La scrittura, io credo, deve essere un po’ come il respiro e il respiro, lo sa soprattutto chi fa yoga, “comunica”: se ci si avvicina a una persona agitata si può, respirando lentamente, aiutarla a ritrovare la calma.
In altre parole: io me ne frego abbastanza, in certe pagine almeno, della punteggiatura: perché quando voglio trasmettere ansia le virgole son di troppo e le caccio via (e così ho fatto nei miei libri).
Comunque.
L’incipit è questo.
Noi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al limite del centro della città, il Quartiere si estendeva fino alla prime case della periferia….
eccetera
A leggerlo in fretta, come si vantano alcuni che leggono un libro al giorno, si corre il rischio di non far caso all’elemento nostalgico che è contenuto nell’incipit: Noi eravamo contenti del nostro Quartiere… il Quartiere si estendeva…
se si estendeva, evidentemente, qualcosa è cambiato quando il narratore racconta.
Poi, stessa pagina, si prosegue con la descrizione del Quartiere e di Firenze
Panni alle finestre, donne discinte. Ma anche povertà patita con orgoglio, affetti difesi con i denti. Operai, e più propriamente, meccanici, mosaicisti. E bettole, botteghe affumicate e lucenti, caffè novecento.
Eccolo il grande scrittore: Vasco Pratolini ti fa respirare Firenze (ci son libri, oggi, ambientati a Firenze, ma potrebbe essere Milano, ché Firenze è solo una citazione….).
E poi, proseguendo, siamo sempre alla prima pagina, ecco l’effetto maestoso:
La strada. Firenze. Quartiere di Santa Croce.
Ogni punto ha un suo perché, qui. Tre entità, un’unica entità, ma tre entità comunque:
La strada, punto. Firenze, punto. Quartiere di Santa Croce, punto.
La punteggiature come pausa, anche.
Fermati un attimo scrittore, ad ammirare.