Il primo uomo che disse che la donna è bella come un fiore fu un genio. Il secondo, un cretino.

Dal vecchio blog Appunti, 24 marzo 2006

Torino, Palazzo nuovo, credo fosse il 1985. Frequentavo Lettere. E io, che solitamente vado più d’accordo con le donne, in quel periodo ero attratto da tre docenti universitari, tutti maschi. Franco Borgogno, psicanalista che mi fece amare Melania Klein; Corrado Vivanti, curatore della Storia d’Italia Einaudi, le cui lezioni erano seguite da una ventina di persone suddivise in gruppi (tra gli altri ricordo Marco Travaglio). E Gian Renzo Morteo, docente di storia del teatro e uomo che, soprattutto a Torino ma non solo, ha lasciato un segno.
Dal momento che di notte lavoravo, quando seguivo le lezioni facevo faticare a seguire: riuscivo ad evitare che gli occhi si chiudessero ma la concentrazione era quella che era.
Morteo insisteva molto sul concetto di novità: cos’è la novità nel teatro?
Vengo al dunque.
A Morteo piaceva ripetere una citazione, questa:
Il primo uomo che disse che la donna è bella come un fiore fu un genio. Il secondo, un cretino.
So che era (la citazione) di un sociologo francese, ma non ricordo il nome.

una non risposta, forse

In un commento, Morgan mi ha scritto
Remo, rispetto all’intervista, mi pare sempre di capire, quando citi il tuo passato, che ci sia stata solitudine e rabbia, sbaglio?

Son tanti i miei passati, caro Morgan, Come i tuoi come quelli di altri.
Ci sono state solitudini, rabbie, ma anche feste e primavere. Gli anni più belli, forse, quando, operaio metalmeccanico, ripresi a studiare. Il treno, tutte le mattine verso Torino, studiando. Il treno, tutti i giorni a mezzogiorno e qualcosa, che mi riportava a Vercelli; studiavo, ascoltavo, a volte dormicchiavo, ché quattro ore di sonno a notte, a volte tre, erano poche davvero.
Non ti sto rispondendo, Morgan, lo so.
Mi viene in mente che, sere fa, presentando il mio ultimo libro mi han chiesto: ma non si corre il rischio di scoprirsi un po’ troppo tenendo un blog?
Ho risposto di sì, a volte, forse, si dice troppo.
Io, forse, a volte dico troppo: perché, per esempio, io mi piaccio di più quando sto zitto rispetto a quando parlo.
C’è però un’altra cosa che mi vien da dire, ora.
Scoprirsi, dire dei propri affetti e d’altro, magari no, a un certo punto ci si deve fermare. Così racconto, e volentieri, di amori lontani, ma mai, o quasi mai, di cose recenti.
Ma dire quel che penso l’ho fatta diventare, sempre più, una regola di vita, da qualche anno. A cominciare dal mio lavoro, con i miei giornalisti (e nei limiti del possibile e, a volte, anche superandoli, questi limiti anche con i lettori): non ho segreti per la mia redazione. Nel bene e nel male. Non mi è costato – anzi no, mi è costato – raccontare le… il termine giusto è minchiate che ho fatto in passato. Ché a farsi solo belli è facile facile.
Non ti ho risposto Morgan, sul mio passato. Ne son geloso, come dei libri che leggo: sono miei e solo miei, e guai a chi li tocca.
La rabbia, poi.
La rabbia, dicevo al telefono ieri a una persona che ogni tanto viene qui, è un dovere morale.
M’arrabbio spesso, se vedo un’ingiustizia; m’arrabbio ancor di più: se sbaglio o sono superficiale.
Ma c’è, credo, una compensazione: non m’arrabbio mai se qualcuno, quando guido, mi taglia la strada, o mi suon, o non mi dà la precedenza. Né m’arrabbio se al supermercato o in banca qualcuno mi passa davanti. O mi fanno pagare di più al ristorante. O se la pasta è scotta, e tante altre cose ancora.
Penso, sulla rabbia, d’aver fatto scelte precise, insomma.
Però se un anziano viene maltrattato in una casa di riposo o in un ospedale o dovunque mi torna in mente il bel verso di Ho Chi Mhin:
Urlino tutte le ingiustizie del modo.
buona domenica