Mese: febbraio 2014
Elezioni 2
Prima dell’incontro con i possibili candidati della lista civica, do un paio di anticipazioni su temi che vorrei fossero inseriti nel programma.
Vercelli città del riso significa anche Vercelli città di un riso con utilizzo di pesticidi. Vercelli capoluogo di provincia deve, in primo luogo, salvaguardare la salute di tutti. Vercelli capoluogo può e deve incontrare altre amministraziono comunali della provincia, perché il problema dei pesticidi (ma non solo) è un problema sentito.
Poi. Viviamo nell’emergenza. Mancano fondi per tante e tante cose (una mensa popolare vera, per esempio).
Allora, io credo che la prossima amministrazione debba fare uno sforzo: garantire la propria presenza in Comune con non più di 5 o 6 assessori e percepire un rimborso, all’incirca di 1000 euro per componente della giunta, sindaco compreso; così da creare un tesoretto per la risposta, immediata, alle situazioni di bisogno. Chi avrà l’incarico deve sapere fin da subito che non si campa sulla politica.
proprio oggi ho incontrato un uomo che ha perso il lavoro e che sta meditando di candidarsi con noi. Gli ho detto che non sarebbe serio da parte mia (nostra) fare promesse. Ma due cose le posso pre-annunciare. I tagli allo stipendio di sindaco e giunta di cui ho parlato potrebbero servire (stiamo studiando il modo) a creare qualcosa di concreto. E così pure stiamo ragionando sulla lavorazione dei rifiuti, affinché possa essere fatta a Vercelli. Una persona (della giunta o fuori non importa) dovrà dedicarsi al lavoro, perché, appunto,lal mancanza di lavoro è un cancro. Sono stato disoccupato, so cosa vuol dire.
Sbaglia, chi pensa che un giornalista, anche conosciuto, sia un candidato ideale, appunto perché noto. Se fai il giornalista, e lo fai per bene, hai anche tanti nemici. E c’è poi il discorso della cronaca nera. I giornali vivono di cronaca nera, siamo parenti stretti dei becchini, ho sempre detto parlando della mia professione, e sebbene io non abbia mai enfatizzato (né amato) la cronaca nera, sta di fatto che, come direttore, ci ho messo la faccia. Se penso a me, al mio propormi, penso a me come giornalista, come persona cresciuta a Vercelli, come studente lavoratore, come ex operaio ed ex sindacalista. Sono contento di avere mantenuto, negli anni, buoni rapporti con tanti operai della yoshida, fabbrica in cui ho lavorato per sette anni. E penso alle persone con cui condivido passioni culturali, a cominciare dalla passione per la narrativa (il grande amore della mia vita). E comunque, confermo. Ho chiesto ancora del tempo per valutare la possibile coesistenza tra l’impegno politico e futuri progetti lavorativi.
elezioni
A maggio, in tante città italiane e a Vercelli si vota per il nuovo sindaco e la nuova giunta.
Tra i candidati ci sono anche io.
Sarò il candidato a sindaco di una, o, più probabile, liste civiche (nate comunque dall’esperienza di Sel e della lista civica Voce Libera).
Su facebook ho fatto questa preciszione.
Quando un giornalista si candida è buona norma che chieda l’aspettativa. Io ho interrotto il mio rapporto con La Sesia ma non ho interrotto altre collaborazioni. E ho dei progetti in ballo. Vedrò cosa fare dopo le elezioni.
Tra i progetti che ho in mente c’è anche un romanzo storico.
Il giorno dell’addio
Oggi, venerdì 14 febbraio 2014, sulla Sesia, il giornale che ho diretto per nove anni (dopo una lunga gavetta) c’è il mio pezzo d’addio ai lettori. Poi si volta pagina.
Dopo 27 anni di lavoro, qui alla Sesia, comprendendo anche gli ultimi 9 anni di direzione, eccomi giunto – è una separazione consensuale, questa, ma la scelta è mia – al giorno dell’addio.
