Zia d’america (e pezze al culo)

E’ morta la mia zia d’america.
Fu lei a scattare la prima fotografia dove mi si vede con babbo e mamma. Loro hanno trent’anni, io meno di due. Siamo a Sant’Angelo, Cortona.
Mia zia, dicevo.
Se ne andò da Cortona con, come si usa dire, le pezze al culo, tornò da signora con, come si usa dire, la puzza sotto il naso.
Se ne andò da Cortona perché mio nonno, che aveva giocato e perso a carte la casa e il podere, aveva bisogno di soldi per cercare di ricomprare quel che aveva dilapidato giocando a scopone. Non servì: perchP mio nonno perse tutto e lui e i suoi figli da poveri agricoltori divennero poveri mezzadri; lei, invece, divenne la zia d’america. Negli anni cinquanta, sessanta e settanta, con suo marito, un istriano di nome Gus che aveva conosciuto in Francia, è stata proprietaria di un ristorante a New York.
A Cortona è tornata definitivamente una ventina d’anni fa.
Ho tanti ricordi di lei.
Anni settanta. Lei e il marito arrivano a Cortona con – addiritttura – una valigia piena di sigarette, regalo per i miei zii e mio padre, grandi fumatori. Era bello vedere il colore di quei pacchetti di sigarette e vedere il volto dei miei zii, sembravano me davanti alla Nutella, che si pregustavano grandi fumate. Macché, ne accesero di una marca, di due, di tre: non sapevano di niente quelle sigarette, ché loro erano abituati a fumare il trinciato forte e, nei giorni di festa, le alfa o le esportazioni senza filtro.
Ricordo che una volta mi regalò un dollaro con il volto di Kennedy: la persi e mia madre mi sgridò.
Ricordo che quando parlava di poltica i suoi fratelli scuotevano la testa, non la riconoscevano più: ché parlava male dei comunisti e dei negri.
Ricordo che raccontò di una rapina, nel suo albergo. A mano armata. E originale. I malviventi, appena entrati con volto coperto e pistole puntate su clienti e camerieri, oridinarono agli uomini e alle donne di togliersi pantaloni e gonne.
Ricordo che – anni novanta – si vantava di avere ancora tutti i suoi denti sani. Ma ricordo anche che un mio parente le disse che non era vero, e in effetti aveva ragione lui: aveva impianti e capsule.
Ricordo che – fine anni novanta – fu ricoverata all’ospedale di Cortona. Divenne famosa. Appena si svegliava faceva ginnastica, tra lo sguardo divertito e sarcastico delle altre vecchine ricoverate con lei.
Ricordo che quando rideva rideva come un’americana: sguaiata.
Anche suo marito, Gus, me lo ricordo che ride come un matto: diceva delle emerite stronzate (per esempio: strofinando una sua scarpa sul pelo di un cane, gli diceva: Lucidami la scarpa, aha ,aha, aha, aha) ma rideva solo lui.
Ricordo che quando, sto tornando agli anni settanta, disgustata, parlava dei negri mio padre – che adesso è a Cortona, tra qualche ora la zia d’america, cioé sua sorella, viene sepolta – le disse, come si usa dire: e non ti ricordi che anche tu una volta avevi le pezze al culo?