
Il sentiero dei papaveri
Golem Edizioni

L’Incipit
Era Carnevale il giorno in cui conobbi il Capitano, ma io non lo sapevo, oppure l’avevo dimenticato. Dimentico tante parole e tante — soprattutto quelle che non sopporto — le caccio lontano dai miei pensieri. Appena sveglio, spalancando la finestra della mia camera, un cielo che prometteva primavera mi fece venir voglia di uscire, camminare in strada. Così mi vestii, e poi andai in cucina per il rito del caffè con papà che era appena rientrato dal suo giro mattutino; gli dissi che avrei mangiato un boccone fuori; e lui, come usava fare, mi rispose con due piccoli cenni di assenso, senza guardarmi. Viveva per me, senza farmelo pesare e io amavo lui e le nostre silenziose colazioni in cucina, al risveglio.
Ma nel mio amore per papà c’è un grande buco nero: fino all’età di dodici anni e quattro mesi ricordo poco di lui. Era un papà ombra, sempre zitto e in disparte.
Per dodici anni e quattro mesi ho vissuto in un mondo fantastico dove, al centro, splendeva mamma; accanto a lei la bella zia Adele e il suo bar, dove trascorrevo i miei pomeriggi spensierati. Di papà faccio fatica a trovare ricordi belli oppure piccoli. Ne è rimasto uno vago, di lui che mi porta in giro, sul seggiolino della sua bicicletta. Io – lo ripeto – avevo occhi solo per mamma: era bella, dolce, sempre allegra. Quando veniva a prendermi a scuola correvo ad abbracciarla e poi, guardando gli altri miei compagni, pensavo con orgoglio che la mamma più bella era la mia. Nessuna mamma aveva abiti bianchi così eleganti, nessuna mamma aveva riccioli biondi che, anche con la nebbia, sembrava splendessero. Mi piaceva tutto di lei: il suo profumo, i suoi oggetti nel cassetto del comodino e in bagno, i suoi abiti che andavo ad accarezzare e odorare quando non era in casa.
Papà c’era poco. Di giorno dava una mano a mamma in sartoria, di notte, per arrotondare, faceva il garzone di un fornaio pasticcere. «Sono sempre stato un gregario» diceva. Nei miei primi sette, otto anni di vita, ho il ricordo di me e mamma che pranziamo mentre lui riposa in un’altra stanza.
Poi qualcosa cominciò a cambiare. Grazie alla bravura di mamma, la sartoria divenne famosa. Cominciò ad arrivare sempre più gente, anche da lontano, per farsi confezionare abiti da lei; così papà lasciò il lavoro notturno per aiutarla. Prima lo vedevo al risveglio, quando ci preparava la colazione e poi andava a riposare, adesso era in casa anche a pranzo e a cena ma era come se non ci fosse; amava restare in disparte, guardando compiaciuto me e mamma che scherzavamo e ridevamo.
Un giorno papà sparì. Io e mamma ci svegliammo, ma la cucina era vuota, senza il profumo dei biscotti fragranti che aveva imparato a preparare quando aveva lavorato dal fornaio pasticcere. Mamma chiamò la sartoria: nulla. Telefonò a un po’ di gente, poi mise sottosopra i cassetti. Documenti, biancheria intima, fotografie, controllò anche nel mobiletto in cui papà teneva la sua collezione di dischi jazz: sembrava esserci tutto e tutto era in ordine. Per tre giorni non si seppe nulla di lui. Mamma provò a sentire i suoi parenti contadini, in collina, ma fu solo una telefonata interminabile e inutile. Io la guardavo, non l’avevo mai vista così rabbuiata, oppure guardavo il volto preoccupato di zia Adele, la sorella più giovane di mamma, guardai le foto di papà nel grande album fotografico. Mi spiaceva, ma non ero in ansia. Al centro del mio mondo c’erano mamma e zia Adele, che per me era una seconda mamma.
Arrivò il quarto giorno: quello che avrebbe segnato il confine tra una vita e un’altra, quello che non dimentichi. Avevo dodici anni, quattro mesi e dieci giorni.
Il perché di questo libro
Questo libro è ambientato ai tempi di facebook, parola che nel libro non compare. Eppure, tutto parte proprio da facebook.
È un sera di qualche anno fa. Sono su facebook, appunto, sto ascoltando alcuni psicanalisti. Sono collegati, ognuno dal proprio studio.
Il medico e psicanalista Emilio Mordini si mette a parlare dell’era digitale e dice: «Sono le dieci di sera e stiamo dialogando davanti al computer. È una follia comoda. Pensate: dopo un viaggio, potremmo essere attorno a un tavolo davanti a una bottiglia di vino… Stiamo perdendo il ritmo della vita e la vita è un po’ come la musica, che è fatta da suono, pausa, suono. Senza pausa non c’è musica. Anche il pensiero è fatto da suono, pausa e suo no. Noi stiamo distruggendo la pausa, non c’è più un tempo delle cose e se non c’è un tempo delle cose siamo tutti morti.».
