La sposa vermiglia (di Tea Ranno)

Tea Ranno, con il suo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori, 18 euro,
365 pagine), ha scritto un libro sulla battaglia che vede fronteggiarsi,
da un lato, la fragilità umana e, dall’altro, le regole. Certo, la fragilità
a volte si ribella, alza la testa imperiosa: ma sempre fragilità è, difficile
quindi trovare una via di fuga. Ce lo impediscono gli altri, ce lo impediamo
noi stessi, perché subentrano i vincoli dettati dalla tradizione, dalla
famiglia, e poi ancora dai sensi di colpa… Le regole scandiscono la storia
e le storie siciliane che gravitano attorno a “La sposa vermiglia”. Ma
è riduttivo dire che questo libro è un libro di bella scrittura siciliana,
ed è riduttivo dire che si tratta di una grande, struggente storia d’amore
che si ispira a una storia vera, ed è riduttivo dire che trattasi di libro
dalla struttura complessa, con andirivieni nel tempo (oltre al flash back
c’è l’anticipazione:… e un giorno suo marito tornerà a casa per dirle
che non l’ama più, ché si è innamorato della piccola Mary, di vent’anni
più piccola di lui…) e approfondimenti della psiche dei personaggi e
delle loro passioni e pulsioni (il sesso a prima vista non c’è, a benguardare
invece, sovrasta uomini e donne: perché è nella loro testa, perché trova
rifugio nell’ombra). La vicenda di Vincenzina, la sposa vermiglia, è ambientata
in piena epoca fascista. Quelli furono gli anni di Vincenzina e di Filippo,
il suo perduto amore, e di don Ottavio Licata, la bestia sessantenne a
cui la poco più che ventenne Vincenzina era stata promessa sposa. Storie
vere, d’altri tempi, storie di Sicilia. Ma ha poca importanza – nonostante
la bella ricostruzione – il contesto storico. Importa altro. Figlia del
Verga, che nei primi capitoli lancia segnali precisi al lettore, Tea Ranno,
nelle prime pagine descrive (nel senso che “fa vedere”) una scena di estrema
durezza: tredici uomini duri banchettano, attorniati da bbuttane con i
seni al vento. Non basta. Don Ottavio Licata, agli altri uomini duri propone
un gioco: assurdo e crudele. Un coniglio da infilzare con un coltello,
torturandolo. Qualcuno ride, qualcuno magari pensa che è un gioco sadico
insensato e folle, Lola la puttana per esempio lo pensa e prova a dire
qualcosa, ma deve zittirsi, e assistere. La cattiveria di don Ottavio,
nonostante la fuga tenace del coniglio, alla fine trionfa: e lui infilza
la bestiola, facendola tremare come trema chi muore per una potente scossa
elettrica. È il male che trionfa, e lo spazio per la ribellione è davvero
poco, quasi non c’è. Parte finale del libro. La sposa vermiglia potrebbe
uscire per strada, libera. Non può. Il protocollo le impone di salire delle
scale che sono una sorta di ascensore verso il patibolo. Lo sanno tutti. Chi
vuol male a Vincenzina la invita a salire le scale, chi vuol bene a Vincenzina
le sussurra, ma con voce troppo flebile, di fuggire. Certo la Sicilia è
terra di protocolli, abitudini, consuetini e tradizioni sacre, guai a chi
sgarra, ma non c’è solo la Sicilia nel libro di Tea Ranno. C’è il mondo
dei perdenti calpestati dalle regole – e poco importa se delle forze del
male o imposte dalla buona creanza – di tutto il mondo e tutta l’umanità.
Per questo è un grande libro.

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