Ma dove porta “Il sentiero dei papaveri”?

Vendere 500 copie, fare qualche presentazione alla buona (quelle nei paesi, in genere sono quelle che lasciano qualcosa, in genere nei piccoli paesi c’è più partecipazione), magari arrivare terzo in qualche concorso, o quarto, oppure niente (quando ho vinto un primo premio ho detto: Il primo premio non si scorsa mai… anche perché per me sarà l’ultimo), vedere il libro recensito e magari stroncato (ci sta, ci sta), ricevere qualche mail da persone sconosciute che lo hanno letto… e magari pensare o iniziare a scrivere un altro libro, perché scrivere, in fondo, riempie le mie giornate e le mie notti (a meno che mio figlio non giochi a basket): da Il sentiero dei papaveri ecco cosa mi attendo.
Non è un libro da festival di sanremo. Preferisce la strada.
Tu suoni e ogni tanto qualcuno si ferma a sentire le tue parole.

Uno potrebbe dirmi, certo, parli così perché non sei arrivato. Le grandi case editrici, quelle grandi grandi, non ti hanno mai preso in considerazione.
Infatti. Credo che non mi abbiano né preso in considerazione né… letto.
Ma vi prego di credetemi: uno scrive, cioè io scrivo, perché insegue un sogno.
E nel mio sogno, quando ero ragazzo, vedevo un adulto con la barba (ora bianca) che scrive e poi scrive e poi scrive ancora, e poi magari, quando ha finito, non va a trastullarsi in qualche salotto letterario, ma entra dentro un bar…

Ecco il bar, un vecchio bar dove si gioca a carte e si beve vino o una tazza di tè e dove le persone si incontrano è il palcoscenico de Il sentiero dei papaveri.

Chiudo con due ringraziamenti.
Alla mia giovane editrice, Francesca Piazza. È determinata, lavora con passione. È stato un piacere lavorare con lei, conoscerla. Giancarlo Caselli le ha affidato il timone di Golem: Francesca sa che viaggerà tra mari tempestosi, e forse ha un po’ paura o forse no (del resto nel suo romanzo “Tricotillomania” ha scritto una frase che è da incorniciare… che avrei voluto scrivere io, insomma. Questa frase: Scommetto che non hai mai camminato sotto la pioggia, senza ombrello, guardando il cielo. Quando sei abituato al sole ti potrebbe sembrare brutto, ma fidati: non lo è…)

E grazie a Marta Puggina, editor (una delle prime persone che ha letto Il sentiero dei papaveri).. Ieri su Instagram ha scritto una recensione a La donna di picche (che potete leggere nel post precedente).
Per me è un regalo. Ho scritto un po’ di libri, forse troppi. E La donna di picche mi è rimasta (insieme ad altri due) nel cuore. Detto in soldoni: ha venduto poco, nonostante una bella copertina e un buon editore (Fanucci).
Quando un libro vende poco, claro que sì, qualcosa non va: magari il titolo, oppure la storia, l’autore. Va a sapere… ci penserà l’intelligenza artificiale a pubblicare libri perfetti, forse.

Recensione a “La donna di picche” di Marta Puggina (editor)

Recensione a La donna di picche di Marta Puggina (editor)

Foto tratta dal profilo instagram di Marta Puggina

A me piace andare in fondo alle cose. Se l’argomento mi prende, ci torno sopra con il pensiero anche quando in teoria non ci sto riflettendo. È successo anche con il commissario di Remo Bassini. La notte del santo mi aveva stuzzicato proprio per la credibilità del personaggio Dallavita e ho pensato che avrei dovuto leggerne di più per soddisfare ogni mia curiosità. La donna di picche lo ripropone all’apice della sua vita trasandata, in cui il fallimento nei rapporti è direttamente proporzionale al successo nel lavoro. Dallavita si muove con sicurezza nella nebbia di Vercelli, lo scenario dell’omicidio di Eleonora Paganica, vedova Malerba. È sembrato a tutti una feroce esecuzione tra i banchi di Sant’Eufemia, forse anche per la solennità del momento, poco prima della messa delle sette di mattina. La vittima, stimata avvocato, è rappresentante benvoluta di una famiglia di «cazzo d’intoccabili». E se un anno dopo Dallavita ha ricevuto l’incarico di svolgere un’inchiesta su questo mistero, senza movente né sospettati, c’è da credere che la sua abilità investigativa sia notevole. Però forse non ci si aspetta di ritrovarlo in veste di seduttore.
Dellavita ha amato tutte – la Ribelli, Carmen, e soprattutto Lucilla Malerba – ma la «donna di picche» è quella che lui non è mai riuscito ad avere realmente. Sulla sua identità Bassini riesce tenere il lettore all’impasse fino alla fine in modo interessante. Attraverso la prima persona il lettore riesce a entrare nella testa di chi narra e vede tutto dal suo punto di vista. Ora è la collega di Dallavita, l’ispettore Micaela Spini, ora è Lucilla Malerba, la giovane figlia della vittima. Entrambe perdutamente innamorate di lui, gelose l’una dell’altra, ognuna teme che la rivale sia la sua «donna di cuori», si sente spinta a fare di tutto per conquistare l’uomo Dallavita. Davvero è così affascinante «quella sua espressione di uomo buono e tormentato»? Mentre si cerca la risposta, la narrazione procede fluida e s’intreccia nella progressione delle indagini in un crescendo che appaga con il finale inaspettato.
Marta Puggina