Nora, Orta e l’isola di sempre: insomma “La suora”

Parlo con l’acqua e, di notte, anche con Nora, ho la fissa delle caviglie delle donne, la gelatina mi fa vomitare e non ho mai usato un preservativo perché mi ricorda la gelatina, ho scelto di farmi adottare da una Valle che con le mie radici non ha niente ma proprio niente da spartire, e mi è rimasta la paura delle lucertole perché quando ero piccolo avevo una cazzo di zia che mi diceva che dovevo stare bravo altrimenti sarebbero arrivate le lucertole volanti, e a me questa cosa delle lucertole che volano mi è rimasta impressa per anni e ancora adesso che di anni ne ho un bel po’ non se n’è andata del tutto, accidenti a quella zia, che poi era giovane, mica una vecchia acida. Insomma, di stranezze ne ho un vagone. La più grande, la più inspiegabile è lei. Nora.

Cara Nora, eccomi qui, a Orta. Ho affittato un appartamentino con vista su piazza Motta e, quindi, anche sul lago e sull’isola. Appena mi sveglio, preparo il caffè poi, con la tazzina in mano, vado alla finestra e ti saluto. La grande paura è passata, la grande paura è rimasta. Mascherine, poca gente nei ristoranti appena riaperti dopo il lockdown. Giorni di paura e di ubriacatura, anche. Il Covid-19 è tante cose, sapremo mai la verità?

Ma adesso sto guardando la tua isola, cara Nora. L’isola di sempre.

Nora e Orta, insomma
“La
suora”


Foto Viviana Martoccia