E’ da più di un’ora che parlo, per l’esattezza un’ora e quaranta minuti. Mi hanno invitato a tenere una lezione sul giornalismo, ho accettato, dico sempre di sì senza mai chiedere soldi. Ho di fronte a me una ventina di ragazzi e ragazze di un istituto professionale religioso; c’è anche la loro insegnante, in fondo all’aula, seduta.
Ha parlato di giornalismo, e i ragazzi mi hanno ascoltato, ho parlato di internet, ho parlato di scrittura. Adesso, dopo un’ora e quaranta minuti, devo parlare di come si fa un giornale.
Cos’è una notizia. Come si scrive un articolo. Il lead. Le 5 W. La titolazione e l’impaginazione. I menabò…
Però mi accorgo, dopo un’ora e quaranta minuti, che questi ragazzi mi ascoltano, sì, e mi hanno pure fatto delle domande, certo, ma sono lontani.
Educatamente lontani.
Dico a me stesso: Vediamo come passare questi 40 minuti, che ho sete, voglia di caffè e di una sigaretta, e poi devo correre al lavoro.
Ho la sensazione che quei ragazzi si sentano delusi da me così come io mi sento deluso da loro.
Domando. Quanti di voi usano internet? Alzano la mano tutti. Quanti di voi sono su Facebook? Quasi tutti.
Quanti di voi hanno letto un libro che non sia un libro di scuola?
Nessuno.
Allora mi siedo. Vedo che quasi quasi si compiacciono nel dirmi “che leggere annoia”, che “tanto non ci sono libri che parlano della nostra vita”.
Li provoco. Dico loro: siete un branco di pecore, vi consolate a vicenda perché nessuno di voi ha letto un libro, ma sappiate che vi state facendo del male.
Affondo ancora di più il coltello.
Dico: Siete destinati a essere dei perdenti.
Parlo di don Milani, della scuola di Barbiana, e loro mi ascoltano.
Dico: Di sicuro non sarò io a convincervi a leggere libri e giornali, ma sappiate, e magari cercate di ricordarvelo, che sarete dei perdenti.
Dico: Ma lo sapete che la televisione vi ha fatto il lavaggio del cervello? Lo sapete che voi avete imparato a parlare un po’ dalla vostra famiglia e un po’ dalla televisione?
C’è una grande attenzione in aula.
MI guardano, vorrebbero dire qualcosa che non sanno dire.
Una ragazzina fa: Me lo dice anche mia madre…
Un’altra, mordicchiandosi le labbra: Lo sappiamo…
Cazzo penso guardandoli negli occhi: questi un libro non l’hanno mai letto ma sanno che affronteranno la vita sapendo di essere dei perdenti. Dei lavoratori interinali se va bene.
Dico loro che la colpa è della mia generazione, non loro.
Cerco insomma di fare un po’ di marcia indietro.
Mi sorridono, alla fine mi regalano anche un applauso.
Prima di andare a fumare una sigaretta bevo un bicchiere d’acqua gassata con la insegnante e la direttrice della scuola, una religiosa giovane e sveglia.
Mi fanno i complimenti.
L’hanno ascoltata con interesse per due ore, mi dicono.
Io però non sono soddisfatto di me.
Quando uno di loro mi avevo chiesto che autore leggere avevo detto, Provate con i racconti di Yates, sono meno noiosi di Pavese e Fenoglio.
Ma va bene anche Moccia, dico…
Ora so dalla direttrice e dell’insegnate che questi ragazzi non hanno una vita facile. E magari non hanno nemmeno i 14 euro necessari per comperarsi un libro.
Ripenso alla domanda-considerazione della ragazzina che mi ha posto almeno dieci quesiti: Ma c’è qualche scrittore che racconta la nostra vita?
No cara ragazza, non credo. Nemmeno io: vorrei ma non so, o so comunque troppo poco di voi.
(Sono stati gentili, comunque con me; m’han detto una bugia, per esempio: che leggeranno).