Dalla pancia del blog/2: gettoni

Tra le bozze del blog. Scritto anni fa… Ho 147 articoli non pubblicati.

 

fine anni ottanta. facevo lavori saltuari, frequentavo lettere, collaboravo con il giornale che ora dirigo.
un giorno fui ospite in casa del caporedattore.
era primavera, andammo sul balcone a fumare.
sotto casa di quell’uomo c’era e c’è un viale alberato e, tra gli alberi, c’era ma ora non c’è più, una cabina telefonica.
mentre fumiamo e parliamo vedo, ma senza farci troppo caso, un uomo che entra ed esce dalla cabina telefonica.
il caporedattore si mise a ridere e mi disse, Hai visto?
Visto cosa?, domandai.
Il tipo che entrato nella cabina telefonica, ma come non lo conosci?
No.
E non sai che…
Non so, dissi.
Non sapevo che il tipo era un insegnante che aveva l’abitudine, tutti i giorni, di fare il giro della cabine telefoniche della città, alla caccia di gettoni o dimenticati o che, per generosità della telecom, l’apparecchio sputava fuori.
giorni dopo vado in università. lezione il mattino, lezione il pomeriggio.
quando torno a vercelli è quasi sera,  c’è poca gente in stazione. passo nell’atrio e mentre passo, e vedo il telefono a gettoni, mi viene in mente il tipo che andava a raccattar gettoni o avanzati o sputati.
guardo in giro: c’è nessuno.
faccio come lui.
bene, da non credere.
ricordo ancora il rumore: il rumore d venti, e dico venti, gettoni che l’apparecchio telefonico sputò fuori appena schiacciato il pulsante della restituzione dei gettoni.
venti gettoni.
festeggiai.
(fu in quegli anni che presi l’abitudine di raccogliere monete per terra e metterle da parte; ma la prima prima moneta portafortuna che raccolsi è tutta un’altra storia).

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dalla pancia del blog/1: parole che stridono

Questo, con altri cento e più, è un post non pubblicato. Era nella pancia del blog, l’ho tirato fuori, ora. L’avevo scritto il primo luglio del 2008

Nella piazza del borgo medievale che dà sul mare ho cercato l’angolo più lontano, così da non sentire voci, rumori, risate.
E stamane, camminando, ho fatto di tutto per passare inosservato.
Certe volte il desiderio più grande è quello di sentire il rumore del vento o quello dell’acqua di un fiume o di un torrente che scorre e che corre.
Ché le parole è come se stridessero.