Mese: novembre 2019
Il bar delle voci rubate
C’era una volta un libro, “Il quaderno delle voci rubate”, il primo che ho scritto. E’ tornato,vent’anni dopo, con un nuovo titolo. Il bar delle voci rubate.
L’ho modificato, ha un altro finale e non solo.
La casa editrice si chiama I buoni cugini.
La copertina è tratta da un’opera di Lorena Fonsato.
La poesia che vorrei scrivere
Ho scritto anche io poesie, ma erano brutte. Però una poesia vorrei tanto scriverla, e dedicarla a mio figlio Federico Libero detto Cico. Una sola.
Vorrei scrivergli solo due cose, due.
Era piccolo, avrà avuto due anni, era inverno, eravamo ai giardini, dove c’era una fontana. Eramo solo io e lui. Io però non c’ero. Ero arrabbiato, ero pensieroso, ero altrove.
Guadda quacqua, mi disse lui, guardandomi. Aveva ragione. Era così bello essere lì e guardare l’acqua.
È cresciuto, ha nove anni quasi dieci, ma gli è rimasta una mania. Se ha un giocatolo rotto lo mette da parte, lo accarezza. E non vuole buttarlo perché, dice mio figlio, non ha colpa se si è rotto. E la casa è piena di giocattoli rotti, ma non si buttano, dice. Per favore.
E vorrei dirgli, insomma, scrivergli che lui è migliore di me.
Vorrei dargliela questa poesia: so che la terrebbe con cura.
Qualcosa di me, meglio: di mio
Questa cosa l’ho scritta nel 2013. E’ qualcosa di me, meglio: di mio. Copio-incollo.
Ho sofferto di epilessia. Una tara ereditaria, pare.
Lo fu un fratello del babbo, han sofferto di epilessia due miei cugini. Anche mio fratello Moreno.
La prima crisi, il 23 settembre 1975, giorno del mio diciannovesimo compleanno.
Ultima crisi: agosto del 1991.
Ma c’è un’altra data da ricordare.
Allora, prima crisi, ho 19 anni. Ne arriva un’altra l’anno successivo, settembre 1976. Lavoravo in fabbrica.
Da allora, una crisi ogni due mesi, a volte anche una al mese.
Va a sapere tu: tutte al mattino, soprattutto di sabato o domenica. Ma qualche volta succedeva anche in fabbrica.
1980, primo maggio: nasce mia figlia Sonia.
15 di maggio, ho una crisi.
Ed è questa la data da ricordare
Ho una crisi e dico: non ne voglio più avere, non voglio avere PAURA di tenere questa bimba in braccio.
va a sapere, ma da allora niente più crisi fino al 1991.
I medici mi dicevano: cerca di fare una vita tranquilla.
Dormi almeno otto ore, non esagerare coi caffè, mangia con moderazione.
Dal 1982 la mia vita cambia: e non è per niente tranquilla. Non lo è più.
Fabbrica, palazzo nuovo ogni giorno (quindi Vercelli- Torino andata e ritorno).
4 ore di sonno, a volte anche meno.insomma, da quel 15 maggio 1980 in poi sono stato operaio-studente, ho recitato a teatro, lavorato di notte in un albergo, giocato a bowling a livello agonistico, scritto libri, letto libri: quasi sempre di notte.
Bevendo tanti caffè e fumando o il toscano o la pipa,soprattutto la notte, per restare sveglio.
Una notte (stavo scrivendo la tesi di laurea) feci che non dormire per niente. Certo, il giorno dopo ero a pezzi, ma andai a Torino, tornai a Vercelli, lavorai.
Io credo sia stato importante, per me, aver messo da parte la paura.
Nel 1983 mi iscrivo a Lettere e leggo I demoni di Dostoevskij.
Nei demoni, si dice che Maometto era epilettico perché dormiva poco.
All’epilessia di Dostoevskij, alla mia epilessia e all’epilessia di tutti gli epilettici, ancora oggi guardati di traverso e spesso con disprezzo, dedicai una poesia.
Non so scrivere poesie, io.
Ma questa mi piace:
A Dostoevskij
Epilessia,
malefica dea che insegni
ai tuoi figli bastardi
a sottrarre
secondi alla notte:
la pena di morte
è
a ogni passo.
Ad ogni passo
il viso può schiantare
nel selciato
dove
calpestati e rinnegati
crescon fiori il cui nome
nessuno conosce.