“Forse non morirò di giovedì”, Golem edizioni, è il mio tredicesimo libro ed è in libreria da giovedì 18 febbraio. Questo romanzo racconta la vita di un giornale, parla quindi del mestiere del giornalista, ma parla anche della vita di provincia, di omofobia e di amori che fanno male.
Alcuni frammenti…
“Signorina, è un bel mestiere il nostro. È bello anche perché ci permette di incontrare persone e storie. Ma c’è una storia, quasi mai raccontata: è la storia del giornale stesso e di chi lo fa.”
«Divento pazzo» urlò e, in quel preciso istante, Antonio Sovesci pensò di capire il dolore dei pazzi. Ciò che desiderava di più al mondo era riabbracciarla; ciò che desiderava di più al mondo era cancellarla dalla sua testa.
Se un giornalista è libero per davvero, se cerca di non farsi condizionare dal potere, dalle sue simpatie politiche, dalle sue amicizie, da tutto insomma, editori compresi, riuscirà a svolgere questa professione in modo credibile, vero. Senza libertà e senza giornalisti liberi il giornalismo è morto, non crede, signorina?”
Domando (e mi domando): quante volte ci siamo indignati quando abbiamo sentito pronunciare “Finocchio di merda?” È una frase grave, è una frase violenta, è una frase che viene pronunciata tutti i giorni, davanti alla nostra colpevole indifferenza.
I ringraziamenti, infine.
Dedico questo libro a tutti i giornalisti liberi e a due persone in particolare, che non ci sono più: Francesco Brizzolara, che è stato il mio direttore e che mi ha insegnato a fare il direttore, e Ciro Paglia, che non ha bisogno di presentazioni e che è il più bravo giornalista che ho incontrato sul mio cammino.
Un ringraziamento particolare ad Alessandra Buschi, scrittrice, poetessa, editor, carissima amica. Ha rivisto una precedente stesura, contribuendo così a migliorare il testo. E grazie a due amici lettori-scrittori, Marco Florio e Milvia Comastri, e al team di questa bella casa editrice, Paola, Fabrizio e Giancarlo.
Ma il grazie più grande va a Giorgio Levi, a cui ho chiesto di scrivere la postfazione. Con questo, ho pubblicato tredici libri, tra romanzi e raccolte di racconti. Solo due hanno una postfazione: il giallo politico Lo scommettitore, scritta da Marco Travaglio, e Forse non morirò di giovedì, appunto da Giorgio Levi, che è stato giornalista de La Stampa, ma non solo, e che è direttore del Centro Pestelli, a Torino. Un collega preparato e libero. Ci tenevo al suo contributo.