Di tempo ne è passato da quel 23 settembre del 1986, quando mi presentai e, timidamente, dissi: Voglio scrivere, cronaca, sport, politica, va bene tutto.
Tutto iniziò da questa frase.
Dopo una settimana ricevetti il primo rimprovero. Della segreteria. Se vuoi restare qui, devi imparare a essere ordinato. Non ho imparato, chi ha visto la mia scrivania in questi 27 anni lo sa.
Era ancora, il giornalismo degli anni Ottanta, un bel giornalismo. In redazione c’erano solo macchine da scrivere e telefoni. E un fax, avaro di notizie. Se le volevi avere, le notizie, dovevi alzare il sedere più volte al giorno. Era, per la verità, anche un giornalismo senza tanti scrupoli.
Alcuni giornali sbattevano il mostro in prima pagina, alcuni piccoli imitavano.
Facendo danni.
E’ un errore esasperare la nera in provincia. Se scrivi il nome e il cognome di un diciottenne che ha fatto una sciocchezza, un piccolo furto, del fumo proibito, in provincia lo rovini, perché il passaparola, poi, è implacabile. Un piccolo vanto della mia direzione di questi nove anni: nessun nome di ragazzo autore di qualche sciocchezza, nessuna enfasi a certi suicidi dettati della depressione, magari di anziani. Di errori, comunque, ne ho commessi anche io. Spero pochi.
Ho dato voce a tutti, ma questo non è motivo di vanto: questa è la caratteristica principale della Sesia. E ho dato voce a chi non ne ha. Nemmeno questo è motivo di vanto: è il ruolo che ha il buon giornalista. Chi dà voce ai potenti è un servo, punto.
Come direttore, ho cercato di realizzare un giornale per i lettori. Non ho mai pensato di fare un giornale che piacesse a me, o alla proprietà o alla pubblicità.
La mia regola è stata: il lettore davanti a ogni cosa, e così ho fatto o cercato di fare.
Un esempio. La raccolta di firme che promossi nel 2008 per un ospedale Sant’Andrea migliore. Ne raccolsi 5mila in poco tempo. La gente o spediva, con numero telefonico o fotocopia di documento, o consegnava alla Sesia. Molti mi scrissero, anche, per complimentarsi di un’iniziativa politica scollegata da tutti: Sta dimostrando di essere indipendente sia dalla politica che dai ceto alto borghesi che pensano solo ai propri interessi…
Un’altra battaglia che mi è stata sempre a cuore, ma che non son riuscito a condurre come avrei voluto, è quella sull’ambiente. Sono cresciuto andando a fare i bagni al Sesia, io. Forse l’acqua era già inquinata allora. Di sicuro lo è oggi. Sono cresciuto respirando l’aria di Vercelli, come tutti. Un’aria che è sempre più malata.
Sembra (lo sostengono alcuni medici) che ci siano troppi tumori. Più che altrove. Per la prima volta (grazie al direttore dell’Asl Gallo, alla Fondazione e al Fondo Tempia) si farà un registro. Ma è poco. Poche sere fa, tra le 18 e le 19 camminavo in via Dante: ci vorrebbe almeno una mascherina per difendersi dai gas di scarico del traffico imbottigliato. Non va bene.
Io vorrei che questa città fosse per davvero vivibile. Con i piccoli negozi. Con i bagni pubblici. Con un tetto da offrire per le emergenze, con una mensa popolare. Con feste. E musica. E cinema.
E vorrei una città senza privilegi, senza gente di seria A, di serie B, e di serie C.
Fortuna che conosco qualcuno, fortuna che sono amico di questo o di quello sono frasi che dovrebbero sparire se vogliamo essere, per davvero, una città.
Torno a me. In questi nove anni, ma non ho mai dimenticato che prima del giornalismo, dei libri pubblicati, della laurea io sono stato un operaio, un disoccupato anche. Me lo sono sempre ricordato in questi nove anni di direzione. Ho sempre fatto la coda come era giusto che fosse. Pagato i ticket.
