di editoria, ancora

Ciao Remo, tu dici:”Un autore contemporaneo valido corre il rischio, oggi più di ieri, dopo la pubblicazione, di passare del tutto inosservato: perché resta poco in libreria, perché è…. in cattiva compagnia.
le cagate hanno sempre avuto successo, del resto”.
Verissimo. Mi è successo. E mi è successo pure che questo è stato uno dei motivi per cui l’editore mi ha scaricato malamente. Mai più un contatto, un tanti auguri alle feste comandate, un minimo di curiosità per qualche mio nuovo eventuale lavoro. Eppure mi sembrava di aver trovato, prima ancora che un editore, un amico. Silenzio. Uguale a quello degli editori a cui ho ricominciato a mandare i miei inediti. Credo che esista una nuova categoria tra gli scrittori, quella dei pubblicati bene (non a pagamento, con regolare contratto) che dopo il primo libro si ritrovano nella condizione di “aspiranti scrittori”. Ma l’unica cosa che mi dà gusto aspirare sono le mie Marlboro.
ha scritto Gianluca Pisapia (non fate come me che l’ho cercato su google non esiste; mi ha scritto, ha un altro nome), in coda al post Un certo “e” sui manoscritti.

Confermo.
E vado oltre. Poi, ci sono gli scrittori.
Mi ci metto anche io, faccio parte del meccanismo.
Chi vende ed ha successo non dice male dell’editoria, chi resta ai margini vomita.
Si va oltre: che c’entra Berlusconi con Mondadori?
Già: c’entra o non c’entra?
Comunque: ognuno si fa i fattacci propri.
A uno affermato che gli importa dei contratti capestro o della non lettura dei manoscritti. Lui c’è passato, ora tocca agli altri.
E vale lo stesso discorso per come vengono visti e definiti i lettori.
Se vendo (quindi mi apprezzano) non dirò che la gente compra solo schifezze figlie della tivù spazzatura; se non vendo, invece, dirò che stiamo toccando il fondo.
Perché dico questo.
Ho fatto una tesi su Achille Giovanni Cagna. Era bello e perdente, finché è rimasto ai margini dei salotti e dell’editoria. Poi, una volta ottenuti i riconoscimenti, niente più invettive (tant’è che ri-scrisse, smorzando).
Ecco, forse son sbagliati gli atteggiamenti opposti: chi santifica, chi inveisce.
Il problema di fondo è questo….
Elisa Bolchi, che è studiosa della Woolf e membro di Cabaret Bisanzio, proprio stamattina ha scritto:
Elisa traduce sognando un mondo nel quale i meriti vengano riconosciuti.

Le ho risposto: hai ragione.
Ho pensato a un mio amico scrittore che, giorni fa, mi ha telefonato e, sconsolato, mi ha detto: Smetto. Io (giudizio soggettivo) capisco il suo scoramento, perché lo ritengo bravo, più bravo di altri che son stati publicati.
Ma l’editoria ha le sue leggi, le ha sempre avute. Solo a volte ci sono editori folli che pubblicano autori che son validi ma che venderanno poco.
Anche ai tempi di Cagna e di Faldella (la casa editrice Interlinea di Novara ha pubblicato il carteggio tra i due), ai tempi, dicevo, di Cagna, Faldella, e quindi di un Salgari, un D’Annunzio, l’editoria mieteva vittime. Che ci son sempre state e sempre ci saranno.
Chi lamenta di non essere pubblicato pensi a Morselli, pubblicato post-morten, o a Primo Levi. Il primo vero editore di Se questo è un uomo (dopo il rifiuto Einaudi) fu un giornale sindacale del vercellese; e Levi aspetterà anni.
Torno ai vecchi scapigliati.
Faldella, autore più affermato di Cagna, lo rimproverava: di non frequentare i salotti letterari torinesi.
Niente di nuovo sotto il sole, mi sembra.
Magari allora si pubblicavano 2 libri al giorno e oggi 170. Magari oggi è peggio. Oggi, più di ieri, si bada molto al confezionamento del prodotto libro. Titolo. Copertina. (magari con occhi che guardano il possibile acquirente: sembra funzioni). Foto (patetiche) degli autori, magari scattate vent’anni prima (e venti chili prima).
Ma tanti meccanismi, mi pare, son rimasti quelli di sempre.
(E io, su Face, ad Elisa ho risposto: hai ragione, peccato che il merito, alla fin fine, sia solo una percezione).

