L’uomo senza orologio

Svegliarsi al mattino, bere di fretta il caffè e guardare l’ora con la sensazione di essere già in ritardo.
Succederà a tanti di voi, credo.
E non è una cosa buona, anzi.
Quando mi capita io penso a un uomo, conosciuto da poco.

Allora, mese di luglio 2012, Cortona; mi trovo nella Sala del Biscione, tra mobili in stile rinascimentale e reperti dell’accademia etrusca.
Un luogo di assoluto prestigio, insomma.
Scelto dal sindaco di Cortona, Andrea Vigini, per la presentazione di Vicolo del precipizio.
E’ un sabato mattino caldissimo, e dal momento che io non ho avvisato né parenti né amici (non lo faccio mai quando deve presentare un libro) c’è poca gente: quaranta persone scarse.
Fa tanto caldo, dicevo. Niente ventilatori, niente aria condizionata.
Tra i presenti in sala c’è un uomo che avrà la mia età, credo (ha la barba più bianca della mia ma in compenso è più magro) che, con disinvoltura, a un certo punto si toglie le scarpe, le mette in un sacchetto di plastica e poggia i suoi piedi nudi sul pavimento.
Qualcuno non vuol credere ai propri occhi: nella Sala del Biscione, a Cortona, certe cose non si sono mai viste.

Poi me lo presentano.
Fino a due anni fa faceva il medico. Cardiochirurgo. Si svegliava al mattino e magari era già in ritardo.
Adesso fa l’olio d’oliva e produce vino in un podere.
E per non annoiarsi la sera organizza spettacoli o teatrali o musicali e quando non ci son gruppi o artisti c’è comunque un vecchio film in bianco e nero con Sordi, un piatto di pasta e un bicchiere di vino: quanto basta per trascorrere una bella serata.
Mi immagino il suo mattino: con la tazza del caffè mentre guarda il verde.
L’orologio l’ha dimenticato per sempre, da tempo.

sigarette costose

Giorni fa.
Entro in tabaccheria, ho finito il tabacco per la pipa. Faccio una miscela: tra un tabacco costoso e uno che invece è a buon mercato.
Davanti a me c’è un ragazzo, che riconosco solo quando si gira.
E’ di nazionalità marocchina, può avere 17, 18 anni.
Ho visto bene cosa ha comperato: un pacchetto di sigarette, le più buone, le più costose.
Perché lo conosco: perché ogni tanto mi chiede una moneta.
Non è insistente. Ed è educato.
Non navigo nell’oro, io.
Sono stato povero, due volte.
Quando mio padre era in cassa integrazione, ed eravamo in cinque (babbo, mamma e tre figli, io, il più grande, facevo le superiori) e quando, a ventotto anni, mi licenziai dalla fabbrica per studiare, facendo lavori saltuari e risparmiando su tutto.
Ho sempre fumato.
Oggi la pipa, allora le sigarette.
Fumavo quelle che costavano meno.
Mio padre e mia madre, fin da piccolo, mi hanno insegnato a risparmiare.
Quel marocchino, invece, non sa o non vuole risparmiare.
Ma non lo conosco bene.
Sono anni che lo vedo, solo, per strada.
Credo che nessuno gli abbia mai insegnato.

 

 

Sul pubblicare, oggi.

Sul blog che ho sul Il Fatto quotidiano.it, ho postato, a beneficio di chi vuole pubblicare un libro e non sa come raccapezzarsi, questa cosa qui.
http://www.radio24.ilsole24ore.com/player/player.php?filename=130105-reportage.mp3
Lo posto anche qui perché penso possa servire.
Certo, il discorso è molto più articolato e ampio, da sviluppare.

Non è un gran momento, questo, per l’editoria italiana. Si pubblica di meno, si comprano meno libri. Alcuni editori (tanti, pochi?) hanno diminuito il getto, che fino a due anni fa era esagerato, delle pubblicazioni.

