Parlare con i morti

Chi mi conosce sa che ho perso due fratelli. Fabrizio, quando ero bambino, e Moreno, nel 2005.

Nel 2007 ho conosciuto La donna che parla con i morti. Al giornale che dirigevo mi avevano raccontato tre cose tre di lei. Che non voleva farsi intervistare. Che non prendeva soldi. E che una donna, rimasta vedova, si era rivolta a lei perché non trovava degli importanti documenti del marito. La donna che parlava con i morti aveva chiesto alla vedova di portarle un indumento del marito, una camicia, un fazzoletto, qualcosa insomma. E così era stato. Con l’indumento o quel che fosse arrivò anche l’indicazione di dove fossero i documenti. Pensai: è stregoneria. Però volevo conoscerla.

Andai, la conobbi. E le promisi: Non scriverò di te (le dedicai un libro, dove si racconta di una donna che parla con i morti).

Mi parlò del suo mondo per due, tre ore. La donna che parla con i morti mi spiegò che i morti non soffrono, che spesso sono in mezzo a noi; che quando avevano finito di vivere avevano fatto i conti con il bene e con il male che avevano fatto. Meglio vivere nel bene, dunque. E chi si uccide sbaglia, perché va contronatura, mi disse (e a me non piacque questo). E ripeteva che non soffrono (non esiste l’inferno nel mondo del buon dio, cantava De Andrè). Chi soffre è chi rimane in questa valle di lacrime. Le domandai, Ma non hai paura, tu, di morire? Non ti mancherebbe tuo figlio? «No, non ho paura, mi mancherebbe solo di non poterlo più accarezzare». La salutai e poi, una volta raggiunta la macchina, appena infilata la chiave per aprire la portiera mi bloccai, e tornai indietro. Da lei. Devo dirti una cosa. Così le raccontai della morte di mio fratello Moreno. Le raccontai che era caduto dal quarto piano, che mi sentivo responsabile. Quello che mi disse mi colpì profondamente.

Appena le raccontai di Moreno lei mi disse tre frasi. La prima: «Guarda che doveva andare così», che è una frase consolatoria che non mi consolava. Poi però aggiuse: «Questo ragazzo ha proprio la battuta pronta». Ci rimasi. Erano le stesse identiche parole che pronunciava sempre mia mamma. Diceva proprio così: «Questo ragazzo ha proprio la battuta pronta». Certo, a volte diceva anche «Moreno ha proprio la battuta pronta», ma il più delle volte diceva «Questo ragazzo ha proprio la battuta pronta». Pensai: mi sto condizionando, in effetti mi sembrava che mio fratello fosse lì, e fosse anche sereno; ricordo che pensai: non può essere, quella frase è una coincidenza. Poi La donna che parla con i morti mi disse che vedeva una bambina bionda, con i riccioli, di pochi anni, insieme a mio fratello. Disse ancora: «C’è molto affetto tra loro. Mi sembra che si scambino qualcosa, forse una caramella. La bambina adesso lo sta cercando». Allora. Mio fratello badava sovente alla bambina di un suo amico. Badava a lei quando lui e la moglie erano impegnati per lavoro. Quando Moreno era morto, però – e la bimba aveva chiesto di lui – le avevano detto che era andato via.

Quando me ne andai, nella mia mente sfrecciarono due pensieri, come treni in corsa che viaggiano in direzioni opposte:

Non è possibile credere.

E’ impossibile non credere…

Nel libro La donna che parlava con i morti (lo pubblicò Newton Compton, è fuoricatalogo e introvabile, quindi non mi sto facendo pubblicità) il personaggio principale, Anna Antichi, non crede che donna che parla con i morti ci parli per davvero. Fabrizio, il poliziotto di cui è innamorata, invece sì.

Don Luisito Bianchi (non leggete i miei libri, leggete i suoi, leggete “La messa dell’uomo disarmato”, che è un capolavoro) mi scrisse che anche Anna avrebbe dovuto crederci. Era un messaggio rivolto a me.