Non ho mai fatto richiesta del pass per la ztl. Ce ne sono già troppi.
Sì, me ne vado, ma a testa alta.
E comunque. Ancora pochi minuti e diventerò un corpo estraneo a questo giornale: mi fa effetto dirlo. Mi fa effetto perché, già lo so, mi mancheranno le chiusure, la sera tardi, o il primo caffè, appena arrivavo in redazione. Mi mancheranno anche le notti trascorse in redazione a lavorare. Una volta mi addormentai. Mi risvegliò la luce del sole, era estate. Corsi a casa. E incontrai per la strada i volti assonnati dei pendolari.
Senza pendolari e senza l’azienda più grande che abbiamo, cioè l’Asl, Vercelli sarebbe morta e sepolta, questa è l’amara verità. Ho detto anche cose scomode in questi anni, e quindi qualcuno brinderà. Va bene così.
Lascio La Sesia, ma sono e sarò ancora un giornalista e uno scrittore.
Insomma, scriverò ancora, e magari organizzerò dei corsi di scrittura per insegnare quello che so, e, inoltre, cercherò di aggiornarmi. Sono tempi di profondi cambiamenti, questi.
Saluto tutti ora, il consiglio di amministrazione de La Sesia, i colleghi giornalisti (compagni d’avventura di questi nove anni), le grafiche e la segretaria (che lavorano con professionalità e tanto ma tanto attaccamento al giornale), il personale dei servizi pubblicitari, gli stampatori, e Patrizia della Seal, che sentivo tutte le settimane per la tiratura, i sindacalisti della Subalpina.
E infine saluto e ringrazio i collaboratori – che per un giornale locale sono come il sangue che circola nel corpo umano, e lavorano più per passione che per altro – e saluto e ringrazio i lettori, che mi hanno dato davvero tanto: scrivendomi, venendomi a trovare, mandandomi al diavolo qualche volta, stringendomi la mano. Non dimenticherò mai una telefonata: «Direttore, io prendo poco di pensione, ma per quella brutta querela io sono pronta a darle quello che posso».
Grandi momenti insomma: da incorniciare.
Scusate se mi sono dilungato, ma questo è un addio senza lacrime o rimpianti.
E buona primavera a tutti.
ricordati chi sei
Questo blog si chiama Altri appunti. Il vecchio blog si chiamava Appunti. Non c’è più, ma ho conservato “cose”. Uno dei primi post scritti nel 2005 (appena nominato direttore de La Sesia) fu questo.
Una volta entravi in quel bar col giubbettino da operaio e i jeans rattoppati, comprati al mercato. o alla upim, scontati. Un pacchetto di emmeesse grazie, e un caffè, dicevi alla cassa. Ti guardavano di traverso, oppure non ti guardavano: come si usa con gli zingari, quando gli si vuol fare intendere che non verranno cagati. E c’erano quelli che ti passavano davanti, perché avevano fretta, loro. Il diritto ad avere più fretta di te. Un po’ te ne fregavi, era il bar più vicino a casa tua, lì vicino sarebbe passato l’autobus che ti avrebbe portato alla fabbrica. ma un po’ ti rodeva, anche.
Ora invece ti allungano sigari e sorriso compreso nel prezzo, ti chiamano dottore, sono gentili. Nessuno ti passa davanti. sei dei loro, ormai, sei fottuto, forse. e quel ragazzo, poco più che ventenne e triste – perché la fabbrica è triste anche quando si ride -, a volte si ribella, e ti rimprovera. Che ci fai, tu, lì?
E non ci riesci, tu, a convincerlo
Guarda che non mi vesto come loro, né mi pettino o mi taglio la barba usando il righello. e non passo mai davanti a nessuno io.
Non mi convinci, dice lui, non mi convinci.
Ma non sei contento, ribatto, che ora quasi si tolgono il cappello quando entriamo?
Quando entri tu, dice lui…