Ho scritto a un piccolo editore, ma ben distribuito, che due anni fa, dopo l’uscita di Bastardo posto, mi propose di pubblicare con lui. Gli ho scritto dicendo: ho una raccolta di racconti e, se ti interessa, avrei Il quaderno delle voci rubate da ristampare.
Mi ha risposto così: fatti vivo tra un anno, io per un anno vedo se riesco a sopravvivere, ma per adesso ho sospeso le pubblicazioni.

La sposa vermiglia (di Tea Ranno)

Tea Ranno, con il suo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori, 18 euro,
365 pagine), ha scritto un libro sulla battaglia che vede fronteggiarsi,
da un lato, la fragilità umana e, dall’altro, le regole. Certo, la fragilità
a volte si ribella, alza la testa imperiosa: ma sempre fragilità è, difficile
quindi trovare una via di fuga. Ce lo impediscono gli altri, ce lo impediamo
noi stessi, perché subentrano i vincoli dettati dalla tradizione, dalla
famiglia, e poi ancora dai sensi di colpa… Le regole scandiscono la storia
e le storie siciliane che gravitano attorno a “La sposa vermiglia”. Ma
è riduttivo dire che questo libro è un libro di bella scrittura siciliana,
ed è riduttivo dire che si tratta di una grande, struggente storia d’amore
che si ispira a una storia vera, ed è riduttivo dire che trattasi di libro
dalla struttura complessa, con andirivieni nel tempo (oltre al flash back
c’è l’anticipazione:… e un giorno suo marito tornerà a casa per dirle
che non l’ama più, ché si è innamorato della piccola Mary, di vent’anni
più piccola di lui…) e approfondimenti della psiche dei personaggi e
delle loro passioni e pulsioni (il sesso a prima vista non c’è, a benguardare
invece, sovrasta uomini e donne: perché è nella loro testa, perché trova
rifugio nell’ombra). La vicenda di Vincenzina, la sposa vermiglia, è ambientata
in piena epoca fascista. Quelli furono gli anni di Vincenzina e di Filippo,
il suo perduto amore, e di don Ottavio Licata, la bestia sessantenne a
cui la poco più che ventenne Vincenzina era stata promessa sposa. Storie
vere, d’altri tempi, storie di Sicilia. Ma ha poca importanza – nonostante
la bella ricostruzione – il contesto storico. Importa altro. Figlia del
Verga, che nei primi capitoli lancia segnali precisi al lettore, Tea Ranno,
nelle prime pagine descrive (nel senso che “fa vedere”) una scena di estrema
durezza: tredici uomini duri banchettano, attorniati da bbuttane con i
seni al vento. Non basta. Don Ottavio Licata, agli altri uomini duri propone
un gioco: assurdo e crudele. Un coniglio da infilzare con un coltello,
torturandolo. Qualcuno ride, qualcuno magari pensa che è un gioco sadico
insensato e folle, Lola la puttana per esempio lo pensa e prova a dire
qualcosa, ma deve zittirsi, e assistere. La cattiveria di don Ottavio,
nonostante la fuga tenace del coniglio, alla fine trionfa: e lui infilza
la bestiola, facendola tremare come trema chi muore per una potente scossa
elettrica. È il male che trionfa, e lo spazio per la ribellione è davvero
poco, quasi non c’è. Parte finale del libro. La sposa vermiglia potrebbe
uscire per strada, libera. Non può. Il protocollo le impone di salire delle
scale che sono una sorta di ascensore verso il patibolo. Lo sanno tutti. Chi
vuol male a Vincenzina la invita a salire le scale, chi vuol bene a Vincenzina
le sussurra, ma con voce troppo flebile, di fuggire. Certo la Sicilia è
terra di protocolli, abitudini, consuetini e tradizioni sacre, guai a chi
sgarra, ma non c’è solo la Sicilia nel libro di Tea Ranno. C’è il mondo
dei perdenti calpestati dalle regole – e poco importa se delle forze del
male o imposte dalla buona creanza – di tutto il mondo e tutta l’umanità.
Per questo è un grande libro.

