Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
Camus
Buon anno a chi passa di qui
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
Camus
Buon anno a chi passa di qui
Ho provato a ricordare…
Un Natale di quando ero ragazzo. Messa di mezzanotte alla Vigilia, i profumi delle cose che stava preparando manna per il pranzo, al risveglio. Di solito, il pomeriggio al cinema o all’oratorio a giocare a calciobalilla e ping pong. E i libri ((Salgari, Verne, Dumas), che mi regalavano i miei e una mia vicina di casa.
Poi un Natale di cui ricordo l’anno: era il 1983. Vado (malvolentieri) a un pranzo di parenti, ma ho con me un libro di Melania Klein. Lavoro in fabbrica, ma mi sono iscritto al primo anno di lettere. Quel libro lo porterò all’esame di psicologia (sarà un 30). Appena finito il pranzo, gli altri si mettono a chiacchierare, io vado in un’altra stanza e studio, contento di farlo.
Il Natale del 2009, infine. Un mese dopo sarebbe arrivato Federico e io stavo pensando di dargli (e così sarà) un secondo nome: Libero.
Tanti auguri e siate liberi.
PS Questi giorni, appena posso, lavoro sul libro che uscirà a febbraio, Il sentiero dei papaveri:
Insomma, questo sarà il Natale del sentiero dei papaveri.
E’ morta Susanna Parigi, cantautrice e compositrice.
Mi spiace.
Prima di andarsene sulla sua pagina facebook ha scritto: Se vi scrivo è perché sto camminando verso la casa del Padre. Volevo ringraziare tutte le persone che mi sono state vicino in questo anni di tribolazioni.
E’ stata… la colonna sonora di un mio libro, nel senso che ne La donna di picche il protagonista ascoltava sempre le sue canzoni.
Di lei nel 2017 avevo scritto in questo blog.
PS. Nei ringraziamenti de La donna di picche la citai… sbagliando il nome di battesimo. Scrissi Antonella anziché Susanna. Lei lesse, mi ringraziò, ma non mi fece notare quell’imperdonabile sbadataggine.
E infine. Alcuni estratti de La donna di picche dove compare Susanna Parigi.
Che Pietro mi telefonasse mi faceva piacere, ma fino a un certo punto: la suoneria del cellulare escludeva che potesse suonare il mio citofono, come avrei preferito. Sapevo dov’era: in auto, a guidare senza meta, ascoltando le sue canzoni. Abbassava l’audio, ma continuava ad ascoltarle mentre parlavamo. Ebbi la sensazione che volesse condividere con me Paolo Conte, Tenco, Paoli e poi una voce dolce, di donna, Susanna Parigi, che non conoscevo e che mi sarebbe diventata familiare.
———-
Invece di sentire la sua voce, prestai attenzione alle parole di una canzone. Come al solito, Pietro stava ascoltando musica.
Menti se proprio devi
ma falle credere che è tutto vero,
che è bello,
infinito, immenso e che durerà.
Dille che saprai fermare il tempo,
sarai la pace al suo tormento,
e ordinerai con le tue mani
e lei saprà eseguire
e sceglierai
per lei di non tradire
e di capire dai silenzi
quello che ti vuole dire.
«È stupenda questa canzone di Susanna Parigi» disse alzando in modo eccessivo il volume e poi avvicinandosi a pochi centimetri dalle mie labbra. Pensai che mi volesse baciare, invece portò le sue labbra alle mie orecchie e sussurrò: «Mi sento in colpa, so che ho perso la tua stima.»
Nessuna microspia, o cellulare spia o microfono unidirezionale avrebbe potuto intercettare quelle parole bisbigliate e coperte dalla stupenda voce della Parigi.
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Mi accorsi solo allora che avevamo come sottofondo la voce di Susanna Parigi. Evidentemente, aveva sostituito Luigi Tenco e Paolo Conte nella hit parade personale di Pietro. Alzai il volume, non al massimo ma quasi.
Sarò cibo per te
perché tu abbia
incontenibile fame di me.
Sarò profumo per te
per entrarti dentro
fino ai pensieri.
Sarò il bene supremo per te
per darti la soddisfazione
di corrompermi.
Sarò la decima porta per te
Il testo di quella canzone mi turbò. Guardai Pietro, stava ascoltando? Sembrava scritta da Lucilla.
piccolo soddisfazioni da piccolo paese, un po’ come vincere una gar di bocce o una partita di scopa. Copio e incollo
l’opera “La donna che parlava con i morti” abbinato alla venticinquesima edizione del festival internazionale Inventa un Film, è stata particolarmente apprezzata sia nelle varie fasi di selezione che dalle giurie e riceverà o un PREMIO o una MENZIONE SPECIALE nella sezione Bianco Avorio (narrativa lunga; libri e romanzi).
Mi sento figlio di un’Italia contadina che non voleva togliersi il cappello quando arrivava il padrone.
(da un’intervista che mi fece Marino Magliani, anni fa…)
Questa, di DeAndré, è una delle canzoni meno note. Quando avevo 13 anni mi colpì profondamente, l’imparai a memoria e la scrissi sull’atltante di geografia. La ricordo ancora
Parlavi alla luna giocavi coi fiori
Avevi l’età che non porta dolori
E il vento era un mago, la rugiada una dea
Nel bosco incantato di ogni tua idea
Nel bosco incantato di ogni tua idea
E venne l’inverno che uccide il colore
E un Babbo Natale che parlava d’amore
E d’oro e d’argento splendevano i doni
Ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
Ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
Coprì le tue spalle d’argento e di lana
Di perle e smeraldi intrecciò una collana
E mentre incantata lo stavi a guardare
Dai piedi ai capelli ti volle baciare
Dai piedi ai capelli ti volle baciare
E adesso che gli altri ti chiamano dea
Quell’incanto è svanito da ogni tua idea
Ma ancora alla luna vorresti narrare
La storia d’un fiore appassito a Natale
La storia d’un fiore appassito a Natale
Tempo fa mi son fatto un’intervista. L’ho riletta e ritoccata, appena appena.