segnalazioni e gramsci

Tre splendide poesie di Sandro Penna (… mi nasconda la notte)  su GraphoMania

Su Bastardo posto vi segnalo questa recensione (grazie Anna Maria).
Domani (lunedì) dovrebbe uscirne una su carta su Bari sera (lo dico per i pugliesi).

E’ in libreria l’ultimo libro di Luigi Bernardi, una raccolta di racconti dal titolo Niente da capire.
Bernardi prende le distanze dal genere giallo-noir, che è comunque il genere di cui è esperto. Tredici storie senza “il solito mistero” svelato magari dal solito commissario alternativo…

Nevica. Se mi passa il mal di testa mi metto a leggere Lettere dal carcere di Gramsci. Mi hanno regalato una edizione Einaudi del 1948, zeppa di appunti scritti da chissà chi. Libro già letto, quando avevo vent’anni. Rimosso completamente.
Buona domenica

Poi la mazzata

Sto andando al giornale, sono quasi le tredici (il martedì mattina e la domenica – ma non sempre – sono le mie pauese lavorative). Ho mangiato un pezzo di focaccia, bevuto due caffè.
La giornata è grigia-ma-non-troppo, non fa nemmeno freddo, è piacevole camminare. E io, per andare in redazione, faccio una strada alternativa: quella dove solitamente non incontro gente.
Non tanta, ma un po’ di fretta ce l’ho, e ho “cose” per la testa, e poca voglia di parlare.
E invece incontro C.
Siamo cresciuti insieme io e C.
Litigavamo sempre, spesso ci prendevamo a botte.
Crescendo, io e C., ci siamo frequentati, ma abbiamo tenuto sempre le distanze.
Diciamo che c’è dell’affetto tra me e lui, ma le incompatibilità son di più.
Andavo più d’accordo con suo fratello P., io.
Io e P. ci scambiavamo i libri di Salgari e le prime confidenze sui primi, timidi amori.
Era il mio grande amico, P., e nemmeno lui andava d’accordo con suo fratello C.
E mi spiace che P., da anni, viva lontano. So poco di lui, non usa internet, quel che so lo so da C., da suo fratello.
Comunque, sono in strada e vedo C.
Parliamo un po’ del più e del meno.
Poi la mazzata.
C. mi dice.
P. ha avuto… non è più lui, vegeta da alcuni mesi, non si riprenderà dicono i medici.
Io dico solo «cazzo» e mentre penso a P., ai pomeriggi interminabili passati a parlare e sognare anche, sento come in lontananza la voce di C., che è passato ad altro argomento.
Guardo l’ora: è tardi davvero.
Ciao C.
Ciao.
(Cazzo, penso. E non mi piace dire o pensare cazzo, ma tant’è)

un anno fa

Il silenzio fa bene, mi fa bene, ne sono certo. Talmente bene che, certe notti, ritardo il sonno per gustarne un po’ di più di silenzio, e ascoltare, in lontananza e se il vento lo permette, il rumore di un treno.
E mi piace il silenzio al risveglio. Assoluto. Silenzio, caffè, una sigaretta o la pipa, posta elettronica magari spalancando la finestra, se il clima lo consiglia.
I miei risvegli, da un anno, però, sono diventati rumorosi.
Sento un cosino che o mi tira i capelli o mi strattona il pigiama e che mi chiede cose.
Federico Libero detto Cico cammina, da un mese.
Ma al mattino gli è rimasta l’abitudine: di svegliare suo padre (a volte anche alle 7) e farsi portare davanti al pc per ascoltare musica e guardare le fotografie.
(Chiaro: non si fuma; oddio, la pipa gli piace tanto ma tanto; la prende, vorrebbe portarsela alle labbra, oppure cerca di usarla come fosse un martello…).
Guardando le fotografie, si ricorda meglio Cico. Per esempio del mare.
E quando due domenica fa, eravamo a Bari (cico e sua madre vengono sempre con me quando vado a presentare il libro), lo ha rivisto si è ricordato del mare d’agosto, di quello delle foto sul computer insomma. E si è incavolato Federico Libero detto Cico: ché voleva fare il bagno a tutti i costi.

Un anno fa nasceva Federico Libero (detto Cico).
Oggi faremo festa, dieci minuti, qui in redazione.
Verso le diciotto credo. Poi tornerà a casa e poi, dopo aver cenato, si addormenterà. Non faccio in tempo a vedere Cico quando chiudo il giornale (e mi viene in mente la canzone-presagio che cantavo a mia figlia Sonia, e scusa, scusa se ci vedremo poco e male); (e a volte – ma lui fa finta di niente – gli dico: da quando sei nato tu leggo di meno, scrivo di meno, fumo di meno, cazzeggio di meno davanti al pc; niente, se ne frega lui della mie lamentazioni).
Domattina però lo vedrò. Meglio: sentirò i suoi piccoli pugni sulla mia schiena, e il suo pigolio.