Poi disse anche «Tutto questo sistema è costruito per portare a un continuo consumo. Ci stanno rubando il tempo. Cosa fare? Dobbiamo tenere aperto il ragionamento. Pensate ai Benedettini durante gli anni delle guerre gotiche: studiavano, insegnavano la bellezza…».
Non sono un benedettino, io, ma fin da ragazzo mi è sempre piaciuto andare in un bar, mettermi in disparte, ascoltare, leggere e, a volte, anche scrivere. L’idea del libro nasce da questo.
Su di me.
Due righe su wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Remo_Bassini
e questa autointervista
https://remobassini.com/2023/07/28/auto-intervista-che-credo-sincera/
In realtà anche i ringraziamenti spiegano questo libro, eccoli
Il primo ringraziamento va alla scrittrice Simona Matraxia. Ha rivisto con la lente d’ingrandimento, insomma da brava editor, il manoscritto prima che lo inviassi a Golem. Ho avuto a che fare con bravi editor (ne cito uno, su tutti: Luigi Bernardi) e posso dire che anche Simona lo è.
Ancora prima il manoscritto era stato visionato da un’altra edi-tor, che ringrazio, Marta Puggina, e ancora prima (quando era una brutta copia) da Maria Luigia Molla, lettrice attenta che mi ha dato un consiglio prezioso sulla struttura.
Questo libro è un percorso, fatto di incontri e suggestioni.
Ho avuto la fortuna di conoscere un grande uomo, che era anche un grande prete (seguiva l’insegnamento di Cristo, per dire messa non voleva lo stipendio del Vaticano) don Luisito Bianchi. Nato nel 1927, è morto nel 2012, ma i suoi libri si trovano ancora: La messa dell’uomo disarmato, e non sono solo io a dirlo, è un capolavoro.
È a don Luisito che mi sono ispirato per tratteggiare la figura del Piccolo Prete, che trovate in tanti capitoli.
Lo zingaro Mario, invece, è un mio omaggio alla poetessa Mariella Mehr di etnia jenisch. Sul sito online Sololibri c’è un titolo che sintetizza la sua vicenda: Mariella Mehr, la poetessa svizzera cui fu rubata l’infanzia.
Poi. In un paese della cintura del vercellese, Sangermano, nacque Augusto Franzoj, esploratore, mazziniano, grande figura di fine Ottocento. Nei suoi viaggi aveva conosciuto Rimbaud, Salgari stravedeva per lui. Morì a San Mauro Torinese nel 1911. Era uno scapigliato, un anarchico che viveva fuori dal tempo. Cito una sua frase che può aiutare a comprendere quanto fosse indecifrabile e indefinibile: “Non sono schiavo di nulla, io, nemmeno della libertà”. Augusto Franzoj mise fine alla sua vita con due revolverate, una per tempia. Il cadavere fu trovato dal figlio di cui, poi, non si seppe nulla. Solo in anni recenti si è scoperto che il ragazzo era figlio, sì, di Augusto Franzoj, ma non della donna con cui convivevano a San Mauro. Di lui, dopo il suicidio, si perse ogni traccia.
Ne Il Sentiero dei papaveri lo troviamo che cammina in Valsesia, tra la nebbia: è il mio omaggio ad Augusto Franzoj (di cui si sono occupati lo scrittore e giornalista Massimo Novelli e il salgarologo Felice Pozzo) e a suo figlio, Vincenzo Mario Augusto Franzoj, scomparso nel nulla.
Un altro ringraziamento va alla (brava) poetessa Maria Pina Ciancio per un consiglio prezioso.
Infine. In questo libro parlo dell’importanza del silenzio e della meditazione. Quel poco che so lo appresi parecchi anni fa seguendo un corso (preziosissimo) in un centro (la cascina di Sant’Apollinare, a Casalbeltrame, Novara) de “I ricostruttori”. Fu lì che imparai a cercare il mio sentiero dei papaveri.
Ultimo pensiero. Con questo, sono arrivato a sedici libri pubblicati, con case editrici anche importanti, come Fanucci. Dopo Forse non morirò di giovedì e La suora, per la prima volta pub- blico il terzo libro consecutivo con lo stesso marchio editoriale, quello di Golem. Spero sia di buon auspicio: per questo libro, per Golem edizioni e per Francesca Piazza, editrice, scrittrice ed anche attenta e preziosa editor dell’ultima revisione de Il sentiero dei papaveri.




