impennata per La donna di picche, un libro che non è andato bene come speravo, ma è comunque un’impennata che mi fa piacere. Le piccole resurrezioni dei libri dimenticati….
Per qualche copia in più…
Vendite su Amazon, in questi giorni si è mosso qualcosa, qualche copia venduta insomma, per “La suora” (Golem) ma anche, sorprendetemente, per “La donna di picche” (Fanucci).
Qualche copia in più, insomma, e va bene così, dal momento che “La suora” è uscita a dicembre 2021 e “La donna di picche” nel maggio 2019.
Una sorta di lotta per non sparire.
(Tu impieghi da 6 mesi a 2 anni per scrivere un libro e quello dopo 2 mesi è bell è che morto, o quasi).
Giovedì a Santhià (in biblioteca) presento, in tre quarti d’ora, “La suora” e dico due parole sul corso di scrittura che farò, ogni giovedì alle 17,30.
Dirò questo, dirò, all’inizio: Vi insegnerò “cose” che se avessi saputo quando ho iniziato a scrivere mi avrebbero aiutato a scrivere meglio ma non so dire se con meno tempo, perché la fase di riscrittura richiede tempi lunghi. E altro.
Il libro che sto scrivendo è ancora fermo: ieri, anche a causa di un fastidioso raffreddore, nemmeno un rigo. Ma ci pensoi in continuazione, soprattutto prima di addormentarmi. Così finisce che – mai successo prima – adesso sto facendo conoscenza anche con un po’ d’insonnia, che èper uno che dorme quattro ore (dalle 3 alle 7) da lunedì a venerdì e cinque ore (dalle 5 alle 10) il sabato e la domenica (a meno che non debba accompagnare mio figlio alle sue partite di basket) è un po’ un casino.

La suora (ieri era alla posizione 18,346)

La donna di picche (non so a quanto fosse ieri, so che il 23 gennaio 2022 era alla posizione 328,956.
Il bar senza nome oppure L’elemento magico?
Ho sempre scritto improvvisando.
Le migliori idee vengono scrivendo, diceva Tondelli.
In genere, la maggior parte dei miei libri hanno una prima versione, che è incompleta, scritta di fretta. Poi una seconda, una terza: il libro diventa libro.
Poi bado alla forma solo quando arriva l’editing.
A volte ho scritto – ed è stato bello, credetemi – mettendo su carta quello che la mia mente vedeva senza sapere che seguito che dinamica che strada avrebbero percorso i personagge le cose intraviste, avvolta nella nebbia. Strade buie che poi si illuminavano.
Il libro che sto scrivendo è cosa diversa.
Ho iniziato più volte, con una indecisione: scrivo dei racconti oppure un libro che contiene sei sette otto storie?
Ho provato entrambe le strade, e sono arrivato a una conclusione: una storia non è un racconto, una storia è una storia.
Così è successo che, per la prima volta, ho fatto una scaletta. Con gli avvenimenti e anche con le storie – alcune difficili da credere, alcune vere, alcune no – che arrivano in un bar di periferia, frequentato da ragazzi figli della povertà ma anche da persone che vivono poerseguitate dai loro fantasmi.
Una scrittura più lenta rispetto ai libri precedenti, vedremo.
Titoli provvisori, per ora.
Il bar senza nome.
Oppure L’elemento magico.
Nessuno dei due mi convince, ma tant’è: dovessi scrivere come un forsennato per due giorni e chiudere in due giorni sceglierei uno dei due titoli.
Per adesso lavoro su due cose: il primo capitolo e la scaletta, ancora non definita. Magari lascerò delle finestre parte, dove improvvisare.
Le migliori idee vengono scrivendo? Sto cambiando registro: le migliori idee vengono pensando, magari mentre cammino la sera, a spasso con il cane…
Sei stata tu, vero mamma?
Nevicava a Vercelli, il primo febbraio 2019. Ero in auto, avevo portato a scuola il piccolo.
Arrivò la telefonata,
Sulla mia pagina facebook scrissi:
Si è svegliata, ha visto la neve, si è addormentata. Riposa in pace mamma.
Feci lo screenshot, che finì in una delle tante cartelle della scrivania, sul mac.
Io dimentico le date, anche importanti.
Ricordavo che nevicasse, ma non rammentavo né la data né l’anno (l’anno un po’ sì: quello prima del Covid, ma ci avrei dovuto pensare).
Stanotte (sono quasi le tre), senza volerlo, apro la cartella e trovo lo screenshot.

Tu credevi in Dio, io sono agnostico. Ma se Dio esiste lo ringrazio. Hai vissuto una vita dura mamma, perdere tre figli (la prima, prima di me, nacque morta; poi ci furono Fabrizio e Moreno) ti sconquassa il cuore.
Se Dio esiste, dicevo, ti ha voluto premiare con una morte forse con una lacrima ma senza quella disperazione che tu, mamma, ben conoscevi.
Sei stata tu, vero mamma, a farmi ricordare?.
Ciao