Due recensioni e prossime presentazioni

Ieri su Mangialibri, recensione di Bastardo posto

Oggi invece c’è questo articolo su Repubblica, Torino

Dopo le recenti presentazioni (a Martina Franca e Bari), le prossime presentazioni di Bastardo posto saranno:
venerdì 18 febbraio, ore 21, a Sermide (Mantova), al Centro Auser in via Togliatti, 8, con Zena Roncada (Colfavoredellenebbie).
sabato 26 febbraio, ore 18,30, a Bologna, alla libreria Irnerio, in via Irnerio 27, con Luigi Bernardi.
martedì 22 marzo, ore 18,30, a Milano, alla libreria Centofiori, piazzale Dateo 5, con Laura Bosio.
martedì 29 marzo, ore 21, a Santhià (Vercelli), nella biblioteca comunale, con Luigi Zai.

 

 

 

 

E poi.
Una delle mie case editrici preferite è senz’altro Marcos y marcos; su affaritaliani c’è questa intervista, che segnalo.

E poi ancora.
Questa intervista a Luigi Bernardi volevo segnalarla da tempo. Luigi dice cose diverse da quel che si legge nelle solite interviste, ed è schietto.
Ho finito di leggere il suo ultimo libro, Niente da capire, che presto sarà in libreria. Ne riparlerò.

Buona giornata

una lettera di rabbia

Non so quanto durerà ancora la mia permanenza alla direzione del giornale (molto dipende dalla libertà che fino a ora, magari litigando, i miei editori mi hanno concesso), non so se e quando pubblicherò ancora libri (molto dipende da Perdisa, dalla mia agente, da Luigi Bernardi).
E’ cosa questa che ho scritto in una lettera privata, pochi giorni fa.
Una lettera rabbiosa, anche. Incazzata.
E quando uno s’arrabbia finisce per vantarsi, anche; come ho fatto io.
A un certo punto, infatti, ho scritto: posso vantarmi d’essere sempre quello di trent’anni fa. Quando nella mia città vado nei posti dove quelli che sono conosciuti passano davanti a quelli che non sono conosciuti, bene, io resto tra questi.
Nulla di evangelico: beati gli ultimi una beata fava.
No: è che ho le allucinazioni, io, soprattutto se faccio la coda.

Mi è successo per la prima volta cinque anni fa. Allora.  Sono diventato direttore del giornale da poco.
Ho comprato due vestiti nuovi, anche abbastanza costosi, certo niente cravatta, e barba e capelli come sempre, sull’incolto, ché il pettine e le lamette mi danno sui nervi.
E vado a fare controllare la macchina (nuova, una chilometri zero presa a rate, però).
Attendo il mio turno, ho fretta, un meccanico mi ha appena detto che in un quarto d’ora mela caverò. E infatti è il mio turno, senonché.
Senonché, già.
Arriva un tipo, pure lui vestito nuovo, ma pure cravatta e auto di grossa cilindrata, che sorride al capo officina: basta un sorriso a volte; e il capo officina dice, fingendo che io non esista: Ma è lei dottore.
E il tipo mi passa davanti.
Cazzo, penso tra me e me, sono pure il dottore, e sono pure il direttore del giornale più importante, e scendo dall’auto, guardando di brutto il “dottore”, che continua a sorridere, e l’altro, che sorride come sorridono i servi.
L’allucinazione era in agguato.
Mi volto e mi vedo. Sono io a vent’anni, con una Fiat Cinquecento di terza mano, grigia. Ho la barba lunga, pantaloni e giubbotto di jeans. Un camicia di tinta unita, magari viola, magari blu, magari rosa, ché mi piacevano così.
(Che poi: se invece devo andare a lavorare in fabbrica ho i jeans e la blusa blu d’ordinanza, della fabbrica).
Mi ri-vedo, ri-vedo soprattutto i miei occhi: orgogliosi. Di chi non passerà mai davanti a nessuno.
Di chi andrà dal capo officina e dirà solo quel che c’è da dire: Non è giusto, toccava a me.

In questi cinque anni è successo spesso che qualcuno mi abbia detto, Poteva dirmelo, la facevo passare.
Mica sono stato lì a spiegare che quando sto in mezzo alla gente c’è sempre un ragazzo – fa l’operaio, sogna un mondo migliore – che severo mi osserva.
E se qualche rara volta magari l’ho tradito a quel ragazzo è stato per un attimo: e gli ho chiesto scusa, poi.

Questo ho scritto nella lettera.