Stamattina alla bancarella dei libri usati ho trovato due gialli di Renato Olivieri, di cui si legge poco e si dice poco. Si disse tanto di lui quando, saranno stati gli anni Settanta, il commissario Ambrosio, protagonista dei libri di Olivieri, divenne famoso grazie al cinema (anche se Ugo Tognazzi recitò più se stesso che il decadente Ambrosio).
Mi ha fatto piacere sentirmi dire dal venditore di libri che ero stato fortunato, perché, mi ha detto, i libri di Olivieri vanno a ruba.
C’è sempre il passaparola che, più dei critici, più della televisione, decreta il successo di un libro.
Il cacciatore di aquiloni, a prescindere dal valore del libro, divenne un caso editoriale solo grazie prima all’insistenza di una giovane editor, che fiutò il gran libro, e poi al passaparola.
Perché Il cacciatore cominciò a venedere tanto prima che la critica si accorgesse di questo libro.
E il passaparola, io dico, è una gran cosa.
Ho letto Saramago, ho letto Moccia. Chi ascolta, poi, decide: secondo il suo vissuto, la sua cultura, la sua non cultura.

(E a chi scrive dico che c’è solo una strada maestra da seguire: insistere. Senza perdere tepo nelle frequentazioni. Da quel che ho visto io posson servire, magari a comparire in un’antologia, magari a fari notare un po’, ma non son quelle che fanno).

Buona domenica.
Porto a spasso il cane e spero che la domanica calcisitica sia positiva per Fiorentina e Torino.

ronda fascista (in replica)

Io, e che ci vogliamo fare?, non amo gli assemblamenti: feste o cortei che siano. I cortei mi piacciono: ma senza di me. Comunque. E’ tempo di cortei, ora. Io dico finalmente. Che ne ho le cosiddette piene di ragazzi rincoglioniti da grandi fratelli, veline, vestiti griffati.
E poi. Mi sembra di ravvivare il clima ripescando questo vecchio post.
Io in un corteo. Qualcuno l’avrà già letto sul vecchio blog.
Ronda fascista.

Era il tempo delle mele, dei radicali che facevano comizi, dei militari del servizio di leva obbligatorio in libera uscita, delle ronde.
“Occhio la ronda” dissero alcuni militari che, quella sera d’estate di un bel po’ d’anni fa, erano in piazza a sentire un parlamentare radicale che aveva richiamato una alta percentuale di belle ragazze e, quindi, anche di militari.
“Occhio la rondaaaa”, troppo tardi. Uno di loro, mescolato ai manifestanti, non aveva sentito e fu prontamente preso in consegna dal terzetto: reo di non avere il basco in testa. Ché i militari, allora (oggi non so) il berretto dovevano averlo sempre in testa.

