Oggi è morto il mio medico. Si chiamava Enrico Aramini, siamo cresciuti insieme.
Abbiamo fatto anche a botte, da piccoli, una volta; lui che era più grosso e più forte, mi prese la testa con un braccio a mo’ di tenaglia e mi abbassò, stringendomi forte e facendomi male; io feci di peggio: mi liberai morsicandogli la pancia.
Poi è diventato il mio medico, ma soprattutto è rimasto l’amico di sempre (che regalò a mia figlia, studentessa di medicina, il manuale di Anatomia).
L’ultima volta che mi ha visto mi ha salutato come faceva spesso, dandomi un bacio in fronte: mi voleva bene, ma voleva bene a tutti i suoi pazienti, anche a quelli disperati, che puzzano o fanno gli spacconi… Anche a quelli che lo prendevano in giro: era superiore, lui, mi diceva, Poveracci…
(I preti nelle loro omelie sparano cazzate e sono insopportabili; oggi il prete, no, l’ha detta giusta: gli eroi sono così, come Enrico).
Siamo strani di fronte alla morte.
Quando morì mio fratello accarezzai la bara.
Oggi, quando ho visto la bara con dentro Enrico ho guardato per un attimo e basta: mi faceva male guardarla.
Si riesce a vederlo, “l’Enrico”, e allora un po’ c’è ancora.
Forse perché c’è un po’ di te in questo medico che ti e ci precede… e che ha fatto un cammino da giusto. Un abbraccio, ML
Mi spiace Remo, Ti abbraccio forte forte
è vero, siamo strani di fronte alla morte, e tu, in questo caso, ci hai comunicato la delicatezza del dolore e dell’esistere
Forse perché sono molto fragile, in questo periodo e molto permeabile alle lacrime, ma, più probabilmente, perché tu sai raccontare le persone e il dolore con dita che toccano l’anima, ho pianto, leggendoti. E ti devo un abbraccio, perché, alla fine, le lacrime sono balsamo alla sofferenza.