Ho visto un film italiano, Colpo d’occhio, e non è che si mi sia piaciuto molto. Film di Sergio Rubini, genere giallo, leggo nella scheda.
Come giallo mi è parso forzato, specie nel finale ma non solo nel finale. Bravo comunque Rubini a recitare il ruolo del critico d’arte che tutto può.
Può imporre all’attenzione di tutti un artista, così che tutti, poi, a questo artista renderanno omaggi. Anche immeritati (vedendo il film mi sono chiesto: D’Orrico potrebbe?).
Oppure, se vuole, può distruggerlo, o come minimo fare in modo che venga ignorato.
Un film insomma che non è all’altezza di due splendidi film italiani visti l’anno scorso (La ragazza del lago e La giusta distanza) ma comunque interessante: perché da un punto di vista psicologico si sofferma sull’artista, che nel film (interpretato da Scamarcio) è uno scultore.
E si sofferma, in particolare, sull’aspetto peggiore di chi vuole imporsi come artista: la prostituzione.
La frase: Debbo farlo perché è importante per la mia carriera, per il mio futuro, pronunciata dall’artista protagonista va tradotta con: Debbo prostituirmi, non ho alternative, altrimenti non sfondo.
Eppure gli artisti e gli scrittori in genere dicono tutti d’essere liberi come il vento, e di non aver mai accettato compromessi, o altro.
Nessuno che si inchina a editori o critici.
Nessuno che farebbe carte false pur di pubblicare con una grande casa editrice.
Comunque.
E’ chiaro che vedendo il film io mi sono interrogato: su me stesso.
Una volta un’agente letterario (molto brava, di un amico scrittore) mi disse: Voi scrittori, pur di pubblicare vendereste vostra madre.
Mi disse questa frase perché io, pur di pubblicare, ho sempre firmato contratti senza mai contrattare l’aspetto economico o le varie opzioni.
Quando hai lavorato per un anno, due anni, tre anni a un libro solitamente sei disposto a tutto, o quasi.
Anche a pubblicare a pagamento.
Anche a far sorrisi e inchini a chi ti può presentare a un agente, una casa editrice.
Dico subito: io, forse per fortuna, questi due aspetti li ho bypassati.
Ho spedito due manoscritti nella forma tradizionale e per due volte (con Mursia e Fernandel) sono stato pubblicato.
Con la Newton è andata ancora meglio: mi contattarono e mi proposero un contratto mentre stavo scrivendo un libro (naturalmente chiedendomi una sinossi e qualche capitolo, anche se in forma di bozza).
Di sicuro, per pubblicare, c’entra anche il fattore fortuna.Che io ho avuto.
Di sicuro, io, prima, non avevo mai preso in considerazione l’idea di pubblicare a pagamento.
Di sicuro, oggi, ho un altro vantaggio (dico, pensando alla prostituzione): che non mi importa, non sbavo insomma (e qualcuno mi dice: bravo scemo) per pubblicare con i più grandi editori italiani.
Scriverò ancora, certo. Anzi sto scrivendo. E proporrò le “mie cose” come ho sempre fatto. Mettiamo che – editori grandi ed editori piccini – mi dicano di no.
Farei così, farei. Mi farei stampare un po’ di copie da uno stampatore, così da rivenderle al prezzo di costo, e allo stesso tempo metterei in rete quanto ho scritto.
Dovessi prostituirmi non me lo perdonerei mai.
E son contento di aver conosciuto gente che non si è prostituita.
E gente che se ne impippa abbastanza: Colfavoredellenebbie, per esempio, è una scrittrice che ha scelto la rete, eppure un libro, bello, di cui mi ha detto, e che ha già stampato nella sua testa, sarebbe bell’e che pronto. E sarebbe un gran bel libro, credetemi.
Io no, ci tengo sempre, invece, alla pubblicazione su carta: è il mio obiettivo.
Però m’interrogo, sempre: sulla prostituzione. Ha un bel sorriso, ammaliante.
Poi subentra anche il famoso ritornello che dice “così fan tutti” e quindi…
No, non tutti.
Un anno fa, alla fine della presentazione di un mio libro mi si è avvicinato un uomo, che conosco. Sui sessanta, ha lavorato in una casa editrice per anni. E’ uno che legge, che viaggia. Fa sport. Mi si avvicina e mi dice: Se riuscissi a pubblicare un libro sarei l’uomo più felice di questo mondo.
Gli ho sorriso, non c’era tempo.
Ma andate al salone del libro, a maggio. Ci saranno, tra gli altri, centinaia di scrittori che saranno lì a controllare, dieci o cinquanta volte al giorno, i loro libri, esposti, che magari nessuno compra.
E che avranno vita breve. Perché dopo tre mesi, quattro mesi, un anno in certi casi, un libro viene sommerso: dall’oblio e da altri libri. Usa e getta. Getta, soprattutto.
Il sogno, spesso, diventa frustrazione.
Buona giornata
PS C’è anche da dire che per tanti scrittori le frequentazioni che possono servire non sono prostituzione. Penso allo scapigliato Giovanni Faldella che, scrittore affermato, rimprovera(va) l’amico, scrittore scapigliato ma non affermato, dicendogli: prima di lamentarti, comincia a frequentare gli aperitivi letterari…
E ancora. La messa dell’uomo disarmato di Luisito Bianchi ha proprio bisogno d’essere consacrata dalla grande editoria?, domando.
E comunque: segnalare un buon libro a una casa editrice ritengo che sia un dovere, quando è possibile.
Segnalazione.