Mariangela

Se chiudo gli occhi rivedo il vecchio Salvo Randone che recita in Pensaci Giacomino, di Luigi Pirandello. Lo rivedo stanco, si siede spesso, ha bisogno del suggeritore, che sta sotto una botola. Poi rivedo Glauco Mauri nel Faust: lo rivedo recitare e lo rivedo mentre parla con me. Lo spettacolo è finito, piove, e io per la prima volta, timidamente, mi avvicino all’uscita dei camerini del teatro Civico di Vercelli. Glauco Mauri mi guarda e mi sorride, ed è un invito quel suo sorriso. Davvero vi è piaciuto ragazzi?, dice a me e ad un amico che è con me. Non sentiamo la pioggia mentre parliamo.

Poi rivedo Aroldo Tieri e Giuliana Loiodice che mangiano in fretta un panino prima di recitare Esuli di Joyce. Mi stupisco nel vedere teso soprattutto lui, il grande Tieri. Ma come: la paura del palcoscenico non finisce mai?, mi domando.

E rivedo Flavio Bucci, in Lorenzaccio: lo rivedo semplicemente perché ho trent’anni, pochi soldi, sono in piccionaia, e ho un grande ma grande innamoramento per il teatro.

E poi rivedo quella che per me, come spettatore, è stata la più grande interpretazione vista, in anni e anni di frequentazione del teatro civico della mia città. Mariangela Melato in Anna de’ miracoli, una quindicina d’anni fa, credo.
C’ero andato svogliatamente, quella sera a teatro. Anna de ‘miracoli l’avevo visto e rivisto in tivù, che palle.
Mi incantò invece: fu grande, grande, Mariangela Melato. Recitò col cuore, con tutta se stessa.

La notizia della morte di Mariangela Melato, qui.

scrittura e politica

Mi hanno chiesto di “fare politica”. Lasciando, magari, il giornalismo. O la direzione del giornale, che essendo bipartizan non potrebbe avere al timone una persona comunque schierata. In un primo momento ho detto ci penso, in un secondo momento ho detto no, ultimamente ho detto ancora no, lasciando aperto un piccolo spiraglio.
Avrei voglia di fare politica: contro la casta, gli sprechi, le mafiette, le raccomandazioni, contro la malasanità.
Ma son cose, queste, che in parte posso fare anche da giornalista (ricordo una bellissima lettera che mi scrisse un collaboratore, anni fa. Era un collaboratore che in passato aveva militato, ottenendo anche incarichi, in un partito di sinistra. Mi scrisse: mi sento più libero con te…), ma il giornalismo, oggi più che mai, è in crisi nera, per tanti motivi.
Di identità, in primo luogo.
Perché ho detto più no che sì a un mio eventuale impegno in politica: perché in primo luogo io non saprei vivere senza scrittura, mi sentirei orfano della cosa più importante, a cui tengo di più.
Io credo che l’impegno politico preso per davvero sottrae e succhia forze ed energie. Già adesso, ci sono giorni che non riesco né a leggere né a scrivere.
Io di giorno vivo aspettando la notte: per poter scrivere, o anche solo pensare alla scrittura.
E questo prescinde dal riconoscimento o meno nell’editoria. Può darsi che io pubblichi ancora qualche libro, ma può anche darsi che Vicolo del precipizio sia stato l’ultimo atto, chissà.
Però uno spiraglio, piccolo piccolo, su un mio eventuale impegno in politica c’è ancora nella mia testa.
Oddio, si può fare politica anche scrivendo storie, no? Mal che vada si pubblicano in rete, su un blog.
E buona giornata

PS Mi han detto che sabato, per la presentazione di Vicolo del precipizio a Sermide, ci saranno pochi libri. Diciannove per l’esattezza. In magazzino non ce ne sono più. Buon segno.