Il comizio stava prendendo una brutta piega.
E’ una provocazione fascista, urlò un radicale dal palco, e la piazza rispose con un boato di disapprovazione e uno slogan, poi: ronda fascista, ronda fascista, ronda fascista.
Aveva un che di musicale, quello slogan, pensateci, immaginatevelo: rondafasci(piccola pausa)sta.
Era un comizio radicale, sì, ma i presenti erano tutti di sinistra, anche estrema.
E nacque una manifestazione spontanea: tutti dietro ai tre della ronda (ronda fascista, ronda fascista) con l’obiettivo di liberare il militare beccato senza basco.
Ronda fascista ronda fascista dalla piazza alla caserma, dove il poveraccio fu messo, credo, agli arresti.
Ci asserragliammo davanti alla caserma, la presa della Bastiglia volevamo fare.
A presidiare l’ingresso, così da evitare la presa, furono mandati dei militari, ché prima c’era una guardia sola.
Baionetta in canna, urlò un ufficiale.
No, urlò un altro, aggiungendo, Via le baionette.
Ne intervenne un terzo: Baionetta in canna. E quelli sudati a togliere mettere, mettere togliere.

La folla, che pretendeva giustizia e la liberazione immediata del militare, rispose con uno slogan – creativo -: ronda fascista. Anche i militari mandati a difendere la caserma e il suo onore erano così definiti, dal libero arbitrio di quel movimento spontaneo di un centinaio di persone. Anche loro erano “ronda”.
“Fascista” naturalmente.
Ronda fascista ronda fascista con una sola variante: quando il parlamentare radicale si presentò per dire che aveva ricevuto rassicurazione dalle autorità militari che per il poveretto prelevato dalla ronda (fascista) non ci sarebbero stati provvedimenti disciplinari la folla si ribellò, e – attenzione che c’è la variante – urlò: radicali borghesi, radicali borghesi, radicali borghesi.
(Poco musicale: durò poco).

C’ero anch’io.
Davanti, ma non urlavo. Però c’ero.
Non urlavo perché ero dispiaciuto. Perché tra i militari che, baionetta in canna, facevano la guardia e avevano il compito di difendere la caserma c’era un amico mio. Un romanaccio, lontano parente di Venditti, mi aveva detto.
(Proprio quel giorno c’eravamo divertiti. Mi aveva raccontato di una lettera che un altro militare aveva scritto alla sua assicurazione, dopo un incidente. Iniziava così: Cara assicurazione, io sto bene e così spero di te).
Quando qualcuno gli gridava, magari sputacchiandogli in faccia, ronda fascista, lui mi guardava come a dirmi: chemminchia c’entro io, che son pure comunista?
Io con la testa gli rispondevo con un gesto come a dire, chemminchia ci posso fare io?
Comunque.
Dopo due ore ecco che dalla macchina della questura, lì a controllare, scendono quattro tipi che vanno a presidiare pure loro la caserma.
E io ero sempre in prima fila insieme agli anarchici e a un mio amico (che è adesso fa il medico, è un diesse, ha sposato una di forza italia, medico pure lei, e, a quel che mi dicono, son tutti e due un po’ stronzi).
Ronda fascista anche per i poliziotti della questura: ormai lo slogan era quello.
Tra i poliziotti, però, ce n’era uno che, ora ripensandoci, penso e dico che aveva parecchie cose in comune con schwarzenegger.
L’altezza, per esempio. E i muscoli. A un certo punto questo tipo comincia a menare cazzottoni e calci a vuoto, all’aria insomma. Minchia: una cosa che faceva paura. Altroché Bruce Lee.
Io e l’amico mio (ora medico, pare stronzo) però siam duri e puri e restiamo fermi.
L’altro amico mio, il militare messo di guardia, però mi fa: Girati.
Mi giro.
La folla è scomparsa.
Anarchici, radicali, marxisti leninisti, democristiani che non sapevano cosa fare: tutti, ma tutti tutti, al solo vedere schwarzenegger che menava calci e pugni al vento erano diventati centometristi. Ed erano spariti.
A schwarzenegger, che si stava dirigendo verso di noi con un’espressione punto carina, io e l’amico mio (ex amico, ora medico, pare stronzo) dicemmo: Adesso andiamo.
(Lo dicemmo con una certa educazione. E rispetto).
E in fretta, disse lui, annuendo.
Forse era anche il tempo del film Per grazia ricevuta, non ricordo bene bene.