Un giorno da incorniciare

Dovessi scegliere un giorno da incorniciare non sceglierei il giorno in cui Mursia mi annunciò che avrei pubblicato il primo libro, sebbene pubblicare e scrivere fosse il mio sogno, né sceglierei il giorno in cui divenni direttore del giornale La Sesia, che fu comunque un importante riconoscimento professionale, ma seglierei il giorno della mia laurea, perché laurearmi è stato dura. E tanto.
Studiare per laurearmi – lavorando: operaio, portiere di notte, infine giornalista – significò imparare a dormire poco, fumando tanto e bevendo tanti caffé, significò tante riununce: a uscire la sera o una domenica di primavera, ad andare al cinema, a seguire il campionato di calcio.
Studiavo più che potevo, anche perché avevo fatto una scommessa con me stesso: se ti bocciano a un esame tu molli, mi ero detto. Sostenni 19 esami, media del 28 virgola qualcosa. L’ultimo (sociologia) lo diedi mentre stavo preparando la laurea. Avevo studiato poco e in fretta. Se mi bocciano, pensai guardando oltre i finestrini del treno, mi sa che stavolta non mantengo la promessa.
Mi concedevo però dei piccoli regali, in quegli anni. Una canzone al juke box al mattino, al bar della stazione, fumando la prima sigaretta dopo il caffè, mentre attendevo il treno. Un panino e una birra verso mezzanotte, venti minuti di pausa non di più, ma solo alcuni giorni, a volte mi bastava fare solo una camminata per i viali di Vercelli. Gli articoli di Beniamino Placido la mattina sul treno. La radio di notte.
Il 24 giugno del 1991 mi svegliai, pensando alla discussione della tesi nel pomeriggio. Arrivò un velo di tristezza. Quel giorno finiva un capitolo importante della mia vita. Irripetibile.
A volte sogno di essere a Parigi. Devo iscrivermi ancora a qualcosa, e lavorare, e so che sarà dura. Solo che non conosco le strade…