Stefania, suggeritrice involontaria

Su Bastardo posto c’è questa recensione di Stefania Mola che è anche una mia cara amica ed è anche una lettrice dei miei libri quando sono ancora manoscritti.
Detto questo parto da lontano, dal mio primo libro, Il quaderno delle voci rubate. Lo feci leggere solo quando lo ritenni un libro fatto e finito, prima, quando era ancora da rivedere, era qualcosa da tenere sottochiave.
Torno a Bastardo posto.
Ho un comitato di lettura, io, adesso.
Ne fanno parte mia moglie, Francesca Rivano (che è una divoratrice severa di libri e che non ha il pallino della scrittura), la blogger, nonché esperta di cose letterarie, Zena Roncada, una mia cara amica che di professione fa la farmacista in ospedale, Mariapia Massa e, appunto, Stefania Mola.
Quando scrissi Bastardo posto, però, il comitato di lettura fu ampliato.
Feci leggere (praticamente mentre scrivevo) alla blogger Lucia Saetta, feci leggere, fu una delle prime, a Laura Bosio, scrittrice ed editor.
Se scrivo la colpa o merito è tutta di Laura, che lesse Il quaderno delle voci rubate e mi consigliò di continuare a scrivere.
Gente questa di cui mi fido: perché tutti (tutte: son donne) o prima o dopo mi hanno mosso critiche anche severe (ché i complimenti alla fin fine fanno solo male, tanto male).
Stefania Mola e Laura Bosio mi fecero dei complimenti, ma con qualche riserva sui personaggi (e quindi sulla struttura).
Ma i più erano complimenti: anche della casa editrice che doveva pubblicare il libro (ma poi le cose andarono diversamente) anche con altri addetti ai lavori.
Io però sentivo che c’era qualcosa che non andava: e non capivo cosa.
Finché un giorno, ta-ta-ta, vedo una mia collega  (fa la grafica) che, durante la pausa panino, sta leggendo un libro di King (ne aveva appena letto uno di Faletti). E’ una ragazza che non ha molto tempo per leggere, un libro al mese, anche due mesi, perché oltre al lavoro in redazione deve badare ai suoi vecchi che son malconci.
Le chiedo di leggere il manoscritto e di segnare con dei punti interrogativi tutti i passaggi poco chiari.
Lo fa, io prendo atto che sono un po’ troppi, ma prendo anche atto che il libro va rivisto, con una scrittura più popolare. A me non importa di piacere agli addetti ai lavori: mi interessa che il mio libro si capisca.
Dopo averci rimesso mano ripenso alle osservazioni, che coincidevano, di Laura Bosio e Stefania Mola: e modifico – ma a modo mio – il libro.
Ricordo che mandai una mail a Stefania, che ci restò anche male: non le andava quel tipo di revisione.
Quel finale.
Ma a me sì.
Insomma, stavolta questo libro ha dei debiti di riconoscenza.
E Stefania è stata una suggeritrice involontaria.

L’Indice e Martina Franca

Nell’ultimo numero de L’Indice, Mimmo Candito (reporter di guerra, scrittore, docente di giornalismo nonché direttore de L’Indice), parlando di Bastardo posto, dice che sì, un romanzo lo è, ma è, al contempo, un libro da portarsi dietro con altre “letture di comunicazione”.
Scrive Candito: Bassini mette al centro del suo romanzo un cronista tormentato e disilluso, una sorta di alter ego che lungo cinque notti (quasi una memoria tenue delle “notti bianche” traDostoevskij e Visconti) incrocia la propria storia con certe vicende misteriose e inquietanti che inchiodano la vita di una città di provincia a personaggi emblematici del nostro tempo d’oggi, dove sesso, sogni, redenzione e lotte ambiziose di potere distruggono ogni forma di possibile speranza.

Sabato presento Bastardo posto a Martina Franca (meglio: mi presenta Giorgia Lepore, archeologa e scrittrice), domenica a Bari.
Poi, il 18 di febbraio a Sermide, nella terra di Zena (Colfavoredellenebbie).

Bastardo posto recensito su Argo

La malvagità dell’indole umana pervade il romanzo, le tenebre ne sono una puntuale e appuntita metafora. Così come il manichino nudo e senza sesso, l’unico che non distoglie mai lo sguardo dalla strada. Niente sesso, niente bassezze umane, niente coscienza: l’unico modo per sopravvivere in un bastardo posto.Negli edifici sotto il portico ci sono le crepe nei muri; crepe che sanno di lenta logorazione ma che uniscono gli edifici e le loro storie come vecchie ferite. Qual è la partenza e quale l’arrivo, si chiede Limara, che non lo saprà mai. I personaggi feriti si muovono in atmosfere surreali, di notte sotto le crepe, feriti come i muri per vergogna, per paura, per amore, ma non solo.

Un passo della recensione, di Silvia Agogeri, apparsa su Argo.

L’intera  recensione.

E buone cose