Buon Natale, che per me è una bella festa, perché per il bambino povero che sono stato i momenti belli erano due: Natale e quando finiva la scuola.
A Natale mi facevo regalare libri. Il primo fu Il Gatto con gli stavali, che lessi sotto le coperte perché avevo la febbre. A Natale poi la mamma era più buona: mi dava solo sculacciate perché rubavo i babbinatale di cioccolata appesi all’albero.
Buon Natale a tutti dunque, a mia mamma, che stasera mi guarderà e ci guarderà dal suo mondo lontano: ha perso la cognizione del tempo, ci riconosce ogni tanto e, ogni tanto, sorride.
E buon Natale ai bambini, gli stiamo lasciando in eredità un mondo punto bello, di veleni e di odio.
E buon Natale, ma che sia veramente buono, a chi legge i miei libri: buon Natale con gratitudine (vedrete, vi porterò fortuna).
E buon Natale a chi conosco e a chi non conosco, che passa di qua.
E poi buon Natale alle persone sincere, le mie preferite.
Mese: dicembre 2017
sbadatissimo me
Vado a trovare i miei vecchi, come tutte le sere. Vado col cane, porto appresso un libro (a volte mia madre s’addormenta mentre mio padre cucina), la pipa e il tabacco. Il tabacco, però stasera lo avevo dimenticato. Di corsa sono tornato a casa con tanta voglia di farmi una pipata. Arrivato a casa mi accorgo di aver dimenticato la pipa dai miei vecchi. Ne ho altre, certo, ma quella è la mia preferita.
Il meglio di me lo do quando cerco gli occhiali che ho già, o quando scendo dall’auto ma sono bloccato dalla cintura che non ho sganciato.
Sono sempre stato così sbadato. Poi. Non ho il minimo senso dell’orientamento, mi perdo come si perdono i bambini. Da sempre.
Dimentico sempre gli ombrelli, perdo le biro, lascio in giro i miei accendini e metto in tasca quelli degli altri. A volte, quando sono solo, entro in un locale, consumo, poi mi dirigo verso l’uscita, dove però mi fermo: ci risiamo, mi dico, dimenticavo di pagare.
Una volta andai a prelevare col bancomat. Feci tutto per bene, meno una cosa: non ritirai le banconote. Fortuna che il bancomat le “inghiotte” se non le prendi, fortuna che nessuno passò di lì… mi pare fossero 500mila lire.
Sbadato perché sempre con la testa altrove. Tre giorni fa, guidando, imbocco una strada, a venti metri da casa mia. La percorro, ma a un certo punto vedo tre auto che mi vengono incontro, e la carreggiata può ospitare un solo veicolo. Capisco di essere contromano, succede a qualche turista, ogni tanto. Io però vivo a venti metri di distanza da questa strada.
Mi sta bene tutto, va bene così, ma se guardo la mia scrivania, che una volta ogni tre mesi riordino, mi viene male, ché sembra una discarica.
Unica nota positiva: ritrovo spesso qualcosa che credevo perso.
I libri no, erano un’eccezione. Ordinati per autori, fino a un certo periodo della mia vita sapevo dove trovare un Flaubert o un libro di un autore moderno. Poi sono aumentati, così li ho disseminati per la casa, in libreria c’è la doppia fila e, c’è, un casino indescrivibile. Nemmeno i libri si salvano.
Ogni protagonista è descritto per ciò che è, brutalmente
Mi sono fatto questa idea.
Più o meno inconsciamente, il lettore di un libro cerca la complicità con il protagonista della storia che sta leggendo. Se gli va a genio, se trova affinità allora il libro piace, altrimenti no.
Ad eccezione del protagonista del mio primo libro-non libro (Il quaderno delle voci riubate non è stato distribuito, ma regalato agli abbonati del bisettimanale La Sesia nel 2002), i protagonisti dei miei libri non piacciono. Vado oltre: a volte non piaccione nemmeno a me. Ma se Anna Antichi (ne La donna che parlava con i morti) è sboccata, antipatica e aggressiva c’è un motivo: il suo malessere, il suo sentirsi male, il senso di colpa che le pesa dentro.
Anche il protagonista de La notte del santo, il sostituto commissario Pietro Dallavita, ha le sue imperfezioni e alcuni suoi lati del carattere non piacciono nemmeno a me.
Ma ho deciso di scrivere così da tanto tempo.
In questo romanzo non c’è spazio per gli eroi, ogni protagonista è descritto per ciò che è, brutalmente, senza sconti, in un affresco di una nazione che sempre più si allontana dall’immagine patinata del Bel Paese,
scrive Cinzia Ciarmatori, in
questa recensione
de La Notte del santo.
http://www.dasapere.it/2017/12/12/la-notte-del-santo-remo-bassini-libreria/
Nel bosco
C’era ancora luce e, ma non ne era proprio certo, il piccolo sentiero che lo avrebbe riportato fuori dal bosco ancora s’intravvedeva, laggù sulla destra. Doveva affrettarsi, avrebbe dovuto, e invece si sedette. Ci pensò ma al tempo stesso non voleva pensarci che se non si affrettava sarebbero arrivati il buio, il freddo e la fame. Sorrise pensando al suo portafoglio, ché in un bosco non servono banconote.
La voce che gli diceva di sbrigarsi era incazzata con lui, me tenue, lontana. Ridicola.
Preferì aspettare. Sorrise, quando vide le sue braccia conserte, perché il primo brivido era arrivato.
Si abbottonò l’ultimo bottone della camicia bianca, poi guardò verso la direzione del sentiero, ma era buio ormai. Alzò gli occhi, non c’erano stelle. Ma lo sapeva, mancavano da tempo.
Presento libri ma sono a disagio
Ne ho fatte di presentazioni dei miei libri, e conservo tanti ricordi belli (di quelle di Sermide, di Martina Franca, di Bologna, di Cortona…) ma sta di fatto che io, quando si tratta soprattutto di presentare libri miei, sono a disagio.
Parlo, ma cerco di andare fuori tema, di allontanarmi, cioè, dal parlare bene del mio libro, ché in fondo quando si presenta un libro si deve fare essenzialmente questo: parlare così bene del proprio libro da convincere i presenti ad acquistarlo e magari, poi, a farne parola con gli altri.
Per adesso ho presentato solo due volte l’ultimo mio libro, La notte del Santo. A Vercelli e poi in un rione di Vercelli (che si chiama Isola) dove però ho parlato (e per fortuna) anche d’altro. Di Primo Levi, dell’editoria a pagamento, della prima sigaretta che fumai proprio in quel rione, delle botte di fortuna che ho avuto io, in campo editoriale, e delle jatture, anche.
A volte è successo che io sia andato a presentare un mio libro nel posto X senza avvisare nessuno, lasciando che fossero le locandine (e magari l’evento creato su facebook) a fare. Nemmeno ai parenti dico che il tal giorno presento il mio libro.
Non sono un buon venditore dei miei prodotti, insomma.
A Bologna una volta feci così: un’ora di corso sulla scrittura – metto insieme le mie esperienze personali e tutto quello che so degli insegnamenti di Pontiggia – e un’ora di presentazione di un mio libro. Può darsi che riproponga questa formula, se mi capita.