e la gente lo sa che sai suonare

Quattro persone, una saletta tutta per loro, penombra e luce ben calibrate.
Cucina tipica piemontese, ma leggera.
Del buon vino, producazione locale senza additivi: dai vigneti circostanti.
Una serata, normale, piacevole.
Poi, dalla saletta attigua, la musica di un pianoforte, e poi, dopo qualche minuto, anche una voce: bella, roca.
La saletta attigua si riempie.
Le quattro persone, la proprietaria del locale, lui.
Sessantasei anni mal portati, piccolo e grasso, vestito tutto di rosso (con bretelle).
Ha suonato in giro per il mondo, quand’era giovane. Ha conosciuto Tenco, Nini Rosso, tanti altri. Ma parla poco: chiude gli occhi e si lascia trasportare: dalla tastiera del vecchio pianoforte.
Da Frank Sinatra a Solo me ne vo per la città, e Malafemmana, e Un’ora sola ti vorrei, e Farassino, Gaber, e Suona un’armonica mi sembra un organo che vibra per me e per te di Paoli, e Tenco, De Andrè: come un juke box.
Meglio di un juke box.
E ti senti bene, ad ascoltarlo, anche quando la musica fa male, nell’ascoltarla, ché ti riporta a un rimpianto, un dolore.

(E se la gente sa
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare).
Fino alle due, col dispiacere di doversi alzare, di salutare, ringraziare. E la voglia di tornare dentro, uscendo sulla strada.
Perché il pianoforte ha ripreso a suonare, nonostante avesse detto buonanotte.

un altro vecchio ronzino, dal vecchio blog.
perché il piatto piange e… il tempo ride: di me.
buona giornata

E poi: ringrazio Elena per questa recensione (su Dicono di Clelia).

E soprattutto: se andate a vedere qui troverete Piar Paolo Pasolini e don Lorenzo Milani; scusate se insisto, su don Milani soprattutto. Penso comunque che Pasolini e don Milani, a differenza di tanti intellettuali, avevano bene in mente che la scuola emargina gli ultimi. Ancora oggi?
Non ci sono più i figli dei contadini, poveri, oggi.
Oggi i figli dei più poveri non mettono da parte gli spiccioli per il pane o le sigarette. Nascono col cellulare in tasca, oggi, e non è colpa loro. Mi riferisco ai figli della periferia, quelli che di notte, se li incontri, ti fanno paura.

8 pensieri su “e la gente lo sa che sai suonare

  1. lanoisette, mi sono permesso di riportare il tuo commento sul mio blog. Spero non ti dispiaccia e chiedo scusa a Remo per l’incursione :-)

    Ciao, Dario.

  2. Ciao Remo, visto che il post su Pierpaolo e Lorenzo è mio (grazie, innanzitutto) ti dico una cosa: sì, la scuola emargina ancora, a volte perchè semplicemente non ce la si fa fisicamente
    ma
    se non ci fossero classi di 25/28 persone;
    se ci fossero gli insegnanti di sostegno e i mediatori culturali che ci servono;
    se ci fosse permesso di lavorare ancora in compresenza o apiccoli gruppi;
    se non ci sommergessero di burocrazia per ogni passo, ogni progetto che si propone;
    se le famiglie e la società ci aiutassero a far capire che la scuola è importante;
    se…
    ecco, forse ce la faremmo un po’ di più…

  3. Secondo me la scuola manca di quel “rapporto diretto” insegnante-allievo che aiuta al miglioramento. Attualmente è un pò caduta nel cerchio perverso del dare-avere tipico della legge economica del tempo, i ruoli di allievo e insegnante si sono distaccati moltissimo. Ovviamente è colpa degli insegnanti solo in pochissimi casi, perchè di validi ce ne sono. Diciamo che è un discorso sociale.

    Complimenti per il bel blog e per questo racconto che regala sensazioni e non solo musicali!

    C.P.

  4. molti anni fa, san lorenzo, cucina “quello che trovavi”, vino di maternità ignota. Ma il conto era in faccia al cliente, la proprietaria dall’acconciatura a silos ai compagni spesso si scordava di portarglielo. Poi c’era lui. Camicia rossa, brache tenute su con lo spago, sandali francescani senza calze pure l’inverno. E la tromba con l’ottone spelacchiato. Veniva ogni sera, suonava malissimo tutto, tranne l’Internazionale e Addio Lugano bella. Non voleva soldi ma se lo facevi sedere al tavolo beveva con te e pizzicava dal tuo piatto. E raccontava. Della sua guerra passata, delle sue guerre ancora in corso. E chiedeva di noi, di come volevamo cambiarlo quel mondo porco. Domande che arrivavano da una bocca invisibile, nascosta da una barba selvatica dove c’erano i colori di tutta la vita, dal biondo al rossiccio e al bianco. La voce pareva uscire da una foresta secolare. Dicevano che gli fosse morto un figlio. Non ho mai saputo come si chiamasse. Per tutti, era Garibaldi.
    Ciao Remo e grazie per il link su Pasolini e Don Milani

  5. caro renato, mi piace dirti e dire che due esponenti della “buona scuola” hanno commentato prima di te.
    di gente che faccia il proprio lavoro con passione c’è bisogno un po’ dappertutto.
    ciao e grazie

  6. Eppure c’é tanta buona scuola in giro. In periferia nella scuola primaria, tanti insegnanti con tenacia,voglia,sogni, che combattono ignoranza,pregiudizio, televisione spazzatura.. e perché no anche famiglie che fanno troppo spesso i sindacalisti dei loro figli.
    Certo che non si può delegare tutto alla scuola.Ognuno deve fare la propria parte.
    Ci ricordiamo di Basaglia?
    Diceva: Attenzione che la malattia mentale é anche sofferenza, e quindi problema di tutti ( Medici,tecnici,parenti amici ecc.). Se ce ne fottiamo e deleghiamo tutto ai tecnici, sbagliamo tutto.

    Scusate la lunghezza

    Renato

  7. Sì, Remo, la scuola continua a emarginare gli ultimi, e sapessi come è difficile parlare con loro, oggi, mentre gli squilla il cellulare in tasca e suona l’emmeppi3 nelle orecchie.
    (E certo le cose non cambieranno a colpi di decreti.)
    (E volesse il cielo che risuonasse nei loro lettori un frammeto di Jones il Suonatore.)

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