pausa sigaretta con pensiero incorporato

Ora racconto delle mie passeggiate al mattino, per raggiungere il giornale, o quelle serali, rare, per la città; o di quando vado in birreria, al supermercato, così da non sentire per venti minuti i telefoni che squillano alternati al cellulare e i toc toc alla porta del mio ufficio, con gente che, fuori dal vetro, mi fa segno che deve dirmi qualcosa di urgente…

Avrei avuto da raccontare molto di più quando prendevo il treno, andata e ritorno per Torino, e poi la sera e poi ancora di notte, lavoravo in un albergo.
Lì piovono storie.

E mi rimprovero. Di non avere abbastanza memoria, di essere stato disattento, spesso.
Avessi memoria e non fossi stato disattento (è una mia specialità ascoltare gli altri e pensare ai cavoli miei) avrei più cose da dire, qui, e storie da raccontare.
Certo, anche in un giornale di provincia, a volte, piovono storie.
Ma è diverso.

Bene, ho finito. Pausa sigaretta con pensiero incorporato.
Torno a lavorare.

PS A un portiere di notte, ma anche a un cameriere può succedere di pensare questa cosa qui

Di giorno, anche se il lavoro è tanto, io comunque ascolto. Ascolto sempre. Quando mi avvicino ai tavoli per servire, le persone continuano a parlare senza badare a me. Raramente s’interrompono. Pare quasi che la gente sia convinta che io sia sordo o che a me delle sue storie, delle sue confidenze, anche intime, non importi nulla. La mia riservatezza è un fatto scontato

da Il quaderno delle voci rubate, il mio primo libro quasi fantasma. L’han letto a Vercelli e pochi altri.