Da quando mia madre si è rotta il femore, e non può quindi badare al bambino, ho preso l’abitudine, alcune mattine, di prendere un’ora a volte due di ferie arretrate. Prendo il piccolo, e andiamo alla stazione a vedere i treni e poi ci facciamo un giro in autobus.Il freddo dei giorni scorsi, però, aveva impedito, a me e Federico Libero, di andare a vedere il treno veloce che arriva sempre tardi, o i regionali presi d’assalto.
Due mesi fa successe questo.
Dopo aver preso un caffè e comperato un ovetto kinder al piccolo, passeggio in attesa del primo treno che arriverà, salvo ritardi, tra un quarto d’ora. Mi accendo mezzo sigaro e, bimbo alla mano, vado su e giù, giù e su. Mi squilla il telefono. E’ una radio che, su imbeccata dell’ufficio stampa di Perdisa, mi propone un’intervista sul libro appena uscito, Vicolo del precipizio. Dico: Va bene, pensando che mi daranno un appuntamento magari per il pomeriggio. Macché. Allora partiamo con le domande, mi dicono.
Cavolo, e se arriva un treno merci in transito? E se il bimbo mi dice, babbo cacca?
Prendo il bimbo in braccio, gli dico, Stai zitto ora come stai zitto quando vai in chiesa con la mamma, va bene?, poi sposto sulle labbra il sigaro dimodoche sia il più distante da FedericoLibero e intanto comincio a rispondere alla prima domanda.
Tutto bene, nessun treno in arrivo, e il bimbo mi guarda. Seconda domanda. Tutto bene, ancora. Terza domanda. Miracolo, ancora tutto bene. Quarta e ultima domanda. Tutto bene fino alla fine. Sto per dire un’ultima cosa quando FedericoLibero si avvicina al telefonino e dice “ponto.ponto”. Purtroppo non avevo inteso che radio fosse, così da risentire me e il “ponto-pontonel finale. L’avranno tagliato?
Stamattina, allora.
Ci son sempre cose da raccontare sulle stazioni.
Sui ritardi no. Un mese fa, circa. Il treno in partenza da Trieste e diretto a Torino Porta Nuova è in ritardo di trenta minuti. Silenzio del pubblico. Poi:… è in ritardo di un’ora, ci scusiamo per il disagio (FedericoLibero impara nuove parole alla stazione, linea giaggia, ciottopacciaggio, digiagio appunto). Poi: è in ritardo di 110 minuti: scoppia la risata, collettiva. Solo una signora, imperterrita, inveisce con Siamo in Italia…
Da raccontare, dicevo.
Chi parte e piange.
Chi parte e non vorrebbe.
Chi viene fermato dalla polizia ferroviaria per un controllo. Documenti, per favore. Scarpe da ginnastica bianche, jeans, giubbotto di pelle, faccia da spaccone: gli spacciatori hanno tutti la stessa divisa? Il tipo fermato non lo era, pare.
O non il giorno in cui l’ha fermato.
Oggi, allora.
Sta per partire un regionale, direzione Novara-Milano. Guardo la gente che sale. Tra loro c’è una ragazza giovane, sembra una contadinotta, è graziosa, paffutella, vestita normalmente. Pantaloni neri, una giacca pesante. Insomma, non è la strafica che tutti guardano. E poi. Ha un bimbo nel passeggino, cicciotello. Ha pure una borsa da viaggio. Il portellone del treno è aperto, la gente è salita, l’hanno sorpassata tutti. Dribblata. Ignorata. Cazzi suoi se deve salire. Lei ci prova ad alzare quel passeggino, ma non ce la fa proprio. Vede che la sto guardando. Mi domanda aiuto. Anche se ho per mano il bambino e stanno arrivando altri treni sono l’utima sua possibilità. Mi avvicin con FedericoLibero, gli dico, Stai fermo accanto a me che poi ti do un tic tac. E l’aiuto a sollevare bimbo e passeggino. Mi ringrazia. Mi dice, guartdando FedericoLibero: Mi scusi. Non è italiana. Probabilmente è albanese. Mi chiedo che pensi, lei, degli italiani.
Io per esempio delle ragazze con il burqa penso tutto il bene possibile (da quando mia madre si è rotta il femore).
In un autobus pieno di gente, ne ho vista una alzarsi per fare posto a un anziana col bastone e con due sacchi della spesa (io mi assolvo, ero seduto ma con bimbo in braccio).
Alla stazione, giorni fa, nel sottopassaggio. Una donna fa un gradino, massimo due alla volta: ha un bimbo in braccio, e due valigie, e fa fatica. In suo soccorso arriva una ragazza col burqa: vaglielo a spiegare tu, a quelli che le guardano con disgusto.
Nel mio piccolo paese non c’è una stazione, però gli extracomunitari passano ogni giorno in forneria per la quotidiana razione di pane. Con tanti di loro (quelli che hanno preso dimora in paese) c’è una perfetta intesa, con alcuni anche una bella amicizia(mia moglie si prende cura dei compiti della più grande di 5 fratellini senegalesi, questo è il 7 anno). Altri passano solo per chiedere qualcosa a noi e ai clienti. Non trovo differenze con gli italiani se non la grande tristezza che si legge nel fondo dei loro occhi, spesso arrossati dopo un turno di notte sulle macchine per la produzione di guarnizioni industriali. Vivono ritirati nelle loro anguste stanze sempre con le finestre chiuse, sembra abbiano paura di lasciar entrare il sole e forse qualcuno che possa far loro del male. Mi capita di entrare nelle loro abitazioni: odore di cipolla , della loro pelle e dei profumi intensi che usano per camuffarlo, sempre riconoscenti per la compilazione di una carta , tasse , multe, il censimento,permessi, vorrebbero ricambiare e non sanno cosa offrire , hanno quasi paura a darti la mano ma nei loro occhi è facile leggere un grazie che ha il significato vero di questa parola.
Vorrei scrivere molto di questi ragazzi- uomini ma non è il mio spazio questo. scrivo solo che mi fa molto piacere leggere di questi tuoi incontri alla stazione. Tuo figlio crescerà libero, Libero di nome e di fatto.
Mi piace molto questo tuo andar per treni con Federico Libero.
era da un po’ che non passavo.
è sempre un piacere leggerti.
cb
Remo, compito di punizione per casa: “scrivi qualcosa di molto cattivo”. ;-)
Contento, Nebo?
anonimo, non ho detto che gli immigrati non commettono mai azioni criminose. mi sono limitato a scrivere ciò che ho visto. faccio sempre così in questo blog. una volta a genova, era una domenica pomeriggio, vidi un immigrato che, incurante di me e di altri passanti, pisciava, parlava con qualcuno al telefono, con lo sguardo pareva sfidare tutti.
da qualche anno a questa parte qualcuno sta cercando di dire che gli immigrati compiono più azioni criminali di altri, e questo non è vero.
in un centro della mia zona, trino vercellese, due anni fa ci fu un incontro sulla sicurezza con i carabinieri del posto; trino vercellese è uno dei centro con la più alta percentuale di “facce da straniero”. bene, ci restarono tutti (parecchi ci restarono male) nel sentire il maresciallo dei carabinieri che diceva: il maggior numero delle azioni criminose nel terriotorio non è opera di extracomunitari ma di italiani come noi.
MA INFATTI SECONDO ME TUTTI GLI IMMIGRATI SONO BRAVE PERSONE E NOI DOVREMMO MOLTO IMPARARE DA LORO ANCHE SE A VOLTE DELINQUONO SONO COMUNQUE COSE A FIN DI BENE
BISOGNA ESSERE BUONI