Altri tempi, altre voci

Per tre anni della mia vita ho fatto il portiere di notte. Di notte potevo studiare e dalle 4 alle 6 anche dormire per un paio d’ore. Poi dormivo in treno, andando in università.

Facendo il portiere di notte o il cameriere ti accorgi che spesso la gente conversa poco lontano da te, dicendo anche cose importanti, delicate. Il mio primo libro si intitola Il bar delle voci rubate: è la storia di un proprietario di un bar che in un quaderno scrive le cose che la gente racconta senza fare caso a lui (nel quaderno, poi, finirà anche lui).

Ho ripensato spesso alle voci rubate ultimamente. Il terreno è poco fertile. Noioso. Virus, vaccinazioni, mascherine eccetera eccetera eccetera.

No, un attimo. Ci fu una voce che mi colpì, appena finito il primo lockdown.

Mentre portavo a spasso il cane sentii una donna che disse: La prossima volta non mi incastrano. Mi compro una bella casa in montagna e appena capiamo che ci rinchiudono ancora ci vado e dico ai miei figli di raggiungermi.

Azzarola.

Anche stamattina, camminando, ho rubata una voce. Diceva più o meno così: Una settimana, dieci giorni al mare me li sono sempre permessi, ma con queste bollette quest’anno come faccio? Ero di corsa, non ne ho sentite altre, di voci.

(E comunque: erano più interessanti le voci che rubai quando scrissi il libro, era il 1996. Due anni fa la casa editrice I buoni cugini lo ha ripubblicato. È una versione riveduta (molto riveduta) della prima edizione che uscì nel 2002 con il titolo Il quaderno delle voci rubate. Altri tempi, altre voci, altri sogni…)

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